Matia Bazar

Matia Bazar

L'elettrochoc della canzone italiana

Le grandi hit "leggere" degli anni 70, da "Solo Tu" a "Cavallo Bianco". Poi l'impasse e la clamorosa svolta degli anni Ottanta, all'insegna di un modernissimo pop elettronico. Quindi, l'abbandono della storica "voce", Antonella Ruggiero, e la diaspora del 2000, che non ha tuttavia dissolto un marchio ormai storico. La parabola di una delle formazioni più talentuose del pop italiano

di Riccardo Visintin*, Claudio Fabretti

Questa è la storia di una band che ha avuto il coraggio di cambiare faccia, di gettare alle ortiche il facile successo per addentrarsi in territori inesplorati. Una sfida vinta da cinque musicisti liguri: i Matia Bazar.

La storia inizia a Genova dopo un incontro casuale avvenuto a un concerto della Pfm. I tre membri di una formazione chiamata Jet (Piero Cassano, Aldo Stellita e Carlo Marrale) più Giancarlo Golzi (Museo Rosenbach) scoprono il talento di una ragazzina di nome Antonella Ruggiero, professione disegnatrice pubblicitaria, ma in possesso di un’ugola che fa gridare al miracolo. Una voce usata come uno strumento, con una stupefacente estensione, in grado di volare su tonalità impensate. Antonella si fa chiamare "Matia", dal genovese "matan", "pazza". Un’autodefinizione ironica per un talento sempre bizzarro ed estroso. Da primadonna, diranno. E’ lei la stella attorno alla quale ruota la band, che in suo omaggio prende il nome di Matia Bazar.
La line-up originaria è composta da Aldo Stellita (Campobello di Mazara, 1946 – Milano, 1998), bassista e paroliere; Carlo Marrale (Genova, 1952), chitarre e voce; Piero Cassano (Genova, 1950), tastiere e voce; Giancarlo Golzi (Sanremo, 1952) batteria e percussioni; Antonella Ruggiero (Genova, 1952) voce.

Dopo essersi fatti le ossa in locali notturni e balere della riviera ligure con un repertorio essenzialmente fatto di cover, i Matia Bazar ottengono un soddisfacente contratto discografico con l’etichetta Ariston, che consente loro di pubblicare il primo 45, "Stasera che sera" (1975), una tenera ballata soft-pop, che mette in luce soprattutto l’acrobatismo vocale della Ruggiero. Il successo è quasi immediato e il nome della band ligure comincia a diffondersi. Del resto, in quegli anni, in Italia, il sound ultra-melodico va per la maggiore, in tv e nelle classifiche, e i liguri, quantomeno, dimostrano di saperlo fare con una certa classe.

Matia BazarBisogna battere il ferro finché è caldo, a un anno di distanza, quindi, esce il secondo 45 giri.
Il lato A è la delicata "Per un’ora d’amore" (1976), che in pratica bissa il canovaccio di "Stasera che sera": sapori mediterranei e melodie convenzionali, tanto semplici quanto accattivanti.
Ma la vera prodezza è contenuta nel lato B: "Cavallo bianco", infatti, non è solo l’ennesimo, strabiliante saggio delle qualità canore della chanteuse, ma anche una partitura composita, quasi "prog" nel suo avvicendare diverse fasi sonore: l’attacco della batteria, il prologo sussurrato da Marrale, poi il coro a introdurre l’entrata in scena della Ruggiero, i cui gorgheggi, elevati a registri altissimi, si adagiano su densi strati di synth. Resterà probabilmente l’apice della prima fase della loro parabola.

Questi primi tre brani entreranno nella tracklist del loro primo album, l’omonimo Matia Bazar (1976).

Colpisce anzitutto il talento melodico del quintetto, capace di cesellare un bozzetto pop di grande pregio e dolcezza come "Solo tu" (1977), che spopolerà in Europa e anche in Sudamerica, con oltre sei milioni di copie vendute. Talento che a volte, tuttavia, paga pegno a clichè "Italian Style" piuttosto corrivi: "Per un minuto e poi", singolo estratto dal secondo album, Gran Bazar (1977), affonda il solito guizzo melodico in un easy-listening piuttosto "canonico". "E dirsi ciao" (1978) sposa un buon ritornello e un’altra interpretazione di razza a un improbabile andamento alla "Bolero" e a un testo a dir poco ingenuo: eppure trionfa al Festival di Sanremo. "Mister Mandarino" fa molto peggio, cedendo a un terribile refrain kitsch alla Ricchi e Poveri. Ma i Matia Bazar guadagnano inesorabilmente i primi posti delle classifiche e anche il mercato estero inizia a interessarsi con regolarità ai loro lavori. La loro prima raccolta L’oro dei Matia Bazar - Solo tu è il suggello a un marchio dal successo ormai garantito.

Quest'idilliaca situazione potrebbe teoricamente continuare all’infinito: "Tu semplicità" (1978), singolo-traino di Semplicità (1978), "C’è tutto un mondo intorno" (da Tournée, 1979), "Il tempo del sole" (dall’album omonimo del 1980) sono canzoni facili e orecchiabili che paiono scritte apposta per essere gettonate dai juke-box allora in piena attività, i concerti sono sempre affollatissimi e le manifestazioni estive si contendono i Bazar costringendoli a un'ininterrotta presenza sui palcoscenici europei.

Eppure, qualcosa in questo equilibrio raggiunto si spezza: vi è l’esigenza, da parte del leader Aldo Stellita soprattutto, di affrancarsi da un genere musicale divenuto ormai troppo stretto: cresciuti, maturati, i Matia Bazar non sono più gli studenti universitari con l’hobby della musica degli esordi; la musica è diventata la loro professione, e sussiste il desiderio di allargare il proprio mondo artistico, magari attingendo dalle esperienze musicali provenienti da oltreoceano.
L’unico del gruppo a non partecipare al vernissage è Piero Cassano, che anzi abbandona il gruppo passando dietro le quinte come organizzatore e produttore (tra l’altro di Eros Ramazzotti). "Voleva insistere sulla strada facile, noi no. Così se n’è andato", spiegherà Antonella Ruggiero.

Orfani di uno dei fondatori del gruppo, nonché autore di molte canzoni, i Matia Bazar lo sostituiscono con il tastierista e compositore Mauro Sabbione, patito di new wave e di nuove tecnologie, e riorganizzano da capo i loro intendimenti artistici. Tutti loro, è bene sottolinearlo, avevano già diverse esperienze alle spalle: Golzi nei Museo Rosembach, gloriosa formazione di rock progressive dei primi anni Settanta, Carlo Marrale come chitarrista in Brasile.

L’assetto "nuovo" omaggia la Mitteleuropa con un disco difficile quanto affascinante: Berlino, Parigi, Londra (1982).
La sinuosa elettronica di "Fantasia", incipit programmatico dell’album griffato da uno stupendo solo centrale di tastiere, rievoca atmosfere da Seconda Guerra Mondiale: si parla di cospirazioni, soldati in attesa di non si sa che cosa, e nel sottofondo udiamo sirene che spazzano via spensieratezze e superficialità del passato. Ricorda il chitarrista Carlo Marrale: "Eravamo arrabbiati, decisi, quasi punk negli approcci: la nostra casa discografica si era spaventata dall’audacia del nostro nuovo materiale, e difatti fummo costretti ad autogestirlo…".
La straordinaria ripresa di "Lilì Marleen" (voluta da Stellita, che aveva una madre tedesca) si unisce così al lamento esistenzialista di "Stella polare", al furioso rock urbano di "Fuori orario": una nuova vita artistica forte, robusta, del tutto inedita, non inutilmente dolce e senz’altro debitrice negli intenti programmatici a formazioni come i Tangerine Dream, gli Ultravox o i Tuxedomoon.

Antonella Ruggiero - Matia BazarBerlino, Parigi, Londra è il disco che sdogana i Matia Bazar dalla "palude leggera", fino allora frequentata con esiti alterni, verso nuovi, imprevedibili orizzonti.
Anche il video di "Fantasia" è emblematico di questo nuovo corso: Antonella, lunghi capelli riccioluti, non ammicca più sensuale indulgendo in dolcezze mediterranee, ma marcia con passo marziale e aria minacciosa in uno scenario futuribile, mentre gli altri membri della band sfoggiano look decisamente in linea con l’imperante moda wave del periodo. "Ci presero per pazzi tutti – ricorda Sabbione - Il complimento più bello era punkettari: Aldo scriveva in tedesco, Antonella andava a lezioni di canto lirico, Carlo con gli occhiali neri e il trench sembrava uno della Ghestapo, Giancarlo suonava ormai solo con le dita complesse drum machine, mentre io cominciai a suonare la tastiera del computer che era come suonare adesso il tostapane!".

Dalla Mitteleuropa al retrò, al repechage di atmosfere anni Trenta: il successivo progetto discografico, Tango (1983), non è solo un omaggio al ballo più sensuale esistente sulla faccia della Terra, ma un lavoro di cesello in cui confluiscono molteplici suggestioni diverse: il Paese dei Campanelli nell’era del computer.
Prelude al disco l’altrettanto stupefacente performance sanremese: Antonella Ruggiero si presenta sul palco dell’Ariston nei panni di nuova musa retro-sintetica: acconciatura anni 30, tailleur stilizzato bianco su cui fa mostra una spilla démodé, guanti di veletta in tinta e pose ieratiche. Accanto la band, anch’essa di bianco vestita, coi componenti affiancati l’un l’altro alla maniera dei Kraftwerk: lo screen del computer dell’Alpha Syntauri che avvinghia con un cavo Sabbione alla sua tastierina prêt-à-porter, il metronomico fluttuare del contrabbasso elettrico di Stellita, gli sparuti drum pad di Golzi, l’austero sintetizzatore di Marrale. Di chitarre, nemmeno l’ombra.
Nello strabiliante equilibrio fra tradizione melodica italiana e nuovo pop, "Vacanze Romane", con i suoi nostalgismi distaccati ("Roma, antica città/ ora vecchia realtà/ non ti accorgi di me e non sai che pena mi fai"), è una canzone senza tempo, coraggiosa e anticonformista, sorretta dai vocalizzi mai prevaricanti di Antonella Ruggiero, che nel frattempo ha preso lezioni di lirica. Raggiungerà il primo posto in classifica anche in Germania e Olanda.
Il taglio marziale de "Il Video Sono Io" ci propone Antonella intenta a duettare con un vocoder, per quello che sarà anche uno dei clip televisivi più replicati di quella stagione; il testo narra di un futuro tecnologico, anche se l’ironia fa capolino e si allude alla possibilità di un "ponte" tra il passato e il futuro, ove convivano felicemente il libro e lo schermo. All’umoristico surrealismo dell’african reggae per sintetizzatori di "Palestina" ("L’antico oracolo non sa rispondere/ a quel turista in cerca di un hotel") fa da contraltare l’esaltante cavalcata di "Elettrochoc", il cui refrain di tastiere farebbe la gioia di Billy Currie.
Raffinatissimo, al solito, il lavoro letterario di Aldo Stellita, che liriche ora evocative ora giocose, innovative ma solo in apparenza ostiche, in parte associabili agli intellettualismi di Franco Battiato e ai divertissement verbali del Pasquale Panella di carelliana memoria. "Intellighenzia", allora, è un affascinante gioco linguistico sopra il quale "soffia" la voce di Antonella deformata piacevolmente dal synth; "I bambini di poi" affronta un tema apocalittico, di minaccia atomica sulle nuove generazioni, collegando coraggiosamente fulminanti nonsense linguistici e sfoderano un epico ritornello di marca Ultravox.
Se "Tango Nel Fango" è il passaggio più prevedibile e didascalico, forse la traccia più rappresentativa del disco, quella che esemplifica il nuovo corso del Bazar, e che rivela un imprinting nettamente europeo, è "Scacco un po’ matto", con il vocoder che doppia la voce femminile e un lungo fraseggio centrale che sembra provenire dalle session di Berlino, Parigi, Londra. Una minisinfonia avant-pop che sarebbe interessante riproporre oggi, come molta della produzione fin qui esaminata.

Esotismi mediterranei sorpresi a braccetto con inappuntabili umori mitteleuropei, melodie vocali supportate da un’ugola con pochi eguali nel panorama italiano che si fondono con echi di synth-pop d’oltremanica, strumentazione all’ultimo grido saldamente guidata da una produzione che ha fatto scuola: sono questi gli ingredienti che fanno di Tango un disco da ricordare. La risposta è da rintracciare principalmente in due nomi: Mauro Sabbione e Roberto Colombo. ""Ascoltavamo Ultravox, Kraftwerk, Joy Division, Peter Gabriel ma anche The B-52’s e la musica lirica italiana, mentre mettevamo a punto i nuovi pezzi che sarebbero stati l’ossatura del periodo postmoderno". Mauro Sabbione è l’uomo nuovo delle tastiere, il più attento ai nuovi impulsi tecnologici. Roberto Colombo è il produttore artistico, collaboratore eccellente della Pfm (partecipò, fra l’altro, al progetto live della band progressive con Fabrizio De André), già dietro ai banchi con Ivan Cattaneo. Il resto (non poco) lo fa il songwriting, in cui si cimentano anche i navigati Golzi e (soprattutto) Marrale.

A questo punto, sarebbe logico aspettarsi dai Matia un comodo asservimento alla neomoda retrò, che inizia a interessare anche un pubblico più vasto.
Invece, con una delle loro tipiche trasformazioni camaleontiche, che rappresentano un tratto distintivo, caratteriale, del gruppo, i Matia Bazar si addentrano in un’operazione discografica ancora più ostica della precedente: Aristocratica (1984).

Prima delle registrazioni, però, si consuma un'altra separazione, quella con Mauro Sabbione, l'artefice della svolta "sintetica" della band. "L’idea era di incamminarci in una direzione ancor più d’avanguardia che però mantenesse dei connotati popolari - racconta lo stesso tastierista - Con il titolo 'Hotel Mister Kappa' stavamo mettendo a punto un disco concettualmente kafkiano che prevedeva collaborazioni anche con altri musicisti; avrebbe dovuto contenere parte del materiale poi finito in 'Aristocratica', oltre ad altri brani che avevo scritto io. Solo che questa volta i discografici intervennero, pretendendo che il nuovo lavoro riprendesse gli stessi temi del predecessore, cosa che, in effetti, accadde. Allora decisi di abbandonare il gruppo, senza alcun rancore o risentimento".

Antonella Ruggiero con Aldo Stellita - Matia BazarPur nel solco della continuità col predecessore, Aristocratica è comunque un lavoro audace e avanguardistico: azzerate le atmosfere retrò (a parte l’orchestrina tzigana che preannuncia "Milady"), i Matia lavorano a un progetto artistico oltre che musicale, grafico e scenografico oltre che sonoro.
Trasferitisi ormai da tempo stabilmente a Milano, i Matia Bazar erano entrati in contatto con le realtà artistiche più giovani del capoluogo lombardo, quali "OcchioMagico" e "Fragola e Panna", studi grafici dalle idee dinamiche e moderne.
Così, l’avventura di Aristocratica parte dalla copertina, geometrica, molto colorata e invasa da simboli di varia natura, e continua con una corrente sonora (il termine "idrico" è il più idoneo a illustrare il disco) che dopo la poesia a suo modo "neoromantica" della title track s'inerpica attraverso l’esotismo percussivo di "Carmen", il decadentismo irridente di "Milady", e soprattutto attraverso l’impazzita giostra di "Sulla scia", costruzione ritmica a tutt’oggi attualissima, anzi anticipatrice del lavoro di gruppi quali Subsonica o Scisma.

Nel disco (ma, a questo punto, sarebbe meglio parlare di progetto multimediale) i materiali sonori si spezzettano, si frammentano, in un gioco musicale e verbale che assembla canti islamici, la voce campionata di Che Guevara, suoni apparentemente inconciliabili fusi in una costruzione geometrica che ha rappresentato un esperimento felice e "apri-pista" per le future band italiche.
Naturalmente tanta audacia avanguardistica non poteva che frastornare il pubblico abituale del Bazar: le vendite si mantengono basse, scarse sono le apparizioni televisive, mentre un certo riscontro e un appoggio provengono dalle radio private, da sempre sostenitrici della formazione ligure (e il gruppo contraccambierà festeggiando il ventennale della nascita delle emittenti private e intitolando il proprio disco del 1995 RadioMatia).
Del resto, il chitarrista Carlo Marrale ebbe a dichiarare: "Sapevamo benissimo a cosa andavamo incontro, addentrandoci in un operazione così pionieristica…"
La conclusione della trilogia iniziata con Berlino, Parigi, Londra è anche la conclusione del periodo artistico più avanguardistico dei Matia Bazar: un triennio in cui la formazione ha lavorato essenzialmente per se stessa, per il proprio piacere personale, ignorando le pressioni del music business, costruendo un repertorio sonoro a cui si sono riagganciati in molti (basti solo pensare agli Ustmamò di Mara Redeghieri).

Nel 1985, partecipando a Sanremo con "Souvenir", i Matia Bazar si lasciano alle spalle gli sperimentalismi del passato per rivolgersi a una poetica in cui riaffiorano le basi melodiche che caratterizzavano le armonie di Marrale-Cassano, come l’indimenticata "Cavallo bianco", unite a un certo gusto "decadente".
"Souvenir", che ottiene il Premio della Critica al Festival, anticipa di qualche mese la pubblicazione del nuovo album del gruppo, Melancholia (1985), il titolo che lo scrittore e filosofo Jean Paul Sartre voleva originariamente dare al suo capolavoro "La nausea".
Si tratta di un lavoro compatto, elegante e raffinato, che s'inserisce come uno dei pochi prodotti italiani, in quella seconda metà anni Ottanta invasa dal predominio musicale straniero, tra Sting e il new cool raffinato di Sade, in grado di non sfigurare nelle trasferte artistiche fuori penisola.
Addolcendo i toni, inserendosi in una corrente musicale che può rimandare a formazioni come i Working Week, i Matia approdano a un nuovo sound, sempre compiutamente "europeo".
Le chitarre di Carlo Marrale ritornano a pulsare forti e potenti, la voce di Antonella s'addentra in territori vocalmente arditi, il non comune talento ritmico di Giancarlo Golzi si sdogana dalle batterie elettroniche del passato per riguadagnare l’ovile, e il talento organizzativo "inglese" di Sergio Cossu (nuovo tastierista) supervisiona l’intero lavoro.
L’incipit del disco, "Ti sento", si colloca immediatamente ai primissimi posti delle classifiche europee, ma le preziosità del disco stanno forse da un’altra parte: nel tormentato lamento d’amore di "Angelina" (ove si fa del sarcasmo sul passato dei Matia, annunciando che Mister Mandarino non vola più), nell’ipnotismo evocatore di "Amami", nella minisuite che collega "Cose" a "Da qui a…" in un unico blocco new wave di straordinario impatto.

L’appetibilità di una proposta musicale così vincente convince la band a una lunghissima tournée europea. Spronati dal loro produttore, Roberto Colombo, i Bazar ottengono lusinghieri riconoscimenti proprio nei paesi ove li si criticava perché eccessivamente "sinfonici".
Con il definitivo ingresso in formazione di Sergio Cossu, tastierista numero tre dopo Piero Cassano e il fulmineo Mauro Sabbione, il gruppo guadagna in stabilità.

Dopo lunghi mesi di concerti che "assorbono" l’intero 1986, i Matia si rimettono al lavoro per il nuovo album: si tratta di Melò (1987), altro disco notevole, ma anche unico parziale insuccesso nel carniere della formazione genovese. Qui la ricerca di un suono mediterraneo, caldo, "colorato" appare evidente.
I credits rivelano l’assenza di Carlo Marrale in fase compositiva, ma questa mancanza viene mitigata dal lavoro intensissimo degli altri, a cui si aggiunge ormai dal 1981 come collaboratore esterno Marco Guzzetti.
Il disco si affaccia sulle sponde del jazz attraverso il recupero di atmosfere care a Thelonius Monk ("Oggi è già domani… intorno a mezzanotte"), recupera istintualità blues e funky ("Grande piccolo mondo"), si concede un tappeto ritmico totalmente scritto da Antonella Ruggiero ("Aria"), unisce l’elettropop (il singolo "Noi") a reminiscenze funky ("Mi manchi ancora"), chiude alla grande con uno stupendo esempio di lirismo d’atmosfera ("Vaghe stelle dell’orsa"), probabilmente uno dei momenti più felici dell’intera produzione del Bazar.
La letteratura e il cinema si rincorrono nei testi bellissimi di Aldo Stellita, mentre è straordinaria la resa sonora dell’album, registrato alla Maison Blanche di Modena assieme a musicisti e tecnici dell’area bolognese. Certo sembra di guardare in faccia un altro gruppo, rispetto a quello che nel 1984 si concedeva un "dedalo sonoro" quale "Mosca Helzapoppin", brano mutuato assemblando suoni originari ad altri tratti dall’opera rock "The Snowman": ma della poliedricità, dell’imprevedibilità dei Bazar tutti sapevano, esegeti e detrattori.

Proprio in questo periodo, così fecondo dal punto di vista ispirativo, iniziano i primi attriti all’interno del gruppo, legati a motivazioni non solo artistiche ma interpersonali.
Quando partecipano a Sanremo '88 con "La prima stella della sera", che ripercorre le strade melodiche del passato, i Matia hanno già deciso che non rinnoveranno il contratto discografico in questa formazione. Eppure la critica musicale presente nel bailamme sanremese non esita a indicare Antonella e soci come gli unici "indiscutibili" di talento ospiti in Riviera. Nel testamento del complesso è anche un esplicito omaggio al Bazar che fu: un disco senza sperimentalismi e aggressività sonore, ma prezioso nella sua semplicità, a tratti malinconico, con il recupero della coppia vocale Ruggiero-Marrale e un mucchio di "belle canzoni d’amore" old styled.

Red Corner, angolo rosso del cuore e della memoria, si fregia di una copertina elaborata fotograficamente da Carlo Marrale e si muove tra echi nostalgici simil-tango ("Besame", in cui si parla di Aids), formidabili rock sanguigni ("Caccia alle streghe", sarcastico ritratto di un’Italia fine anni Ottanta), irresistibili odi al legame di coppia ("Stringimi"; "Sentimentale") e una chiusura di sipario degna di tutto quanto realizzato dai Matia Bazar in quindici anni di carriera, vale a dire "Nell’era delle automobili"; due minuti di jazz da brivido sulla schiena.
Nelle note interne di copertina i Matia Bazar ringraziano Edoardo Bennato per l’intervento in "Winnie", ma soprattutto il loro pubblico, per una presenza affettuosa e costante attraverso così tanti cambiamenti di stile e di fede sonora.

Antonella Ruggiero, che per un bel po’ d'anni a venire vorrà scordarsi della sua appartenenza ai Matia, fornisce una testimonianza toccante degli ultimi fuochi con il gruppo: "Ricordo l’ultimo concerto insieme, una sera di fine settembre 1989; si trattava di un’esibizione all’aperto, al Parco Lambro a Milano. Mentre cantavo iniziò a piovere... Io mentalmente salutavo il pubblico, pensando alle valigie pronte a casa. Non era soltanto la fine di una lunga tournée, perché il giorno seguente saremmo andati tutti in vacanza, ma anche la fine di un periodo della mia vita, perché di fatto il complesso non esisteva più: ma questo i nostri fan non lo sapevano ancora...".

Uniti da un irresistibile amore per la musica in tutte le sue forme, incapaci di tirarsi indietro di fronte a una nuova sfida musicale, i Matia Bazar hanno pagato sempre in prima persona le loro ardite scelte, e non a caso in molti sorrisero con sciocca superiorità quando dalle melodie traboccanti di miele quali "Italian sinfonia" o "Il tempo del sole" (entrambe pubblicate nel 1980) il gruppo passò alla new wave mitteleuropea di Berlino, Parigi, Londra. Eppure, proprio nel succitato album Il tempo del sole Antonella si produceva in un brano quasi progressive come "Non mi fermare", e in generale, salvo gli inizi, non si può non riconoscere alla formazione genovese di aver sempre cercato di diversificare il proprio linguaggio musicale.

Volendo addentrarsi in una disamina delle singole individualità dei Matia Bazar, non si può fare a meno di notare il carattere d’indispensabilità di ognuno di loro: dal "maître a penser" Aldo Stellita, straordinaria figura di poeta introverso, sognatore e generoso, che ha lasciato orfani i Matia nel 1998; a Carlo Marrale equilibrista delle sei corde, artefice di quel carattere caldo, esotico, "mediterraneo" come si diceva, che non è mai mancato neppure nelle prove discografiche più ostiche del gruppo; da Giancarlo Golzi, motore ritmico della formazione e attuale titolare del "marchio" Matia Bazar, ai tastieristi Mauro Sabbione e Sergio Cossu, uomini decisivi per i Bazar degli anni Ottanta, per l’autonomia di un suono "nuovo" e moderno. La dolcissima Antonella Ruggiero dagli occhi magnetici ha rappresentato ben di più che una cantante, per il complesso nato nelle cantine del Porto di Genova: a tutt’oggi, nonostante sia stata rimpiazzata prima con Laura Valente, poi con Silvia Mezzanotte e infine con Roberta Faccani, rimane l’icona femminile con cui si identificano i Matia Bazar.

Certe ferite non si rimarginano facilmente: il successo "retroattivo" di un progetto discografico quale "Registrazioni moderne" (1997) in cui la Ruggiero rivive il suo tempo migliore nei Bazar circondandosi di gruppi del Duemila che all’epoca di "Vacanze romane" andavano ancora a scuola, dimostra come l’affetto (per un gruppo, per un determinata serenità temporale o sociale, per un sistema di note incrociate che ristagnano nella memoria) non sia acqua.
Quel settembre 1989, quindi, i Matia chiudono i battenti e bisognerà aspettare il 1991 per ritrovarli, a sorpresa, affiancati da una nuova vocalist come Laura Valente, che riporterà il complesso a un sound "quotidiano", sentimentale, certamente meno originale e interessante, ma non privo di qualità.
Poi, ci sarà il rientro di Piero Cassano, che accompagnerà la band negli anni Duemila, riportandola a un easy-listening senza grandi pretese.
Altri passaggi temporali, altri abbandoni, soffertissime vicissitudini che portarono peso alla leggenda di un gruppo fortemente instabile (come confermò la Ruggiero: "Siamo degli schizofrenici di base, non riusciamo ad essere una sola storia: siamo tante storie"). Le redini del gruppo vengono prese da Giancarlo Golzi, che del senso dei Matia Bazar nella sua vita ha lapidariamente riferito: "Sono sempre stati una fede, per me".

L’era 2000 è targata soprattutto Silvia Mezzanotte, voce preziosa ("Brivido caldo"), e poi ancora Roberta Faccani, subentrata nel 2005. Con la fuoriuscita dal nucleo di quest'ultima, inizia la ricerca di una nuova voce femminile. Ma a sorpresa, il 20 settembre 2010, c'è il ritorno di Silvia Mezzanotte come solista, insieme alla quale il gruppo pubblica il singolo "Gli occhi caldi di Sylvie" (musica di Piero Cassano e Fabio Perversi, testo di Adelio Cogliati e Giancarlo Golzi arrangiamento di Fabio Perversi).

Dopo tre anni di silenzio discografico, nel 2011 esce l'album Conseguenza logica e nel 2012 il complesso partecipa al 62º Festival di Sanremo con il brano "Sei tu", che non riesce però ad accedere alla fase finale.

Il 12 agosto 2015, però, arriva la tragica notizia che sembra porre fine alla stessa esistenza del marchio Matia Bazar: muore improvvisamente, a seguito di un infarto, lo storico batterista Giancarlo Golzi. Un anno dopo si chiude anche la collaborazione con Silvia Mezzanotte, mentre nel maggio 2017 anche Piero Cassano abbandona la formazione, dando inizio a un periodo d'incertezza sul futuro della band.

Dopo un periodo di silenzio, al Festival di Bellaria 2017 esordisce una nuova formazione dei Matia Bazar, capeggiata ora dal polistrumentista Fabio Perversi, che - dopo aver provato invano a riunire i membri storici rimasti - ne riceve comunque l'incoraggiamento (in primis dalle famiglie degli scomparsi Golzi e Stellita e dallo stesso Cassano) a portare avanti il percorso. Perversi, nella band dal 1998, racconta di una promessa fatta a Cassano e Golzi, i quali avrebbero desiderato che il progetto Matia Bazar un giorno potesse sopravvivere ai suoi fondatori.

La ripartenza avviene nel 2018 con il singolo "Verso il punto più alto", attraverso il quale viene svelata la rinnovata formazione composta dal veterano Perversi, dalla nuova cantante Silvia "Luna" Dragonieri, dalla batterista Fiamma Cardani, dalla bassista Paola Zadra e dal chitarrista Piero Marras. In particolare, la scelta della talentuosa Dragonieri, che lo stesso Perversi e Cassano erano sul punto di produrre come solista prima della morte di Golzi, appare coerente con la grande tradizione di voci femminili del gruppo, viste anche certe affinità che mostra con lo stile inimitabile della Ruggiero.
Chiuso un contenzioso legale con il duo Marrale/Mezzanotte sull'uso del marchio in formato live, arriva un nuovo cambio di line-up, che vede Perversi e Dragonieri affiancati da Piercarlo "Lallo" Tanzi alla batteria, Silvio Melloni al basso e il chitarrista Gino Zandonà. Questa nuova incarnazione dei Matia Bazar esordisce a maggio 2022 con il singolo "Non finisce così", frutto di un testo ritrovato fra gli appunti di Giancarlo Golzi e musicato successivamente con la partecipazione di Piero Cassano, quasi a unire passato e presente della band.
Ma questa è, decisamente, tutta un’altra storia...

* © Fucine Mute 17

Contributi di Marco Bercella ("Tango")

Matia Bazar

Discografia

Matia Bazar (Ariston, 1976)

Gran Bazar (Ariston, 1977)

L'oro dei Matia Bazar - Solo Tu (antologia, Ariston, 1977)

Semplicità (Ariston, 1978)

Tournée (Ariston, 1979)

Il Tempo del Sole (Ariston, 1980)

Berlino, Parigi, Londra (Ariston, 1981)

Tango (Ariston, 1983)

Il Treno Blu (Ariston, 1983)

Aristocratica (Ariston, 1984)

Melanchòlia (Ariston, 1985)

Melò (CGD, 1987)

Red Corner (CGD, 1989)

Anime Pigre (DDD, 1991)

Tutto il mondo dei Matia Bazar (antologia, Virgin/FonitCetra, 1992)

Dove le canzoni si avverano (DDD, 1993)

Radiomatia (PolyGram, 1995)

Tutto il meglio dei Matia Bazar (antologia, Virgin, 1996)

Benvenuti a Sausalito (PolyGram, 1997)

The Very Best Of Matia Bazar - Souvenir (doppio cd, antologia, Virgin, 1998)

Brivido Caldo (Bazar Music, 2000)

Dolce canto (Bazar Music, 2001)

Messaggi dal vivo (live, Bazar Music, 2002)

Profili svelati (Bazar Music, 2005)

One1 Two2 Three3 Four4 (Bazar Music, 2007)

The Platinum Collection (triplo cd, antologia, Virgin, 2007)

One1 Two2 Three3 Four4 Volume 2 (Bazar Music, 2008)

Fantasia: Best and Rarities (doppio cd, antologia, Virgin, 2011)

Conseguenza logica (Bazar Music, 2011)

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Solo tu (videoclip, 1997)
Cavallo bianco (live, 1980)
Fantasia (videoclip, da Berlino Parigi Londra, 1981)
Vacanze Romane (live a Sanremo, 1983)
Elettrochoc (live, da Tango, 1983)
Il video sono io (videoclip da Tango, 1983)
Aristocratica (videoclip da Aristocratica, 1984)
Ti sento (live da Melancholia, 1985)