Erasure

Erasure

Il segreto degli Innocenti

Il circo elettronico degli inglesi Erasure ha piantato le tende in maniera stabile nelle classifiche di mezzo mondo, grazie a un felice connubio di ritmi danzerecci e melodie orecchiabili. Tra musica, impegno civile e attivismo gay, ecco la storia di Vince Clarke e Andy Bell, maestri di canzoni pop semplici ed essenziali

di Giuseppe D'Amato

"Oooh... do we not sail on the ship of fools?"

Gli Erasure, croce e delizia di pubblico e critica, fenomeni da baraccone e artisti di razza. Difficile cucire loro addosso un'etichetta o trovare loro una collocazione stabile nell'era digitale: maghi del sintetizzatore oppure meteore da juke-box? Prestigiatori del dancefloor o vecchie glorie della disco music, di quelle buone al massimo per la stagione dei revival? Tanti exploit clamorosi ma anche flop, strafalcioni, accuse di frivolezza e stramberie di ogni tipo. Insomma, mettiamola così: gli anni, ovvio, si fanno sentire, e la parabola discendente sembra ormai imboccata già da un pezzo anche per un duo così scoppiettante e all'apparenza inossidabile, ma se è vero che i numeri servono a qualcosa, allora quattro decenni in musica cavalcati a spron battuto, più di venticinque milioni di dischi venduti nel mondo e una sfilza di singoli top-class fanno di Vince Clarke e Andy Bell due autentiche istituzioni dell'elettropop britannico e in assoluto uno dei binomi più longevi e prolifici degli anni Ottanta.

Vince e i suoi fratelli

La band si forma a Londra ufficialmente nel 1985, mai come in questo caso, però, occorre fare un passo indietro nel tempo e scavare sino alla radice per rinvenire le sue origini più vere. Siamo a South Woodford nell'Essex, contea orientale dell'Inghilterra. Vincent John Martin "Vince" Clarke nasce qui, il 3 luglio del 1960, trascorre però l'infanzia qualche chilometro più in là a Basildon dove, ancora bambino, si iscrive a scuola di musica e prende lezioni di piano e violino assieme ai suoi fratelli: gli torneranno utili verso i quindici anni, quando inizierà a comporre le prime canzoni. La grande passione, però, sono i sintetizzatori: a folgorarlo sono band seminali quali Omd e Human League (in particolare i primi, additati come sua massima fonte d'ispirazione) ma anche Daniel Miller e Fad Gadget (altri precursori del genere, più avanti si ritroveranno a braccetto nella stessa scuderia Mute Records). Così, messe da parte velleità adolescenziali in cui presta chitarra e voce militando in band di durata fugace, sul finire degli anni 70 rompe gli indugi e prende confidenza col giocattolo preferito, le tastiere, di ogni taglio e formato. Piano, synth, organo, poco cambia: è il punto di non ritorno di una carriera intensa e ricca di soddisfazioni, che lo vedrà ergersi a maestro del settore sino a diventarne nel giro di pochi anni uno dei leader riconosciuti a livello internazionale. Ma facciamo un po' di ordine...

Vince Clarke nei Depeche ModeNon molto tempo dopo aver terminato le scuole superiori, Clarke inizia a frequentare i raduni pomeridiani della Youth Fellowship tenuti da Kevin Walker, tre anni più grande di lui, nella parrocchia di Basildon, dove insieme ai bambini intonano canti gospel; la sera, invece, si ritrovano nell'appartamento di Clarke a strimpellare filastrocche allegre e melodiche di stampo religioso (alla maniera folk-acoustic di Simon & Garfunkel, per intenderci) trasmesse anche da una piccola radio locale e portate in giro tra chiesette di quartiere, college e festival open air in mini-set della durata di una quarantina di minuti ciascuno.
Kev & Vince (talvolta anche Nathan, dal titolo di un loro brano) restano attivi dal 1976 al '79, quando Vince ha il capriccio di cambiare rotta, incuriosito dalle nuove possibilità offerte dall'elettronica. A Kevin, però, l'idea non piace e decide di proseguire nel suo onesto cammino di predicatore e carpentiere (i rapporti restano buoni, ma più avanti avranno a che battibeccare sulla genesi di alcuni brani degli Yazoo, "Only You" su tutti) mentre Clarke nel maggio dello stesso anno ripesca il vecchio compagno di studi Andrew Fletcher (al basso) con cui fonda i No Romance In China, stavolta con un piglio decisamente più rock (Police e Cure tra le influenze principali, sono entrambi grandi ammiratori di Robert Smith e vengono sedotti dall'uscita di "Three Imaginary Boys"). Pete Hobbs alla batteria e Sue Paget alla chitarra completano una line-up che si dissolve entro poche settimane ma fa comunque in tempo a scrivere un pezzetto di storia, se è vero che parliamo in embrione dei futuri Depeche Mode.
La gestazione del feto è convulsa e sfaccettata e si nutre in un primo momento dell'aggiunta del talentuoso Martin Gore, polistrumentista abile e di belle speranze (un passato da voce e chitarra nei Norman And The Worms) che in quel periodo si adopera alle tastiere per i French Look, terzetto solo-synthesizer tra le cui file milita anche Robert Marlow, altro amico fraterno della combriccola e in primis di Clarke, tanto che i due negli stessi giorni approntano un progetto parallelo a nome The Plan (si chiude con un nulla di fatto ma avranno modo di rifarsi nel 1983 con la pubblicazione di quattro singoli ad appendice dell'album "The Peter Pan Effect").

È tempo di grandi cambiamenti per Vince Martin (come suole firmarsi all'epoca), finalmente libero di affilare le armi e imbracciare l'arnese preferito. "Cercavamo un sound a-là Ultravox ed eravamo legati da grande amicizia", così Marlow sulla parentesi The Plan e il rapporto con Clarke. "L'uso dei sintetizzatori inoltre favoriva il processo di crescita e consentiva un'evoluzione creativa rispetto alle abitudini precedenti. Apprezzavamo molto John Foxx, pezzi come 'The Man Who Dies Everyday' o 'Saturday Night In The City Of Dead' si possono ottenere solo in questo modo". Ma mentre Robert può chiedere a sua madre di comprargliene uno nuovo di zecca, Vince deve invece lavorar sodo per potersi permettere un Kawai 100F appena discreto, così nel tempo libero si arrabatta come può. "La faccenda mi stuzzicava parecchio, Rob era la prima persona che conoscessi ad avere un Korg 700", ricorda Clarke, che poi aggiunge: "Forse oggi sarei ancora operaio in qualche stabilimento della Ford, chi può dirlo, o magari autista su e giù per le strade dell'Essex, ma poi vennero fuori cose tipo 'Are Friends Electric?' di Gary Numan o 'The Pleasure Principle' e ne restammo tutti rapiti. A me, ad esempio, piacque molto 'Electricity' degli Omd e soprattutto la sua b-side 'Almost', entrambe sprigionavano un non so che di nuovo, moderno e intrigante, bastavano solo due dita per creare melodie fantastiche. Pensai che sarebbe stato da sciocchi non provarci e con i soldi messi da parte riuscii a comprare un synth tutto per me".
Giornate intere sul divano a comporre riff di tastiera oppure a programmare i sequencer: è l'autunno del 1979 e nascono i Composition Of Sound dalle ceneri dei No Romance in China deposte nell'urna pochi mesi prima da Clarke e Fletcher, che adesso decidono di reclutare Martin Gore in pianta stabile.
Martin Gore bought a synth, so we got him in the band because he had a keyboard. Then we decided that we couldn't play guitar - we were crap at it - but we could get away with playing synthesizers, because you only need two fingers.
(Vince Clarke)

Due tastiere, un basso e l'immancabile drum machine, in questo modo il trio è ben equipaggiato e non sente la necessità di un frontman a tutti i costi; il fato però è alle porte e bussa nell'aprile del 1980, quando la band si reca in sala prove al Woodlands Youth Club per l'occasione senza Gore. Quel mercoledì sera, infatti, Martin è impegnato a suonare con l'altra sua band, i French Look, proprio in una stanzetta adiacente dello stesso edificio, e si portano appresso a mo' di ingegnere del suono un loro amico intento a giocherellare con le manopole, alzare e abbassare i volumi e cose del genere, tale David Gahan che durante una pausa dalle jam session strappa il microfono e spiazza tutti improvvisando "Heroes" di David Bowie. Pochi metri più in là, nel corridoio a fianco, Clarke origlia di nascosto e intuisce che il registro vocale del ragazzo può far al caso dei suoi Composition Of Sound, così una settimana dopo lo convoca per una breve audizione. "Gli suggerimmo alcuni pezzi per scaldarsi, un paio originali scritti da me che in verità non interpretò molto bene, mentre si trovò perfettamente a suo agio nel cantare 'Virginia Plain' di Bryan Ferry che già conosceva bene visto che era un accanito fan dei Roxy Music".
Ribelle e trasgressivo, Gahan ha la stoffa del leader e si unisce al gruppo, che a quel punto mette al bando ogni strumento acustico tradizionale in favore di apparecchiature sofisticate in linea con le nuove tendenze. Pochi mesi ancora e su consiglio del cantante la formazione si ribattezzerà Depeche Mode, appellativo più trendy che li consegnerà alla storia.

Some Bizzare...

Col nuovo e stavolta definitivo nome (ispirato da un'omonima rivista francese), il neonato quartetto esordisce il 24 settembre 1980 alla Bridge House di Londra come opening act dei Comsat Angels. Quindici sterline la parcella, "Photographic" il titolo del pezzo che va ad arricchire il palinsesto del "Some Bizzare Album", compilation/vetrina per future icone del synth-pop quali Blancmange, B-Movie, Soft Cell o The The. Oltre ai Depeche Mode naturalmente, che, scritturati dal boss della Mute Records Daniel Miller, lanciano un ri-edit del brano nel loro primo studio-album "Speak And Spell", pubblicato nell'ottobre '81 e trainato dai singoli "Dreaming Of Me", "New Life" e "Just Can't Get Enough", interamente pensati da Vince Clarke che ad appena vent'anni si converte in uno dei più rinomati specialisti in materia e artefice principale del decollo della band. Il suo marchio è ben impresso anche sul resto della tracklist, eccezion fatta per un paio di episodi ("Big Muff" e "Tora! Tora! Tora!") firmati Gore, che ne raccoglierà il testimone al momento dei saluti.
L'insperato successo del disco esige infatti un giro promozionale lungo ed estenuante, terminato il quale Clarke non sembra affatto convinto della vita on the road e delle pretese artistiche dei soci, intenzionati a sperimentare sonorità più cupe e atmosferiche. "Non ricordo esattamente il motivo per cui decisi di lasciare - taglia corto - seguii il mio istinto, fa parte del gioco ma non mi pento. Molti mi chiedono se non avessi immaginato l'enorme popolarità cui erano destinati i Depeche Mode... Che dire, sono fortunato nel mio lavoro, va bene così", chiosa senza rimpianti l'infaticabile Vince, che non se ne resta con le mani in mano e in capo a pochi mesi torna in pista con gli Yazoo, duo che per un biennio godrà di enormi fortune grazie anche alle vigorose performance di Alison Moyet, interprete calda di matrice bluesy con la dinamite nelle corde vocali.

Vince Clarke - Alison Moyet - YazooIl debut "Upstairs At Eric's" (del 1982) e il successivo "You And Me Both" (luglio 1983) si piazzano rispettivamente in seconda e prima posizione nelle classifiche Uk degli album più venduti, forti di instant-classic come "Don't Go", "Only You", "Situation" e "Nobody's Diary", sapientemente confezionati da Clarke secondo una formula ben collaudata che aveva contraddistinto, ad esempio, anche "Speak And Spell" pochi mesi addietro, ossia melodie accattivanti a cadenza uptempo su battiti dance di sicuro effetto.
Fuori dagli studi di registrazione però i rapporti tra i due sono pressoché inesistenti e la strana coppia si scioglie: la Moyet allora si incammina verso un percorso solista di grande avvenire, Vince invece chiama lesto in causa il collaboratore storico Eric Radcliffe, esperto sound engineer che tanta parte aveva avuto nel buon esito delle produzioni precedenti (il titolo "Upstairs At Eric's" rimanda direttamente ai suoi Blackwings Studios dove era stato perfezionato).
Il nuovo team partorisce un unico singolo, l'ottima "Never Never" che raggiunge il quarto posto delle chart inglesi, valorizzata dall'ex-Undertones Feargal Sharkey alla voce e "Clem" Clempson alla chitarra elettrica, e dal suo lato B "Stop/Start", assolo strumentale di pregevole scelta stilistica che chiude l'esperienza del moniker e più in generale questa movimentata prima fase della carriera di Clarke.

41, Andy Bell, gli Erasure

Singer wanted by songwriter.
(Melody Maker, 1985)

Nel frattempo a Peterborough, nel Northamptonshire, Andrew "Ivan" Bell (25 aprile 1964) vien fuori da un background completamente diverso, ma prova comunque a farsi strada. Primo di sei figli, sua madre ha solo diciassette anni quando lo mette al mondo, il padre diciannove. Cresce nell'area residenziale di Dogsthorpe dove ancora oggi abita la sua famiglia d'origine, ed entra subito nei cori della Infants And Junior School così da sviluppare, ancor giovanissimo, una certa propensione per il canto. "In città dilagava una fervente ondata punk, cercai di inserirmi ma avevo un carattere troppo molle che risentiva di un'educazione rigida. Bazzicavo i concerti ma non mi piaceva la violenza, spesso le prendevo dato che ero abituato a giocare con le mie sorelle, di conseguenza anche i miei modi divennero parecchio effeminati. Sfortunatamente non c'era molto da fare per gli adolescenti se non ubriacarsi o fare a botte, era davvero dura per noi gay trovare spazio se non sul retro del Bull Hotel, lì incontrai il fratello di Jill (la sua migliore amica, ndr) che invece frequentava i night club di Londra, così insieme meditammo di trasferirci".
Appena maggiorenne, dunque, tenta il salto nella capitale dove per un periodo sbarca il lunario come garzone al banco macelleria nel Sainsbury's Market e in seguito da Debenhams come rivenditore ambulante di scarpe da donna. Tra i poster appesi in camera campeggiano Tourists, Japan, Siouxsie e Blondie, lui invece si fa prima le ossa qualche settimana nei Void, quindi con l'amico bassista Pierre Cope forma i Das Baume (in tedesco "gli alberi") e prende dimestichezza con la scena pub-rock locale (più tardi modificheranno lo pseudonimo in Dinger, che per ovvie ragioni è il nickname di Bell, significa infatti "Campanello").
Pubblicano il singolo "Air Of Mystery", ma Andy sogna in grande con legittime ambizioni e all'appuntamento con la storia non si fa cogliere impreparato. In quegli stessi giorni infatti Clarke ufficializza il divorzio professionale da Alison Moyet e parte alla ricerca di possibili sostituti, così piazza un trafiletto sulla rivista musicale Melody Maker.

Il circo degli anni Ottanta

Erasure"Compositore cerca cantante" - recita l'annuncio - e prendono il via le audizioni: decine i candidati scartati ma il quarantunesimo è quello buono, del resto il contralto duttile e poliedrico di Bell si sposa bene con le mire dell'ex-Yazoo, stanco di calcare sentieri mordi e fuggi e allettato da qualcosa di più concreto e duraturo. Gli Erasure nascono quasi per caso, nei piani originali di Clarke infatti c'è un solo-work personale accompagnato da una voce diversa su ogni traccia, ma il biondo vocalist di Peterborough lo convince a cambiare idea in corsa prospettandogli ancora uno scenario di coppia. Il feeling tra i due è immediato, ne scaturisce un sodalizio di rara longevità ed efficacia.

I due strappano un contratto a Daniel Miller, boss della Mute Records, e insieme al produttore Flood si mettono all'opera negli studi londinesi della label. Qui viene alla luce Wonderland, album d'esordio che esce il 2 giugno 1986 preceduto da tre singoli che però non vanno a bersaglio, si tratta nell'ordine di "Who Needs Love Like That" (debut assoluto, raccoglie una magra 55esima posizione nelle chart britanniche, malgrado la clip divertente che li fotografa in abiti da cowboy su set finto-western alle prese con una storia d'amore distruttivo), "Heavenly Action" (stavolta ad ambientazione spazio/celestiale, il godibile midtempo però non cancella l'onta del numero n. 100 in classifica che resta ad oggi il loro picco più basso) e "Oh L'Amour" (..."broke my heart/now I'm aching for you", lamento d'amore con apertura a cappella che si fa notare in Australia, Francia e Germania).
Per molti un flop, specie se raffrontato a sonorità più ardite sperimentate in precedenza con Depeche Mode e Yazoo; altri elogiano piuttosto l'innata facilità con cui il tastierista continua a snocciolare jingle orecchiabili ma affatto scontati. E che dire di Bell? Timbro enfatico e carisma androgino lasciano intravedere i germi del possibile animale da palco, solo una copia sbiadita della Moyet o un blando tentativo d'imitazione, invece, per i detrattori. La verità, al solito, sta nel mezzo, e la tracklist si snoda su binari electro di buon lignaggio equamente suddivisa tra numeri giocosi a passo spedito ("Say What" o "Reunion") e testi spensierati di predominante argomento sentimentale ("Senseless", "Love Is A Loser" e "Cry So Easy" sprizzano energia dance e mood ottimista a dispetto dei titoli, l'ultima annovera Bell ai credits esclusivo songwriter, il che resterà un unicum nel loro catologo).
Nulla di avanguardistico o rivoluzionario, dunque, ma grazie all'aiuto dell'esperto producer Flood (già al fianco di Ministry, New Order, Nick Cave e Marc Almond) la band fruisce di un sound godereccio e levigato, tale che persino due filler incompiuti e rudimentali come "Push Me, Shove Me" e "Pistol" risultano tutto sommato divertenti e alla moda - la prima ricorda vagamente "I Surrender (To The Spirit Of The Night)" di Samantha Fox, la seconda aggiunge Gary Barnacle al sassofono e rifà il verso agli Wham più grevi e festaioli di "Young Guns (Go For It!)".
Chiude il cerchio la graziosa "My Heart... So Blue", gioiellino al carillon che diviene istantaneamente uno dei brani più amati dai fan (era stata concepita inizialmente come lato B del singolo "Heavenly Action" insieme alla strumentale "Don't Say No"). Asterisco per "March On Down The Line", accorpata alla scaletta solo in alcune ristampe per il mercato americano (originariamente anch'essa b-side ma di "Oh! L'Amour").

Musicalmente parlando non c'è male come avvio, le casse però languono e le vendite stentano a decollare almeno sin quando non ci pensa The Circus a sbloccare l'impasse commerciale della band. Viene pubblicato in Europa il 30 marzo 1987 e si apre col botto, il singolo di traino "Sometimes" infatti raggiunge la seconda posizione nelle classifiche inglesi e i due finalmente spopolano anche in patria, dove sinora erano stati visti con un certo scetticismo.
"Capimmo che le cose iniziavano a girare a nostro favore proprio quando 'Sometimes' venne pubblicato nel Regno Unito, di solito suonavamo in club minuscoli, da quel momento in poi, invece, alle nostre serate c'erano almeno sette/ottomila persone!". Ottimo pure il videoclip che li inquadra sul tetto di un edificio, Clarke con la chitarra in mano e Bell che si dimena sotto la pioggia tra file di lenzuola bianche, mentre il brano ridefinisce in maniera chiara e limpida gli stilemi del loro canzoniere - ritmiche a perdifiato in distorsione di fase e ode all'innamoramento, l'assolo è del trombettista Guy Barker. Diviene istantaneamente un cavallo di battaglia ma non l'unica hit di un album (ancora Flood in regia) che si arrampica al sesto posto e staziona nelle chart inglesi per oltre un anno (ad oggi loro record di durata) forte di altri pezzi da novanta come il secondo singolo "It Doesn't Have To Be", che bissa il successo di "Sometimes" e accresce vertiginosamente le quotazioni del gruppo, in particolar modo presso la comunità LGBT di cui gli Erasure si fanno portabandiera: Bell infatti è uno dei primi artisti gay a fare coming out, a differenza dei contemporanei Freddie Mercury o George Michael che all'epoca non si dichiararono apertamente. "È vero - spiega Andy - questa era la prassi, ma poi ci si evolve in armonia con la natura. Oggi le cose sono drasticamente cambiate per quanto riguarda il matrimonio e le unioni civili. Persone come me, Jimmy Somerville e Holly Johnson erano più oneste, lottavamo per i nostri diritti e la gente lo apprezzava, anche se alla fine sono i politici a decidere".
"You are on one side and I am on the other, are we divided?"
("It Doesn't Have To Be")

L'argomento-tabù viene affrontato in maniera schietta per lunghi tratti della tracklist, la stessa "It Doesn't Have To Be" è un chiaro invito a godere appieno dei propri istinti e vivere liberamente senza paura dell'omofobia o di altre forme di discriminazione, come rivelano i versi centrali anti-apartheid scritti curiosamente in kiswahili "Lala pamoja na mimi/ Nyumbani yako, nyumbani yako/ Sababu wewe hapana kaa na mimi/ Nyumbani yako, nyumbani yako" (si possono tradurre pressappoco "Dormi insieme a me/ Al tuo posto, a casa/ Perché non stai con me, al tuo posto"). "Hideaway" è un'altra presa di posizione forte contro i pregiudizi, scena del delitto le mura domestiche da cui un ragazzo sceglie di evadere poiché rifiutato dai propri familiari in seguito a uno scomodo coming out (anche in questo caso il testo è abbastanza esplicito: "Oh, my father, why don't you talk to me now?/ Oh, my mother, do you still cry yourself to sleep?/ Are you still proud of your little boy? Don't be afraid (be afraid)/ You don't have to hide away"). Seguono "Don't Dance" (movenze catchy e andatura ballabile smentiscono il titolo), la più leziosa "If I Could" e "Sexuality", provocante e trasgressiva ma non del tutto riuscita, nonostante la prova grintosa di Bell, che si conferma istrione in "Leave Me To Bleed" e "Victim Of Love" (terzo estratto e nuovo centro in Top Ten sulla falsariga di un synth-pop facile facile, graffiato dalla chitarra acustica di Clarke, rimane uno dei pezzi più richiesti ai concerti).
Chiusura vibrante con "Spiralling" (rimpiange la perdita dell'amore di una vita, ma il tempo guarirà le ferite) e "The Circus", giostrina intensa e umorale che esce come quarto singolo e si addentra in questioni di attualità sociale (la protesta dei minatori per la chiusura dei pozzi e le incertezze sul futuro della working class sono temi caldi di quei giorni).
Don't upset the teacher, though we know he lied to you
Don't upset the preacher, he's gonna close his eyes for you
And it's a shame that you're so afraid
just a worker waiting in the pouring rain
putting back the pieces of a broken dream.

Stilisticamente parlando la title track (sul disco dura 5'30, 3'50 invece la versione per le radio) è un saggio di straordinari estro e creatività, costruita su una fisarmonica simil-circo a loop continuo, accentuata ancora dalla chitarra acustica di Clarke (secondo la leggenda qui ispirato da un vecchio nastro suonato al contrario). Menzione a parte per la strumentale "In The Hall Of The Mountain King", che rielabora in chiave elettronica una pièce del pianista norvegese Edvard Grieg e compare solo in alcune versioni formato cd dell'album, la cui release viene integrata nel novembre dello stesso anno dalla compilation doppia The Two Ring Circus, che offre nella prima parte alcuni dei brani più fortunati in versione remix o con inedito arrangiamento orchestrale, e nella seconda (denominata The Touring Circus) sette bonus live registrati ad Amburgo, al termine dei quali Andy viene arruolato nel "Ferry Aid" per incidere una cover di "Let It Be" con incasso da devolvere ai parenti delle vittime del terribile disastro navale di Zeebrugge (il 6 marzo 1987 un traghetto appena salpato in direzione Dover si inabissa al largo delle coste della cittadina belga, al progetto benefico intervengono tra gli altri Boy George, Bananarama, Mark King, Kim Wilde, Nick Kamen, Doctor And The Medics e Mark Knopfler). Questa e altre iniziative no profit tipiche del periodo (nel 1990 è la volta del tribute-album a Cole Porter "Red Hot + Blue", raccolta fondi cui gli Erasure si prestano con "Too Darn Hot", nel 1991 si schierano al fianco di Lene Lovich in "Tame Yourself" col brano "Rage" per una campagna Peta a favore dei diritti degli animali) accrescono l'appeal degli artisti chiamati in causa, Andy e Vince non fanno eccezione e per chi si attende delle conferme eccolo accontentato in capo a pochi mesi.

Un po' di rispetto
It's all about the melody. You can't make things better in the studio without having a fancy melody, I don't think.
(Vince Clarke)

Spesso si dice che per una band il terzo album rappresenta la prova del nove, e con The Innocents (1988) gli Erasure la superano a pieni voti. Per l'occasione i due si affidano alle cure dell'americano Stephen Hague, già al servizio di Malcolm McLaren, Pet Shop Boys, Omd, New Order e Communards, e la scelta si rivela azzeccata. L'esperto producer del Maine raccoglie quanto di buono seminato durante la gestione-Flood e si limita a correggere un paio di dettagli, quanto basta per scolpire un sound se possibile ancor più sfacciato e sbarazzino. Nascono alcune hit epocali, su tutte ovviamente "A Little Respect", bomba spacca-classifiche e uno dei brani in assoluto più rappresentativi degli anni Ottanta (micidiale uno-due di tastiera e ritornello che non lascia scampo).
I'm so in love with you, I'll be forever blue
That you gimme no reason
Why you make-a-me work so hard
That you gimme no, that you gimme no,
that you gimme no, that you gimme no
Soul, I hear you calling, oh baby please
Give a little respect to me

ErasureScritta a quattro mani da Vince Clarke e Andy Bell, è considerata ad oggi il maggior successo del gruppo e debutta nel settembre 1988 al quarto posto nel Regno Unito (quattordicesimo nella Billboard Hot 100), l'album invece schizza alla numero uno ed è direttamente doppio platino. Non solo "A Little Respect", ma anche tanto altro da raccontare: con cinque milioni di copie vendute nel mondo, infatti, The Innocents è il disco che più di ogni altro contribuisce alla scalata della band, rinnovandone la credibilità a livello internazionale. I due assurgono ora allo status di superstar e rinsaldano le proprie certezze tanto da infilare di qui in avanti un'invidiabile serie di trionfi (24 top 20 consecutive dal 1986 al 1997) con disarmante facilità, a cominciare dall'irresistibile "Chains Of Love", che esce il 30 maggio 1988 e segna il breakthrough negli Stati Uniti: è uno degli esempi più fulgidi dell'Erasure-sound, marchiato a fuoco dalle caratteristiche sonorità analogiche dance-oriented e testi di Bell (buono il falsetto) che alludono nemmeno troppo velatamente al desiderio di accrescere l'accettazione delle coppie omosessuali (la sua insofferenza è evidente sin dalle tormentate prime righe a sfondo autobiografico "How can I explain when there are few words that I can choose/ How can I explain when words get broken", per poi sciogliersi in una promessa: "Come to me, cover me, hold me... together we'll break these chains of love"). Il ritornello è rinforzato dalle back-vocalist Naomi Osborne e Caron Wheeler, soulsinger britanniche ex-Afrodiziac che insieme alla sessionist Jane Ayre allietano i cori anche della gioiosa "Yahoo!", vivace festicciola gospel di matrice religiosa che scansa i pericoli del Diavolo e santifica la gloria in Dio (stessi moniti a energia positiva e good vibes emanate da "Witch In The Ditch" e "Weight Of The World").
Se "Imagination" è un synth-pop brioso ed esuberante, a maggior ragione lo è "Phantom Bride", altro punto fermo della loro produzione, che narra la battaglia di una ragazza solitaria contro le proprie paure sin quando l'arrivo di un uomo nella sua vita non le infonde fiducia nell'esistenza: avrebbe fatto un figurone come singolo ma le fu preferita non a torto l'incantevole "Ship Of Fools", vero capolavoro dell'album. È questo, in realtà, il primo singolo estratto, si tratta di una ballad struggente e malinconica su versi di profondo sconforto e frustrazione, incorniciata da una prestazione vocale da occhi lucidi che fa vibrare le corde del cuore (il registro caldo e afoso di Bell contrasta col suo più abituale falsetto ma ne sottolinea la versatilità del timbro).
"Hallowed Ground" sciorina lyrics tra le più interessanti della band - un atto d'accusa contro la sciattezza della società, con toni profondi ma non depressi - e allenta un po' i ritmi; "Heart Of Stone" li resuscita prontamente grazie alla spinta degli ottoni dei Kick Horns, ad appagare ulteriormente il piacere dell'ascolto.
Da segnalare infine il godibile intervallo quasi strumentale "Sixty-Five Thousand" e le due B-side di "Ship Of Fools": "When I Needed You" e "River Deep, Mountain High", cover di un vecchio pezzo di Ike e Tina Turner del 1966, compaiono in alcune versioni formato cd. Se non siamo alla perfezione, poco ci manca, e The Innocents compila uno spartito genuino e sfizioso dal glossario completo.

"Non è facile scrivere una grande canzone pop, però se un pezzo è buono lo è sin dal principio", precisa Vince senza falsa modestia, "molte melodie degli Erasure riuscivano armoniose e accattivanti, i primi accordi venivano fuori alla chitarra o al piano con metodo fluido e spontaneo, poi se qualcosa non andava l'aggiustavo con qualche trucchetto elettronico, per me era una specie di gioco... Con Andy ho un'intesa perfetta, se a lui qualcosa non piace, o viceversa, la cambiamo e basta".

In verità non c'è molto da cambiare, Wild! esce nell'ottobre 1989 ed è ancora una prova maiuscola. Viene anticipato di qualche mese dall'Ep natalizio Crackers International (propone "Stop! in versione fade-ending più le inedite "The Hardest Part", "Knocking On Your Door" e "She Won't Be Home"), quindi lancia in orbita l'isterica "Drama!", che viene pubblicata il 18 settembre dello stesso anno e confeziona l'ennesima hit schiacciasassi. Composta da entrambi i membri del duo, la canzone ha un'andatura variabile piuttosto anticonvenzionale rispetto ai canoni della band: muove da un'iniziale linea di tastiera low-key e voce sommessa di Bell per crescere in sontuoso climax sino a esplodere al grido di "Guilty! Your shame is never ending (We are guilty! Of how we entered this life...)" che lo trasforma in un vero inno da dancefloor (le urla della folla sono cortesemente prestate dai Jesus and Mary Chain, che per un caso fortuito si trovavano a registrare negli studi a fianco).
Realizzato in co-produzione con Gareth Jones e Mark Saunders, anche quest'album si issa in vetta alle chart ed è probabilmente quello più apprezzato dalla nutrita fanbase in virtù dei numerosi classici esposti in vetrina.
La scaletta si apre e chiude con "Piano Song", delizioso rompicapo in due atti (1.09 il prèlude più i 3.15 di adagio per solo pianoforte del brano vero e proprio) che fa da cornice agli altri singoli "Star" ("from Moscow To Mars, universe falling down", controffensiva disco alla guerra nucleare), la seducente "You Surround Me"(love song passionale inizialmente pensata per la colonna sonora di James Bond) e la poetica e garbata "Blue Savannah", forse la canzone d'amore più celebre della band, immortalata da un video in verità un po' kitsch, girato all'interno di una stanza completamente bianca dove una mano colorata di blu dipinge via via con un pennello della stessa vernice le pareti e i corpi dei due musicisti (alla fine pioggia di foglie color oro che citano l'artwork di copertina firmato Pierre et Gilles).
Nel mezzo alcuni brani raffinati e sperimentali non del tutto riusciti, ma comunque meritevoli di un secondo ascolto, "La Gloria", ad esempio, è un'incursione un po' goffa nei territori flamenco (ragion per cui ebbe una certa risonanza nei paesi latini), mentre la stravagante "2000 Miles" abbozza un refrain energico ma poi si rimangia la parola data. Meglio "Crown Of Thrones", magniloquente valutazione storica della crudeltà umana, "How Many Times" (più lenta e distensiva) e l'operetta techno "Brother And Sister".

A Wild! fa seguito un pittoresco tour promozionale caratterizzato da coreografie vivaci e innumerevoli cambi di costume in mìse burlesque/Village People - la spettacolarizzazione dell'abbigliamento sarà un escamotage redditizio negli anni a venire.

Pop! Gli anni Novanta

Il nuovo decennio si apre con Chorus (giugno 1991), quinto studio album e terzo centro consecutivo alla numero Uno del Regno Unito. Stavolta il piatto forte è "Love To Hate You", dance track insolente e contagiosa che cita nel ritornello "I Will Survive" di Gloria Gaynor, mentre il video li ritrae su uno stage futuristico inscenato al Leadenhall Market di Londra, dove Andy balla in mezzo al pubblico su una passerella coperta d'acqua e Vince suona una tastiera circolare simile a quelle usate di solito da Jean-Michel Jarre.
Scartato dalla colonna sonora di "Dick Tracy" e rimpiazzato dalla sempre loro "Looking Glass Sea", "Love To Hate You" presenta anche altre due versioni in edizione limitata, "Amor y odio" per il mercato spagnolo e "Amo odiarti" per quello italiano (b-side "Vitamin C" e "La la la"). Buoni anche gli altri singoli "Breath Of Life", la title-track "Chorus" (anthem robotico sul degrado ambientale griffato Martyn Phillips, siamo nei giorni della guerra del Golfo) e la delicata "Am I Right?", girata tra le strade di Amsterdam (sullo sfondo l'Homomonument, monumento ai gay nei pressi di Westwerk). Il resto del copione prosegue secondo i dettami di una formula electro ingenua ed essenziale dalla logica super partes, in grado cioè di accontentare/scontentare tutti a seconda dei punti di vista, come non di rado vedremo accadere anche alle future produzioni della band.
Tra gli episodi più rilevanti "Siren Song", la sconsolata "Turns The Love To Hanger", "Waiting For The Day" e "Home" (per stessa ammissione di Clarke il suo brano preferito degli Erasure), un po' meno le insipide "Joan" e "Perfect Stranger".

Poco male, nel giugno 1992 ecco Abba-esque in omaggio agli ABBA, i due ne sono grandi fan tanto da accarezzare l'idea di un intero album-tributo alla band scandinava, in realtà poi optano per un gustoso assaggino formato dodici pollici che contiene soltanto "Lay All Your Love On Me", "S.O.S.", "Take A Chance On Me" (con la partecipazione di Mc Kinky al rap) e "Voulez Vous", peraltro già eseguite di frequente dal vivo insieme a "Gimme! Gimme! Gimme! (A Man After Midnight)", altra cover degli svedesi che si può rinvenire tra le b-side di "Oh! L'Amour". Ad ogni modo, l'Ep chiude questa movimentata prima fase di carriera la cui sintesi più lucida è Pop! The First Twenty Hits, compilation dal titolo eloquente che rispolvera in ordine cronologico i primi venti singoli con l'aggiunta di "Who Needs Love Like That" versione 'Hamburg Mix'.

Al greatest hits segue una breve pausa di riflessione in cui Clarke si trasferisce a New York, dove vive in pianta stabile ormai da tempo in una sorta di laboratorio-bunker ricavato due piani sottoterra in un palazzo vecchio più di centoventi anni nel centro di Brooklyn. Qui possiede una collezione di apparecchiature sintetiche e analogiche tra le più assortite del pianeta, buona per feticisti del vintage ma anche per neofiti: dagli Arp agli Arturias, ai Moog, ai Roland sino ai sequencer Leipzig S ce n'è per ogni esigenza. In questo periodo studia da dj insieme al fratello Mick e remixa su commissione "Ascend" per i Nitzer Ebb, "Angel" per i Wolfgang Press, "I'm On My Own Way" per l'inglesina Betty Boo e "Real Love" per gli scozzesi The Time Frequency.
Nel frattempo Bell sbarca a teatro e si prodiga nel ruolo di Montresor per l'opera "La caduta della casa degli Usher", scritta da Peter Hammill e Judge Smith e ispirata da un racconto di Edgar Allan Poe.

Un paio d'anni dopo i due tornano in studio insieme a Martyn Ware, la cui collaborazione è fondamentale per il buon esito di I Say, I Say, I Say, che esce nel 1994 ed è l'album della maturità.
When it's cold outside / am I here in vain?
Hold on to the night, there will be no shame
Always I wanna be with you, and make believe with you
and live in harmony, harmony oh love...

"Always" è in assoluto uno dei brani più belli degli Erasure, la canzone pop perfetta della pop band perfetta costruita su una memorabile intro di tastiera impreziosita da un ritornello celestiale in 17/4. Il lavoro con l'ex-Human League e Heaven 17 aggiorna il caratteristico sound rètro in modo da renderlo appetibile alle nuove generazioni. Su queste premesse sbocciano gli altri due singoli "Run To The Sun" (con un video filmato ad Alexanderplatz presso l'Orologio Mondiale, tra i ballerini color argento si può riconoscere l'attore Jason Statham) e "I Love Saturday", che immergono l'ascoltatore nei flutti di un oceano elettronico indistinto e spumoso, mentre l'eterea e sognante "Take Me Back" si risveglia direttamente nel paese delle meraviglie tra gemiti floreali e idilliaci.
Sulla stessa falsariga le impeccabili "Man In The Moon" e "All Through The Years". "So The Story Goes" invece è un mero pro-forma nobilitato dai cori della St. Patrick's Cathedral. In chiusura "Miracle" e "Blues Away", dal battito ascendente e mood paradisiaco. Roba da stropicciarsi gli occhi, ma al vertice dello zenith si inceppa qualcosa...

Erasure - Andy BellSi dice il peccato (l'eponimo Erasure dell'ottobre 1995), noi riveliamo anche il peccatore: Thomas Fehlmann degli Orb che ci mette lo zampino e si sente. L'album risulta più contorto, oscuro e macchinoso rispetto ai precedenti e molte tracce si allontanano dal format tradizionale (la maggior parte di esse ha una durata di oltre sei minuti): è la prima tappa di un progressivo distacco dalla scena mainstream, il che non equivale necessariamente al baratro creativo ma semmai ha il sapore secco di un cambio di marcia in risposta a certa critica snob che li accusa di frivolezza e ripetitività. Nulla di apocalittico o rivoluzionario, intendiamoci, solo un synth-pop sui generis incline ad aperture ambient/house atmosferiche e sibilline (di cui Orbital, Underworld e gli stessi Orb sono a quei giorni maestri in ascesa).
Seppur non mieta vittime al botteghino, Erasure evidenzia spunti di rilievo, come il mid-tempo "Stay With Me" (contributi del London Community Gospel Choir), il secondo singolo "Fingers And Thumbs (Cold Summer's Day)" (appare nella colonna sonora del film-documentario "Wigstock: The Movie") e l'eccellente "Rescue Me".
Senza dubbio più ostiche "Angel" e "Rock Me Gently" (Diamanda Galas special guest è un pesce fuor d'acqua). L'ariosa "Intro: Guess I'm Feeling", "A Long Goodbye" e "Sono Luminus" rifiutano una precisa collocazione stilistica, ma danno quantomeno a Bell l'opportunità di sfoggiare per intero il suo ampio range vocale, mentre le sdolcinate "I Love You" e "Love The Way You Do So" calano il sipario senza azzardare troppo.

Malgrado il modesto riscontro commerciale dell'album il tour mondiale si rivela un trionfo, quella live d'altronde è la dimensione che da sempre fotografa gli Erasure nelle vesti migliori. Terminato il ciclo di concerti riprende l'assalto alle chart: Cowboy del 1997 sancisce un graduale ritorno alla normalità nel solco di un pop leggero e spensierato che abbandona le recenti velleità di crossover o altri esperimenti a sfondo autolesionistico e mette d'accordo in un sol colpo critici, pubblico e casa discografica. Il disco viene pubblicato in Europa dalla Mute Records e negli Stati Uniti dalla Maverick Records di proprietà dell'amica Madonna.
"Rain", "Worlds On Fire" (motivetto radio-friendly a colpo sicuro), "In My Arms" (pop/rock à-la Manic Street Preachers) e "Don't Say Your Love Is Killing Me" (tipiche cadenze uptempo melodico-danzerecce) si dimostrano un'efficace terapia ricostituente, di cui le leziose e manierate "Boy" e "Love Affair" sono trascurabili effetti indesiderati. Strepitosa "Save Me Darling" (strofe ad alto tasso emotivo e ritornello di precisione chirurgica), da rivedere "Precious" e "Reach Out", ancora in quarantena nonostante titoli di depechemodiana memoria (la seconda ricalca un riff di "See You"). Infine, le cover "Rapture" dei Blondie e "Magic Moments" di Burt Bacharach, servite in tavola come bonus track.

Altro giro altro tour, seguono tre anni e mezzo di pausa in cui Clarke si distrae con diversivi ambient (il "The Clarke And Ware Experiment" fondato con Martyn Ware, nasce "Pretentious") e disco (lui e Phil Creswick dei Big Fun si uniscono nei Family Fantastic, "...Nice!" e "Wonderful" i loro Lp), quindi riprende in mano le redini di un gruppo in fase di convalescenza artistica. Il rischio di ricadute viene scongiurato da Loveboat, che esce nel 2000 e traghetta gli Erasure nel nuovo millennio.

Hits! Gli anni Duemila

In cabina di pilotaggio torna Flood che raddrizza il timone verso l'acustica, non proprio l'habitat naturale della band, che però riesce in qualche modo a disincagliarsi dai fondali di una pericolosa crisi involutiva. Il varo della Nave è affidato al singolo "Freedom", da bordo giungono notizie contrastanti: se da un lato l'album resta ad oggi il loro più clamoroso flop di vendite (stroncato persino dalla label che lo ritira dal mercato per "mancanza di singoli di successo"), dall'altro la critica sembra gradire e non poco il nuovo corso chitarristico lo-fi e i suoni bassi di "Where In The World" o i toni r'n'b di "Cryin' In The Rain".
"Perchance To Dream" è incredibilmente varia e articolata, sorprendono contrabbasso e percussioni che ribadiscono l'eclettismo musicale di Vince, il testo ricco di immagini e metafore evasive invece conferma l'abilità al songwriting di Bell, ancora sugli scudi in "Love Is The Rage" e "Alien", mentre "Moon And The Sky" si pavoneggia un po' troppo su rigurgiti techno-futuristici (Jason Creasey alla console). Piccola gemma "Surreal", peccato che "Mad As We Are" e "Here In My Heart" riescano solo a metà (pretenziose e arruffate malgrado buoni propositi). Da ascoltare e riascoltare "Catch 22", gioiellino in technicolor nascosto e sottovalutato.

Il 2003 è tempo di bilanci, del resto siamo quasi nel ventennale della nascita della band e quale miglior modo se non il confronto con altri artisti? Così a gennaio ecco Other People's Songs, concepito inizialmente come solo project di Andy Bell, in seguito si lascia coinvolgere anche Vince che lo trasforma nel decimo album del gruppo (prodotto da Gareth Jones). I brani rispondono positivamente al trattamento Erasure: "Solsbury Hill" di Peter Gabriel, ad esempio, è un'ouverture maestosa e lussureggiante, come anche "Everybody's Got To Learn Sometime" (rifacimento dal fascino intatto dei Korgis) e "When Will I See You Again" (cover del trio vocale femminile statunitense The Three Degrees con middle-eight a clangori metallici). Un po' sottotono "True Love Waits" che rilegge il classico di Buddy Holly in chiave valzer semplice e basilare, decisamente meglio "Goodnight" (del folksinger Cliff Eberhardt) e la superba "You've Lost That Lovin' Feeling" di Phil Spector.
"Can't Help Falling In Love" ed "Ebb Tide" svolgono il compitino senza discostarsi troppo dalle sfumature originali (rispettivamente di Elvis Presley e Righteous Brothers), delude invece "Video Killed The Radio Star", riadattamento dei Buggles scarno e privo di idee, che inciampa stranamente nel suo campo da gioco.

Nell'ottobre dello stesso anno la Emi, per capitalizzare al meglio il patrimonio artistico del duo, lancia immediatamente Hits! The Very Best Of Erasure - rispetto al precedente Pop!The First Twenty Hits del 1992 si porta in dote undici anni di esperienza e alcuni brani in più suddivisi in due tronconi, "Disc One" ed "Erasure Megamix".
La notizia vera però è la sieropositività di Bell, che rende noto a mezzo stampa di aver contratto il virus sei anni prima a Maiorca, dove all'epoca viveva con lo storico compagno-manager Paul J. Hickey (anch'egli positivo all'Hiv e deceduto il 4 aprile 2012 in seguito ad alcune complicanze legate alla malattia, fu autore tra l'altro della biografia "Sometimes - A Life Of Love, Loss And Erasure" in cui descrive la loro relazione durata oltre vent'anni).
L'annuncio-shock arriva a poche ore da Nightbird, che viene pubblicato il 24 gennaio 2005 e raccoglie un moderato successo. Le opinioni in merito sono ancora una volta discordi: malgrado l'esiguo ventisettesimo posto, infatti, i critici sembrano appagati da un lavoro crepuscolare e percettivo e al tempo stesso i fan di lunga data invece osannano il ricorso a sonorità vicine al periodo Wonderland/Chorus!. Si tratta dei primi inediti da cinque anni a questa parte, e le dichiarazioni di Bell invitano a esaminarli sotto una luce diversa: i testi intimisti e malinconici riflettono lo stato d'animo del cantante al momento di una scoperta che in realtà non sembra scomporlo più di tanto. "Spesso si parla a sproposito e si fa terrorismo psicologico sull'argomento", spiega serenamente Andy che affronta senza troppi allarmismi il decorso della patologia. "Essere Hiv-positivo non significa essere malati di Aids, con le giuste precauzioni la mia aspettativa di vita potrebbe essere uguale a quella di chiunque altro. Mi resi conto della situazione dopo un attacco di polmonite, da allora seguo una terapia combinata" (per curare anche la necrosi vascolare di cui soffre da anni) "e va molto meglio, non mi sono mai sentito così bene, per questo sto portando avanti una campagna di sensibilizzazione rivolta ai giovani affinché possano prevenire o eventualmente combattere il virus in maniera oculata e senza isterismi fuori luogo", chiude il vocalist che peraltro si lascia alle spalle una lunga dipendenza da cocaina superata grazie alla passione per musica, freccette (conserva con orgoglio alcuni trofei vinti dai genitori, entrambi campioni di questa disciplina) e reiki, tecnica chiropratica che adotta da tempo come sistema di autoguarigione.

Tornando a Nightbird, l'album regala momenti di inusitata bellezza, specialmente il primo singolo "Breathe" (fantasioso e stimolante, è il picco più alto nelle chart dai tempi di "Always" e se lo merita tutto), l'opener "No Doubt" (turbinio di emozioni su backdrop pseudo-gospel sfarzoso e suggestivo) e "Here I Go Impossible Again" (primo in scaletta di una serie di brani curiosamente accomunati da titoli piuttosto lunghi), che si nutre di linee elettroniche gentili e vocals multi-strato.
Niente proclami di rinascita, sia chiaro, né lustrini o ritmiche gommose, resteranno però soddisfatti i puristi di una black celebration onirica e cristallina di inquietudine darkwave che trova nelle ballad "I Broke It All In Two" e "Because Our Love Is Real" due delle sue espressioni migliori. "Don't Say You Love Me" concede di più all'orecchio, tra sprazzi doo-wop. Chiudono in bello stile "Let's Take One More Rocket To The Moon", "I Bet You're Mad At Me" e "Sweet Surrender" (digressione sulla guerra in Iraq che, a dispetto dei contenuti bellici, indovina un ritornello euforico e contagioso).
Ruba l'occhio l'artwork di copertina, opera del graphic-designer britannico Rob Ryan.

A questo punto i due tirano il fiato e Bell ne approfitta per concludere le registrazioni del suo debutto solista Electric Blue, che esce il 3 ottobre 2005 su etichetta Sanctuary Records e viene pubblicizzato nei night-club europei e nordamericani. Contiene quattordici tracce scritte e prodotte in collaborazione col duo elettronico Manhattan Clique (o "MHC", sono Philip Larsen e Chris Smith), già ai mixer per Moby, B-52's, Stereophonics, Fischerspooner e Goldfrapp, ed esibisce un'intrigante miscela disco-cool in salsa Moroder, esaltata da un paio di illustri guest-appearence: Claudia Bruecken dei Propaganda ("Love Oneself" e "Delicious") e Jake Shears degli Scissor Sisters ("I Thought It Was You"), le cui presenze non sono operazioni-nostalgia ma felice idillio di eighties-lover.
Il primo singolo "Crazy" è un discreto vernissage (remix curati dall'amico Clarke, King Roc e i Cicada), una spanna sopra le altre "Jealous", "Caught In A Spin" e "Shaking My Soul" (neogospel castigato in mìse B-52's).

L'album raggiunge un onorevole 12° posto nella Billboard Top Electronic Albums, preso atto del quale Andy si rimette a disposizione del duo. L'altalena compositiva degli Erasure prosegue con Union Street (2006) e stavolta è una prova da dimenticare ma solo per le classifiche: seppur fuori dalla Top 100 (!), il disco offre tuttavia un interessante spaccato dell'iter della band tramite undici reinterpretazioni acustiche di brani meno conosciuti riciclati in chiave country-western , di cui percussioni tribali gagliarde ed energiche (vedi "Boy"), "Stay With Me" (ai legni David Weiss) e "Tenderest Moments" (unica traccia in cui suona Vince) sono le diapositive migliori.
Nel contesto funzionano bene anche "Love Affair" (violini e cello di Antoine Silverman), "How Many Times?" (Steve Welsh alla chitarra) e "Rock Me Gently" (performance toccanti e pathos stellare), mentre i restyling di "Piano Song" e "Blues Away" fanno storcere il naso, ragion per cui nel 2007 arriva il definitivo dietrofront verso la comfort-zone elettronica.

Segnali di luce dalla fine del mondo: gli anni nostri

ErasureLight At The End Of The World, però, ripaga gli sforzi solo in parte: viene annunciato il 26 gennaio da Andy e Vince tramite video-messaggio sul sito ufficiale della band, quindi esce nel maggio dello stesso anno prima in Giappone (bonus track "I Like It"), poi nel Regno Unito e in ultimo negli Stati Uniti. Il kick-off "I Could Fall In Love With You" ottiene discreti risultati grazie a un bridge melodico possente e stuzzicante e a un testo a dir poco zuccherino (del video esiste una alternate-version realizzata dopo un appello rivolto ai fan a inviare fotografie di se stessi e dei propri cari colti in scene d'innamoramento e riorganizzate in fase di montaggio con quelle di Andy e Vince), "Sucker For Love" invece è esuberante e malandrina anche se l'accompagnamento da Commodore 64 c'azzecca poco con le ambizioni rave.
"How My Eyes Adore You" ammicca al trip-hop, più pacate "Darlene" e "Golden Heart", comunque buon trampolino vocale per Andy che improvvisamente torna mesto e pensieroso in "Storm In A Teacup" e "When A Lover Leaves You", le tracce più mature, entrambe a sfondo autobiografico (fanno riferimento ai problemi di alcolismo della madre e alla rottura col boyfriend Paul). In chiaroscuro "I Don't Know Why", nota di merito alla tetra "Glass Angel", catarsi sonora epica e minacciosa e forse l'unico pezzo di Light At The End Of The World che fa davvero curriculum.

Qualche tempo dopo ecco Non-Stop (giugno 2010), seconda prova solista di Bell, stavolta con l'ausilio del musicista belga Pascal Gabriel (già al fianco di Kylie e Dannii Minogue, S-Express, Sophie-Ellis Bextor e LadyHawke, per gli Erasure aveva remixato "It Doesn't Have To Be"). Negli studi francesi del producer nascono intuizioni electro-fashion al passo coi tempi, come la tribute-track a Debbie Harry "DHDQ" (che sta per Debbie Harry Drag Queen) o "Honey If You Love Him That's All That Matters" (registrata a Los Angeles con Perry Farrell dei Jane's Addiction). Da rivalutare "Call Me" e "Say What You Want" (arrangiamenti policromi e inserti a cappella), discorso a parte per "Running Out" e "Will You Be There", già pubblicate mesi addietro con lo pseudonimo Mimò (in omaggio all'amico Tomeau Mimò, venne poi modificato in un semplice "Andy Bell" per ovviare a un contenzioso sull'utilizzo del nome).

Nel mentre Vince non se ne sta in panciolle e si imbarca insieme alla vecchia amica/nemica Alison Moyet in una serie di concerti-reunion degli Yazoo ("Reconnected Tour"), al termine dei quali torna in sala d'incisione col compare per registrare Tomorrow's World (2011), che viene perfezionato tra Londra, New York e gli studi del Maine (di proprietà di Clarke) dietro la supervisione di Frankmusic e Rob Orton (reduci da alcuni fortunati remix per Lady Gaga e Pet Shop Boys). Il primo singolo "When I Start To (Break It All Down)" passa in heavy-rotation sulle frequenze della Bbc 2 durante il Ken Bruce Show e acquisisce una certa notorietà in virtù di allestimenti pomposi e ricercati (archi pulsanti, Melodyne e synth simil-flauto) e saliscendi vocali à-la "Goodbye Stranger" (il tutto forse un po' eccessivo tant'è che non si smuove dalla 172esima posizione nelle classifiche Uk, il demo-tape originale "Tender" si ispirava liberamente a "Love Me Tender" di Elvis Presley mentre la b-side strumentale "Tomorrow's World" era stata ideata come sigla dell'omonima serie-tv della Bbc), al contrario degli altri singoli "Fill Us With Fire" e "Be With You" dall'impianto sparuto e rinunciatario (né le riabilitano sciagurati incentivi europop col quale negli stessi giorni molte star cadute in disgrazia cercano di risollevare le proprie sorti con risultati sovente demenziali e ridicoli).
"Just When I Thought It Was Ending" e "Whole Lotta Love Run Riot" rincarano la dose sentimentale senza controindicazioni, comunque meglio della vuota ed evanescente "You've Got To Save Me Right Now" che rimane metastatizzata in un cliché amoroso pedissequo e obsoleto. "Then I Go Twisting" tenta l'evasione da una città grigia e deserta, "I Lose Myself" e "What Will I Say When You're Gone?" si arrabattano confusamente e chiudono un Lp dimesso e incolore, che però non frena l'entusiasmo degli ammiratori: da Tampa, al Canada, al Monumental di Lima passando per la European Leg invernale, sciami di Erasurette invadono festanti le arene dei cinque continenti: sold-out anche per questo Tomorrow's World Tour, a testimonianza di un amore viscerale e indissolubile che sancisce l'ennesimo trionfo live della band.

Nel 2012 c'è spazio per un'altra collaborazione prestigiosa, "SSSS" infatti immortala Vince Clarke al fianco dell'amico Martin Gore nel progetto VCMG (sono le iniziali dei loro nomi), ma la griffe roboante non garantisce il pass per la gloria: l'album tradisce le aspettative e si risolve in un quadernetto di esercizi minimal laconico e sbrigativo, materiale per collezionisti accaniti (tra le pagine più interessanti del compendio "Zaat", "Lowly", "Flux" e "Window Robot", che almeno attestano il pedigree buono).
I don't believe in your religion
I only know what I can see
So many sads so many lonely
it's only love that sets us free
("Bells Of Love/ Isabelle's Of Love", 2013)

Tornando agli Erasure, nel 2013 esce Snow Globe, altro capitolo sconfortante di un paragrafo particolarmente delicato. L'incursione nei canti natalizi (seconda a quindici anni da Crackers International) è una scorciatoia sin troppo furbesca e inflazionata che non conduce all'obiettivo desiderato (appena n. 49 in Uk e 100 in Germania), anzi ricaccia la band in un vicolo cieco dal quale faticherà a venir fuori. Nel Presepe gli ex-re Magi del synth-pop ormai ridotti a belle statuine, sotto l'Albero una cesta-deluxe a tiratura limitata (ne vengono stampate appena 3000 copie) buona per il cenone della Vigilia, contiene un bigliettino autografato, una ghirlanda rossa per gli addobbi, un calendario da tavolo, palloncini rossi e verdi con impresso il marchio "Erasure", adesivi per finestre, cartoline, un sacchetto di dolci e un libro di cocktail. Oltre a un cd, naturalmente, ma paradossalmente è la parte meno sfavillante del cofanetto. Il disco prova a ridurre le distanze tra Kraftwerk e Medioevo musicale, pop e inni sacri in maniera illogica e sconclusionata anche se non tutto è da gettare alle ortiche.
Il promo "Gaudete" è una liturgia in latino risalente al sedicesimo secolo e si può rinvenire nella raccolta di canti sacri finnico/svedesi "Piae Cantiones" (1581), "In The Bleak Midwinter" restituisce credibilità a una mediocre poesiola del 1872 dell'inglese Christina Rossetti: questi i brani più decorosi insieme alla benaugurante intro "Bells Of Love/Isabelle's Of Love", scritta interamente da Vince con i più cordiali auspici per la nipotina Isabelle (a dispetto della nota a margine di copertina che la vorrebbe "in memory of Paul Hickey") e "Loving Man" (stavolta sì in ricordo del ragazzo, "I know that I can't keep numbing out the pain..."). "Blood On The Snow" rimbomba suoni da videogame (peccato fallisca il ritornello), "Silver Bells" ha un incipit soave, ma l'andatura è fiacca e malaticcia. La ninnananna "Midnight Clear" (variatio del poemetto del 1849 "It Came Upon A Midnight Clear" del pastore unitariano Edmund Sears) assopisce d'improvviso l'ascoltatore, che si risveglia dolcemente con gli immancabili traditional "Silent Night" (1818, dell'austriaco Franz Gruber) e "The Christmas Song" (1945, Robert Wells e Mel Tormè).
Ricapitolando, più che una sbornia, un modesto brindisi al Natale che acuisce la cirrosi artistica del duo, sbiadita controfigura di se stesso ed eclissato in una forma mentis solipsistica e demodé.

The Violet Flame (2014) aggiunge poco al deprimente scenario, dietro le quinte il britannico Richard X che gode di una certa fama come dj (Kelis, Rachel Stevens, Liberty X e Sugababes tra i suoi assistiti) e prova a rilanciare il brand spostando il focus su atmosfere trance-party. Il risultato è un ibrido sgraziato e volgare che trova nell'ossessivo loop "D-D-D-D-D Dead Of Night!" del brano d'apertura il suo urticante jingle portabandiera. Tra le note positive "Promises" e "Under The Wave", meno altezzose e più misurate, appena accettabili i singoli "Sacred", "Reason" ed "Elevation", manfrine disco pur intraprendenti che però non hanno l'approccio fresh e spigliato delle nuove leve Ròisìn Murphy, Annie, Client e compagnia bella. Un po' off-topic le accorate "Stayed A Little Late Tonight", "Be The One" e "Smoke And Mirrors", sulle cui note scorrono i titoli i coda.

Meglio consolarsi con i fuochi d'artificio, nel 2015 infatti ricorre il trentesimo anniversario della nascita del gruppo e per celebrarlo la Mute Records sceglie di fare le cose in grande: dapprima rende disponibile in download su alcune piattaforme digitali Always: The Very Best Of Erasure (unica novità "Sometimes 2015" curata da David Wrench e praticamente identica all'originale), quindi il 4 novembre 2016 organizza a Birmingham un after-party di chiusura che prelude al rilascio di From Moscow To Mars, opera omnia davvero pirotecnica in dodici volumi (tanti i cd che sigillano il box-set, in allegato anche un photobook, uno "space passport" e un Dvd live filmato a Londra nel 1989, durante le riprese del tour di Wild!). Si tratta di una retrospettiva dalla A alla Z che racchiude vita, morte e miracoli del duo. Dodici cd, dicevamo: i primi tre includono praticamente tutti i singoli dal 1985 al 2014, più curiosi il quarto e il quinto denominati rispettivamente "Andy's Personal Favourites" (tra le chicche "Here I Go Impossible Again" da Nightbird e "Miracle" da I Say I Say I Say, grande assente Wonderland) e "Vince's Personal Favourites" (su tutte "Cry So Easy", "Sono Luminus" e "Home"); il sesto e il settimo recuperano ben 36 b-side sconosciute ai più ma all'altezza dei reciproci lati A, l'ottavo e il nono remix di varia natura, il decimo ("Erasure Live!") estratti dal vivo registrati un po' ovunque, l'undicesimo demo, rarities and unreleased di ogni sorta, infine c'è il cd 12 "A Little Respect - 30 Years Of Erasure", documentario-audio sulla storia della band.

Vince ClarkeMa non è tutto, questo ghiotto ripassino dei tempi che furono sembra non saziare completamente i due, che nel maggio 2017 danno alla luce con inatteso colpo di reni World Be Gone, ad oggi loro diciassettesimo e ultimo lavoro in studio. L'album sembra ridestare improvvisamente una verve espressiva che pareva sopita, i testi infatti sono intelligenti e carichi di significato: già in passato le canzoni degli Erasure avevano sollevato dibattiti su questioni scottanti come Thatcherismo o guerra del Golfo, mai come stavolta però si erano cimentati in un'intera scaletta così decisamente schierata, del resto presidenza Trump e Brexit sono temi caldi che influenzano il quotidiano modo di agire/sentire e anche musicalmente il disco sembra trarne nuova linfa. Non un album di protesta in senso stretto, il singolo "Love You To The Sky", ad esempio, percorre sentieri romantici familiari alla band, l'eterea "Be Careful What You Wish For!", invece, è un avvertimento ritmato sulle insidie della natura umana. "Bitter Parting" è guidata da percussioni che viaggiano al ritmo del battito cardiaco e invita al perdono, "Still It's Not Over" richiama l'attenzione sui diritti gay (inquietante fuga al piano in stile Moby).
Cupe e fuligginose "Oh What A World" (lamenta lo scadimento politico generale e confida oscuri presagi) e "Lousy Sum Of Nothing", che si schiude in un sinistro ticchettio da giorno del giudizio ed è un disperato j'accuse contro ingiustizie nel mondo, apatia pubblica e manipolazione dei media. Più sempliciotte e pacifiche la title track (supplica l'uomo a fare ammenda), "Sweet Summer Loving" e "Just A Little Love", comunque gradevoli e mai moleste.

World Be Gone non catapulta certo l'audience indietro ai fasti dell'età dell'oro, ma offre confortanti segnali di ripresa in vista di un futuro che a distanza di nemmeno un anno (9 marzo 2018) si arricchisce delle tinte post-classiche del gemello World Beyond, re-packaging in chiave orchestrale dell'Lp precedente (cambiano sequenza dei brani in scaletta e partiture, ma il concetto rimane invariato) completamente ridisegnato dall'ensemble belga Echo Collective e coronato da un tour europeo in compagnia di Robbie Williams.

Luci fluorescenti: la saga al neon

Nel 2020 esce invece l'album che anticipa il ritorno al passato fin dalla copertina: una scritta al neon su un altarino ornato con fotografie e piccole statuine. Classicità e modernariato che vanno a braccetto, omaggiando Kraftwerk e persino i quasi contemporanei Soft Cell. Complici i vecchi synth analogici di Vince tirati a lucido insieme a melodie davvero efficaci, il ritorno alle origini e al vecchio sound è in The Neon, spiattellato sullo stereo a decibel esagerati, con orgoglio e sfrontatezza di chi sa di avere in mano le carte vincenti.
L’inizio è subito scoppiettante, con "Hey Now" a fare da apripista e anche come primo singolo: ritmi sintetici da strobo, melodie catchy e sonorità attuali con un ritornello che ti entra in testa all’istante, che poi è il leit-motiv anche delle immediatamente successive “Shot A Satellite" e “Fallen Angel". "Nerves Of Steel" si candida già a diventare un classico alla "Blue Savannah", ma anche quando si sceglie di abbassare i ritmi, come in “Tower Of Love”, “New Orizons” o nella suadente “Kid You’re Not Alone”, il livello qualitativo delle composizioni non cala, segno di quella ritrovata vena artistica che negli anni 2000 sembrava persa.

The Neon è musica calda che arriva al cuore, note sintetiche avvolgenti che abbiamo imparato ad amare da ragazzini, è pop di alto livello che vuole arrivare a tutti. Se World Be Gone era solo un indizio, due buoni dischi consecutivi sono una prova. Non passa nemmeno un anno ed ecco che nell'agosto 2021 il duo decide di regalare il bis ai fan con The Neon Remixed. Il disco, come suggerisce il titolo, ripropone in versione remix le canzoni di The Neon, che per l'occasione vengono affidate alle cure di illustri colleghi tra cui Paul Humphreys degli OMD, Octa Octa, Hifi Sean, Brixxtone e Kim Ann Foxman. E' presente anche un inedito, “Secrets”, che nel successivo mese di ottobre viene rilanciato nel mini-album a tema Ne:EP assieme ad altre quattro tracce nuove di zecca, “Time Hearts Full Of Love”, “Same Game”, “Leaving” e “Come On Baby”. Nell' aprile del 2022 è poi la volta di The Neon Live che riprende due serate registrate alla O2 Apollo di Manchester nell'ambito del "The Neon Tour" (tra le chicche in scaletta una gustosa cover di “Love Is A Stranger” degli Eurythmics).

Nell'estate dello stesso anno la saga si arricchisce di un nuovo interessante capitolo: il diciottesimo album della band Day Glo (Based On A True Story) approfitta degli spazi concessi dai postumi della pandemia, quando Vince Clark si prende la briga di manipolare i brani del precedente The Neon per smontarli e riassemblarli in chiave diversa, Andy Bell invece al solito ci mette la voce concentrandosi stavolta più sull'effetto che non sulle parole: ne vien fuori un LP intrigante e ricco di spunti che conferma l'intatta voglia di sperimentare. Non si tratta di semplici remix ma di un audace lavoro di backup che fa felici i feticisti delle sonorità vintage: dieci tracce ciascuna di tre minuti circa in cui i ruoli tradizionali si invertono, con il calore che viene spesso emanato dai beat pulsanti ed il freddo da intersezioni parlate robotiche e glaciali, nobilitate da un' emotività che si conferma piatto forte del marchio.
La minacciosa apertura “Based On A True Story” mescola le basi di “Tower Of Love” senza stravolgere del tutto il mood bizzoso dell'originale, mentre “Bop Beat” alza i decibel attraverso frasi stroboscopiche da pista da ballo Ebm. “Pin Prick” (di sottili impalcature New Age) è un altro degli episodi salienti di una scaletta la cui prima metà cresce lenta ed armoniosa (le melodie di “Now” e “The Conman” ricordano più gli Yazoo di “Only You” e “I Before E Except After C” che non gli Erasure vecchia maniera), mentre la metà successiva torna a incalzare sul dancefloor con l'appiccicosa disco post-apocalittica “Inside Out”. “Harbour Of My Heart” e “3 Strikes And You're Out” sono le più dirette e vicine al formato standard, da apprezzare infine “The Shape Of Things” (a qualcuno farà tornare in mente “Moments In Love” dei pionieri Art Of Noise) e la ninna nanna paranoide “The End”, che chiude a colpi di carillon stilizzato un piacevole concept.


Qua e là: curiosità e falsi miti su Andy e Vince

Malgrado sia considerato in assoluto uno dei più importanti precursori del movimento elettronico, Vince Clarke ha sempre scansato atteggiamenti equivoci o manie da divo e mantenuto un profilo basso restio alla luce dei riflettori, doti umane che fanno di lui uno dei personaggi più ammirati della scena pop. Il prolifico tastierista è stato insignito nel 2009 del premio speciale Ivor Novello "Outstanding Song Collection", che giunge a coronamento dei suoi trent'anni nell'industria discografica. Nel 2013 la rivista Classic Pop lo elegge musicista più influente degli anni Ottanta, dato che in un sondaggio per stabilire i 100 migliori singoli del decennio ben quattro nascono dalla sua penna ("Just Can't Get Enough" dei Depeche Mode, "Nobody's Diary" degli Yazoo, "Sometimes" e "A Little Respect" degli Erasure).
Oltre all'attività principale con gli Erasure, nel corso degli anni ha prestato il suo genio autodidatta a numerosi progetti paralleli: tra quelli non elencati in questa monografia, vale la pena ricordare i singoli "One Day" del 1985 con Paul Quinn (leader della band post-punk scozzese Bourgie Bourgie) e "Knock On Your Door" del 2001 con i Radioactivators, "Lucky Bastard" (1993, solo album a carattere domestico che raccoglie 94 samples creati ad arte con i synth più disparati), "Spectrum Pursuit Vehicle" del 2001 (Lp firmato Vince Clark And Martin Ware) e "The House Of Illustrious" del 2012 (ancora The Clarke And Ware Experiment). Praticamente impossibile, invece, stilare un elenco completo della sterminata serie di remix cui mette mano su commissione, tra i più prestigiosi "Mann Gegen Mamm" (Rammstein, 2005), "No You Girls" (Franz Ferdinand, 2009), "Believer" (Goldfrapp, 2010), "Living On The Ceiling" (Blancmange, 2013) e "Bedsitter" (Soft Cell, 2018).
Capitolo a parte l'album "2Square" in collaborazione con Paul Hartnoll degli Orbital, che inaugura il lancio dell'etichetta Very Records di proprietà dello stesso Clarke: la "very small record label dedicated to releasing very fine electronic music" (così recita l'intestazione del sito) si propone di dare risalto alle più o meno probabili next big thing dell'elettronica odierna (per adesso ha messo sotto contratto Alka e Reed And Caroline, oltre naturalmente a Clarke/Hartnoll, ma i lavori sono ancora in corso).

La lunga militanza al fianco di Andy Bell tiene in vita diffuse leggende metropolitane che lo vogliono gay e presunto partner del collega: non è così, Vince infatti è sposato dal 2004 con Tracy Hurley, co-fondatrice del Morbid Anatomy Museum di Brooklyn. La coppia vive insieme al figlio Oscar, di dodici anni. Andy da par suo è sentimentalmente legato a Stephen Moss, conosciuto dietro le quinte di un'esibizione all'Honey Pot di Tampa, gay-club di proprietà dell'uomo poi sposato nel gennaio 2013, a pochi mesi dalla morte di Paul Hickey (i due oggi vivono felicemente a Miami insieme al loro doberman Angel Baby).
Nel frattempo prova a reinventarsi commediante per Torsten, one-man show a tinte noir ideato dal drammaturgo Barney Ashton-Bullock (musiche di Christopher Frost). La serie produce due concept, "Torsten The Bareback Saint" (2014) e "Torsten The Beautiful Libertine" (2016), che hanno debuttato al festival di Edimburgo sotto la direzione artistica di Predrag Pajdic. Le locandine descrivono lo spettacolo come "una raccolta di cartoline musicali dalla memoria di un semi-immortale polisessuale".

Infine, una rassegna dei cinque album fondamentali nella formazione di Vince Clarke, senza i quali probabilmente la carriera degli Erasure non sarebbe stata la stessa:

- Genesis - "A Trick Of The Tail": "Iniziai a lavorare a sedici anni e con i pochi risparmi comprai un giradischi parecchio costoso, 70 sterline o giù di lì... lo testai subito con quell'album e fu una rivelazione per me, è un ottimo disco fantasy e Phil Collins suona molto bene".

- Simon & Garfunkel - "Bookends": "Quando eravamo a scuola imparai a suonare la chitarra, poi vidi 'Il Laureato' e comprai gli spartiti di 'Bookends', quest'album rappresenta molto per me".

- The Cure - "Three Imaginary Boys": "Alison Moyet suonava ancora con i Vandals e la sua amica Sue Paget aveva con sé questo disco, l'ascoltavamo spesso... la prima volta che andai a un festival fu al Reading per ascoltare i Cure, fecero un set di 45 minuti... è uno di quei dischi che ti fa sentire solo contro il mondo".

- Pink Floyd - "The Dark Side Of The Moon": "È il mio album preferito di ogni epoca, non si può migliorare, ancora oggi è la perfezione... provammo a fare qualcosa del genere con il nostro 'Erasure' del 1995, ma purtroppo non ci riuscimmo".

- The Human League - "Travelogue": "Mai ascoltato nulla di simile in precedenza... il clima da fantascienza anni 50 mi sconvolse, era come sognare... fu una spinta importantissima per me in termini di ricerca sonora".

Il suo desiderio inespresso, invece, è suonare con Philip Glass: "Se qualcuno sta leggendo per favore gli dia il mio numero di telefono...". Staremo a vedere.

Contributi di Mauro Caproni ("The Neon")

Con amore a Eugenia, senza la quale questa monografia (e qualunque altra cosa...) non sarebbero state possibili.

Erasure

Discografia

ERASURE
Wonderland (Mute Records, 1986)

7

The Circus (Mute Records, 1987)

6,5

The Innocents (Mute Records, 1988)

8,5

Crackers International (Ep, Mute Records, 1989)

6,5

Wild! (Mute Records, 1989)

7,5

Chorus! (Mute Records, 1991)

7

Abba-esque (Ep, Mute Records, 1992)

6,5

Pop! The First Twenty Hits (antologia, Mute Records, 1992)

I Say I Say I Say (Mute Records, 1994) 8
Erasure (Mute Records, 1995)

5,5

Cowboy (Mute Records, 1997)

6

Loveboat (Mute Records, 2000)

6,5

Other People's Song (Mute Records, 2003)

6

Hits! The Very Best Of Erasure (antologia, Mute Records 2003)

Nightbird (Mute Records, 2005)

7

Union Street (Mute Records, 2006) 6
Light At The End Of The World (Mute Records, 2007) 6
Tomorrow's World (Mute Records, 2011)

5,5

Essential (antologia, Mute Records, 2012)

6,5

Snow Globe (Mute Records, 2013)

4,5

The Violet Flame (Mute Records, 2014)

5

Always: The Very Best of Erasure (antologia, Mute Records, 2015)

From Moscow To Mars (antologia, Mute Records, 2016)

World Be Gone (Mute Records, 2017) 6,5
World Beyond (Mute Records, 2018)

6

The Neon (Mute Records, 2020)

7,5

Ne:EP (Mute Records, 2020)
The Neon Live (Live, Mute Records, 2020)
Day Glo (Based On A True Story) (Mute Records, 2022)

6,5

ANDY BELL
Electric Blue (2005, Sanctuary)

6

Non Stop (2010, Mute Records) 6,5
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Who Needs Love Like That
(da Wonderland,   1986)

Heavenly Action
(da Wonderland, 1986)

 

Oh, l'Amour
(da Wonderland, 1986)

It Doesn't Have To Be
(da The Circus, 1987)

The Circus
(da The Circus, 1987)

A Little Respect
(da The Innocents, 1988)

Ship Of Fools
(da The Innocents, 1988)

Chains Of Love
(da The Innocents, 1988)

Stop!
(da Crackers International, 1988)

Drama!
(da Wild!, 1989)

Blue Savannah
(da Wild!, 1989)

Star
(da Wild!, 1989)

Chorus
(da Chorus, 1991)

Love To Hate You
(da Chorus, 1991)

Am I Right? 
(da Chorus, 1991)

 

Always
(da I Say I Say I  Say, 1994)

I Love Saturday 
(da I Say I Say I Say, 1994)

Fingers And Thumbs
(da Erasure, 1995)

Rain
(da Cowboy, 1997)

Freedom
(da Loveboat, 2000)

 

Solsbury Hill 
(da Other People's Songs, 2003)

Breathe
(da Nightbird, 2005)

I Could Fall In Love With You 
(da Light At The End of The World, 2007)

Just When I Thought It Was Ending 
(da Tomorrow's World,  2011)

Gaudete
(da Snow Globe, 2013)

Dead Of Night
(da The Violet Flame, 2014)

 

Love You To The Sky
(da World Be Gone, 2017)

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