Il Teatro degli Orrori è una delle realtà di punta della nuova scena alternative-rock italiana, emersa alla fine del decennio Zero. Si tratta di una sorta di supergruppo, che annovera l'istrionico leader, cantante e frontman Pierpaolo Capovilla e il poliedrico Giulio Ragno Favero (bassista e produttore tra i più ricercati nel panorama rock italiano), ovvero due membri degli One Dimensional Man, strepitoso e influente act noise-blues all'opera dalla metà dei 90. A completare la line-up, il chitarrista Gionata Mirai (Super Elastic Bubble Plastic) e il batterista Francesco Valente.
La cosa che più colpisce e spiazza ai primissimi ascolti di Dell'Impero delle tenebre (2007), disco d'esordio della formazione veneziana, è l'uso "luciferino" della lingua italiana da parte del lead-singer Capovilla, calato in un contesto noise e acido. È eccezionale il muro di suono creato dalla band in brani come "Carrarmatorock!", "L'impero delle tenebre", "Vita mia", "Il turbamento della gelosia", soprattutto grazie all'impatto travolgente delle chitarre di Mirai e Favero. Ma l'elemento più rimarchevole e sperimentale dell'album è proprio la rinuncia all'inglese (privilegiato dagli One Dimensional Man), lingua ideale per il tipo di sonorità adottate e il tentativo di sposare queste ultime a una espressività italiana quasi cantautorale. Essa tocca con cinica amarezza e totale disincanto temi come la perdità d'identità e il senso d'inutilità del vivere ("L'impero delle tenebre"), ma anche una strenua ricerca di speranza ("Vita Mia"), l'ipocrisia delle guerre ("Carrarmatorock"), il suicidio ("La canzone di Tom"), ma i toni si fanno anche elegiaci e teneri in "Lezione di musica" e "Compagna Teresa", con qualche ingenuità disseminata qua e là. Capovilla quindi riesce a essere duttile, ma in generale il suo mood vocale è sulfureo e distaccato, ricordando a più riprese i cinici toni declamatori di un Carmelo Bene.
L'apice creativo del disco è forse da individuare nella finale, epica "Maria Maddalena", tutta giocata su controversi temi religiosi, dove fondamentali appaiono i contributi del violino di Nicola Manzan e del violoncello di Angelo Maria Santisi per la drammatizzazione di otto minuti che, da soli, conferiscono una infinita dignità a un'opera decisamente "unica", nel bene e nel male, nell'attuale contesto indie italiano.
L'ampio e quasi unanime consenso di critica (e di pubblico) riscosso dal debutto rendeva il secondo album de Il Teatro degli Orrori uno dei dischi più attesi del panorama nostrano.
A sangue freddo (2009) mantiene l'originalità della proposta, specie sotto il profilo lirico, con un uso eccellente della lingua italiana in strutture musicali che accoglierebbero meglio quella inglese, ma sembra virare verso una scelta stilistica che smussa gli angoli, lasciando da parte il folle impeto noise per un più ragionato (ma a volte non meno rabbioso) furore rock, lasciandosi talvolta andare anche a una ricerca melodica e a citazioni del cantautorato italiano più classico.
L'inizio è spiazzante: preceduta da un lungo sibilo elettronico, come un ecg piatto, "Io ti aspetto" è una storia di attesa e di abbandono, lenta e rassegnata, con archi e piano a sospendere il tempo figurandolo lungo e vuoto come solo l'attesa di vana speranza può essere.
Non c'è tempo di stupirsi dell'inconsueto romanticismo di Capovilla che subito si viene investiti dal muro sonico grunge-metal di "Due", trascinante ritorno alle sonorità dell'esordio così come la seguente title track, inno al poeta-attivista nigeriano Ken Saro-Wiwa, e "Mai dire mai", miscela di hard-rock, melodia pop e spoken word.
Il gruppo degli ex-One Dimensional Man è però in evoluzione e i risultati sono spesso ottimi; come in "Direzioni diverse", ballata di splendida convivenza tra basi elettroniche, archi e potenti chitarre, nell'enfasi poetico-teatrale di "Majakovskij" (rilettura di "All'amato me stesso") o nel fluire lento e dilatato, tra Massimo Volume e Csi, dei dieci minuti finali di "Die Zeit".
Il processo evolutivo ha degli inciampi (vedi "È colpa mia" e "La vita è breve") che però vengono recuperati con i mezzi conosciuti, trasformando, ad esempio, il "Padre nostro" in un rabbioso sfogo o gettandosi in un pazzo rock marziale con uno scatenato Capovilla versione Sergente Hartman ("Alt!").
La scelta stilistica de Il Teatro degli Orrori potrà far parlare tanti su un "ammosciamento" in favore di un maggior consenso di pubblico, ma A sangue freddo non è una crescita con perdita d'identità, bensì un progresso graduale che mantiene salde le radici. Il gruppo di Capovilla e Favero si è presentato alla famigerata seconda prova smorzando i toni e rischiando, omaggiando cantautori come De Gregori e Celentano (ma anche Battiato e Ciampi nei toni) senza tuttavia perdere il fuoco che ardeva nell'album di debutto, costruendo pezzi trascinanti e con il solito gran lavoro di testi e interpretazione.
Un disco di amore, distacco e protesta, mix di rabbia e armonia che conferma il Teatro degli Orrori come la realtà più interessante e stimolante dell'odierno panorama alternative-rock italiano.
Enormi aspettative, così, precedono la terza prova, Il mondo nuovo (2012). Ma il disco non regge il confronto con i lavori precedenti, né a livello di liriche, né dal punto di vista compositivo.
Il mondo nuovo nasce come un concept-album sull'immigrazione e soprattutto reca in sé la voglia di una svolta artistica verso lidi più morbidi, meno spigolosi e più commercialmente favorevoli.
L'inizio è abbastanza coerente col sound dei primi album ("Rivendico", "Non vedo l'ora"), ma già il singolo "Io cerco te" rivela una debolezza assente nella compatta sonorità dei dischi precedenti, "Skopje" comincia già a mostrare le prime differenze veramente sostanziali; una diversa ricerca melodica, qui sotto forma di dettagli orientaleggianti, e l'imponente presenza di Capovilla che pare voler occupare troppo la scena, a volte (come in questo caso) con uno smaccato talking à-la Gaber, altre con una struttura del cantato che si staglia in modo troppo distinto dal contorno musicale, lasciando in molti episodi una sensazione di poca coesione tra le parti e incompiutezza.
Addentrandoci nel disco, la percezione di cambiamento si fa vieppiù evidente, i ritmi africani insinuati ne "Gli Stati Uniti d'Africa", il rap di Caparezza in "Cuore d'oceano", l'acustica elegia nella storia di "Ion", le melodie soft-rock di "Monica" e "Pablo" denunciano tutte l'intenzione di aderire a un mutamento che insieme discosta, seppur parzialmente, il muro noise sinora utilizzato a favore di soluzioni più lievi e consente una esposizione più chiara delle liriche di Capovilla.
Il problema in tutto questo è che la band non pare pronta a questo cambiamento; se alcune tracce sono ben riuscite, come "Adrian", interessante nel suo lento e sinistro crescendo verso la rabbia finale, o come i dissonanti cambi di ritmo di "Doris", non si può fare a meno di notare come Capovilla e soci riescano a dare il meglio quando si muovono sui territori già da loro esplorati.
Forse con un adeguato lasso di tempo in cui lavorare, considerando la statura musicale del gruppo e le sue potenzialità già ben espresse in passato, il futuro potrà dare ragione a questo cambio di rotta, ma per quanto riguarda il presente si deve amaramente constatare che l'ingresso fatto in questo "mondo nuovo" è stato un mezzo passo falso.
Questo album frutta comunque la partecipazione all'edizione 2012 del concertone del Primo Maggio. Nel frattempo l'ideatore Capovilla approfondisce il suo ego poetico e civilmente impegnato in reading di Majakovskji e Pasolini, anche incisi su audiolibro, quindi collabora persino con artisti commerciali come Piotta e Marina Rei.
Il suo primo albo solista, Obtorto Collo (2014), è così il compimento di questa ascesa nel panorama alternativo e poi nazionale. Di fatto un concept di dediche amorose ed elegie personali, il disco accusa però una sostanziale mancanza d'interpretazione e scrittura, ricadendo sempre nel vizio del poetare referenziale, e riuscendo solo in pochi casi ad addentrarsi realmente nell'inferno metropolitano ("Invitami", "Obtorto Collo" e soprattutto l'inedito estromesso dalla versione definitiva "Sogno a colori"). Il suo eclettismo, a spaziare tra riferimenti dotti e sottogeneri pop, non è affatto giustificato dalla sua monotonia.
Il quarto omonimo Il Teatro Degli Orrori (2015) conferma la tendenza del predecessore a insistere su ridondanze e vaneggiamenti. A parte le tastiere della new entry Kole Laca, i nuovi decerebrati panzer sono, al solito, un gratuito baccano che supporta le sceneggiate di Capovilla.
Gli unici costrutti musicali appartengono soltanto a “Bellissima” e a "Genova", ma hanno un contraltare d'imbarazzo nel ritmo ballabile di “Una giornata al sole”. Gli arrangiamenti chirurgici e la produzione scintillante hanno il solo effetto di esaltare la greve ideologia, una retorica a base di didascalie risapute e arringhe paraculo sull'epoca della crisi.
E’ un Pierpaolo Capovilla in gran forma quello che si presenta con i Cattivi Maestri, un gradito ritorno dopo la chiusura del rapporto artistico con il Teatro degli Orrori avvenuta ufficialmente nel giugno del 2020.
Il disco solista del 2014 Obtorto Collo e la ripresa dell’ottimo progetto noise-rock One Dimensional Man nel 2018, avevano mantenuto accesa ogni direzione già intrapresa in precedenza dal poliedrico cantautore nato a Varese, ma veneto d’adozione.
Il piano di lavoro di Pierpaolo Capovilla e i Cattivi Maestri, formazione completata da Egle Sommacal (Massimo Volume), Fabrizio Baioni (LEDA) e Federico Aggio (Lucertulas), nasce dalla volontà di Capovilla di far progredire il corposo materiale da lui ideato nel corso di numerosi anni di riflessioni.
I testi di Capovilla, come al solito taglienti, crudi, a tratti ingiuriosi, strabordanti d’emozione, ma sempre strutturati con la consueta ricerca linguistica e recitati in modo stentoreo, vanno a congiungersi ad arrangiamenti spregiudicati, roboanti, che non concedono nemmeno per un secondo di tirare il fiato.
Un muro spesso e a tratti invalicabile, eretto da staffilate di chitarra e ritmiche basso/batteria a dir poco travolgenti, si mostra l’habitat perfetto per trattare argomenti quali il dissesto esistenziale (“Anita”), le ostilità, in tutte le sfaccettature (“Minute Girl” e “la guerra del Golfo”), le mestizie della reclusione (“Dieci anni”) o l’assoluta indifferenza che logora la comunità, in questo caso con focus su sfondo razziale (“Morte ai poveri”).
L’immagine caravaggesca di copeertina raccoglie perfettamente il senso che l'ensemble ha desiderato infondere a questo primo intenso lavoro, che trasuda di rabbia, turbamento, contestazione, ma che prova a individuare nella sensibilità e nell’amore lo strumento per restare uniti anche nelle peggiori avversità che Capovilla non ha timore di esternare, proprio quelle che le nostre orecchie fanno sempre difficoltà a riconoscere.
IL TEATRO DEGLI ORRORI | ||
Dell'Impero delle tenebre (La Tempesta, 2007) | 7 | |
A sangue freddo (La Tempesta, 2009) | 7,5 | |
Il mondo nuovo (La Tempesta, 2012) | 5,5 | |
Il Teatro Degli Orrori (La Tempesta, 2015) | 4,5 | |
PIERPAOLO CAPOVILLA | ||
Obtorto Collo (La Tempesta, 2014) | 5 | |
PIERPAOLO CAPOVILLAE I CATTIVI MAESTRI | ||
Pierpaolo Capovilla e i Cattivi Maestri (Garrincha Dischi / Sony) | 7 |
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Testi | |
VIDEO | |
La canzone di Tom (videoclip da Dell'Impero delle Tenebre, 2007) | |
Carrarmatorock! (videoclip da Dell'Impero delle Tenebre, 2007) | |
A sangue freddo (videoclip da A Sangue Freddo, 2009) | |
Io cerco te (videoclip da Il Mondo Nuovo, 2012) |