Gorky's Zygotic Mynci

Gorky's Zygotic Mynci

Psycho-pop-folk dal Gallles

Stravaganti e in controtendenza rispetto alle mode del periodo, i folletti gallesi, capitanati dal cantante Euros Childs, hanno incarnato una delle più preziose "eresie" del rock britannico degli ultimi anni

di Giuseppe Rapisarda

Il Galles è spesso considerato un paese marginale dal punto di vista artistico, una sorta di semplice appendice dell’Inghilterra, quando in realtà possiede una cultura antica che affonda le radici nella tradizione celtica, inoltre è un luogo pregno di suggestioni mitologiche legate alla leggenda del ciclo arturiano cui fa da sfondo e che ha dato i natali a figure importanti del panorama letterario come il poeta Dylan Thomas (un certo Robert Zimmerman lo omaggerà con il suo nome d’arte), il celebre filosofo–matematico Bertrand Russell e il meno conosciuto ma talentuoso scrittore Arthur Machen, autore di romanzi e racconti di genere fantastico a sfondo onirico-esoterico. Ma anche nell’ambito della musica pop-rock l’offerta della terra gallese è notevole, varia e densa di qualità: dal fenomeno popolare Tom Jones a John Cale, la geniale viola dei Velvet Underground, dal power-pop dei Badfinger al rock epico degli Alarm, dal post-punk di Scritti Politti e Young Marble Giants al britpop di Manic Street Preachers, Stereophonics e Super Furry Animals. Infine, ci sono i Gorky’s Zygotic Mynci, gruppo di culto per eccellenza, idolatrato dai fan e ignorato da tutti gli altri, misconosciuto più che dimenticato: chi ne ha ascoltato almeno un disco difficilmente sarà rimasto indifferente a quello che può essere definito a ragione uno dei segreti meglio custoditi del pop britannico, in virtù di uno stile peculiare, a tratti geniale e sempre inconfondibile. Un gruppo bizzarro, a partire da una ragione sociale dalla dubbia pronuncia e da un incerto significato, a detta della band il nome più ridicolo a cui si potesse pensare.

Bizzarri e insoliti al contempo sono anche i riferimenti e di conseguenza la loro proposta musicale: mentre negli anni 90 nel Regno Unito esplode il britpop, fondamentalmente una rielaborazione dei gruppi storici dei sixties, a volte caratterizzata da marcati influssi smithsiani o new wave, i Gorky’s guardano piuttosto al folk acido della Incredible String Band e a quello più tradizionale dei Fairport Convention, al sound di Canterbury e ai cantautori fuoriusciti da quella scena, come Kevin Ayers, alla psichedelia e al prog più visionario e più raramente all’indie-rock più obliquo, il tutto rimescolato e riprodotto in un’ottica pop spesso spiazzante, fatta di acrobazie strumentali e vocali dal piglio a tratti zappiano e più spesso fiabesco. Troppo pop per i puristi del rock psichedelico e progressivo, troppo particolari per gli amanti del pop più convenzionale, si ritrovano in una terra di nessuno dove la commistione tra sperimentazione e irresistibili ganci melodici, il loro essere accattivanti ma in modo spesso bislacco, insieme all’utilizzo massiccio a inizio carriera della lingua gallese, ignota ai più (perfino alla maggior parte dei gallesi) porta i Gorky’s a un incredibile record che conferma il loro status di autentici e adorabili loser: sono l’unico gruppo nel Regno Unito con otto singoli che hanno raggiunto la top 75 senza entrare nella top 40.

I Gorky’s Zygotic Mynci si formano agli albori degli anni 90 a Camarthen - paese del sud del Galles celebre in patria perché secondo la leggenda nei suoi pressi è nato il mago Merlino - quando l’appena quindicenne Euros Childs, cantante e tastierista e futuro leader della band incontra al liceo il chitarrista John Lawrence e il bassista Richard James. Nel giro di breve tempo ad essi si aggiungerà Megan Childs, sorella di Euros e violinista, a comporre una line-up di base a cui si aggiungeranno e alterneranno altri strumentisti per periodi brevi.

Dopo aver prodotto una cassetta (“Allumette”) nel ’91, l’anno successivo i Gorky’s danno alle stampe Patio, il loro esordio discografico uscito per la piccola etichetta gallese Ankst, che in seguito si occuperà dei primi singoli dei Superfurry Animals. Realizzato quando i Gorky’s sono ancora minorenni, Patio raccoglie registrazioni sia casalinghe sia di studio, rivelando un talento inevitabilmente ancora acerbo ma promettente, dotato di una vena anarchica e caotica. Sia che si voli su elettrizzanti ottovolanti psycho-pop-punk (le irresistibili ed elettriche ”Peanut Dispenser”, propulsa da wah wah acidi, “Dafad Yn Sariad” e “Barbed Wired”), sia che ci si lasci cullare da ballate pastorali (“Lladd Eich Gwraig”), a colpire sono le melodie ineffabili e surreali, rese ancor più peculiari dalla voce adolescenziale di Euros Child e dall’utilizzo dell’idioma gaelico, che rende il tutto ancor più suggestivo.
Si tratta a livello sonoro del loro album più (indie) rock, in cui prevalgono ritmi sostenuti e chitarre elettriche (“Gwallt Rhegi Pegi” è una sorta di versione gallese dei Pixies di “Doolittle”) che sconfinano nel noise con l’ultra-lo-fi di “Sally Webster”. La natura psichedelica che caratterizza i vari pezzi grazie a un suono stratificato si esplica in “Oren Mefus Chadno” dove un riff desert-rock va a incrociarsi con i violini di Megan, mentre la monelleria twee di “Mr. Groovy” mostra la loro vena più pop. Dall’ascolto del disco si esce disorientati e ammirati da tanta fantasia e varietà stilistica, tanto che il connazionale John Cale, in preda all’entusiasmo, sceglierà Patio come miglior album di sempre e il celebre dj John Peel trasmetterà i brani del gruppo nel suo programma radio alla Bbc.

Nel 1994, anno segnato nel Regno Unito da album come “Parklife” dei Blur e “Definitely Maybe” degli Oasis, esce Tatay il secondo disco (il primo realizzato completamente in studio) con cui i Gorky’s sembrano degli alieni provenienti da un altro spazio-tempo rispetto ai più celebr(at)i colleghi del britpop. Abbandonata l’elettricità degli esordi in favore di sonorità acustiche e tentazioni sperimentali, il gruppo con Tatay rende omaggio ai propri eroi musicali con una versione più breve ma altrettanto dolce di “Caroline” dei Matching Mole di Robert Wyatt e la dedica inequivocabile di “Kevin Ayers”, breve bozzetto fiabesco con flauto e coretti angelici che porta il nome dell’autore di “Shooting At The Moon” definito in una nota del disco il miglior album di tutti i tempi.
Il suono canterburiano e sperimentale riecheggia in brani d’avanguardia dall’impronta patafisica come la title track, strumentale presente in due versioni (la prima in uno stile krautedelico, la seconda più area) e in “Amsermaemayindod – Cinema” i cui canali audio di destra e sinistra differiscono con effetto straniante.
Parallelamente, i Gorky’s si avvicinano a quello che sarà il loro genere di riferimento, ovvero il folk acustico dal taglio acido e onirico, ora sonnacchioso e stralunato (“Thema o Cartref”), ora epico e sghembo come solo certi Neutral Milk Hotel (il ritornello trascinante di “Y Ffordd Orem”). Si distingue tra i brani infine “Beth Sy'n Digwydd I'r Fuwch”, costituita da arpeggi e melodie misteriose che tessono una trama ipnotica e che deraglia elettrica nella fase centrale, unica concessione al rock dell’album.

L’anno successivo, mentre il fenomeno britpop esplode definitivamente con lo scontro mediatico Blur-Oasis, ai margini delle luci della ribalta esce il terzo album di Gorky’s, Bwyd Time, in cui a dominare sono le sonorità tipiche dello psych-folk, arricchite per l’occasione da una strumentazione sempre più ampia, che comprende piano, organo, sintetizzatori, tromba, sassofono, flauto e persino un sitar suonato da Anthony Saffery dei Cornershop.
Introdotto da una title track che parodizza la disco in modo demenziale, l’album è principalmente composto da ballate acustiche dagli arrangiamenti fantasiosi, tra le quali spiccano una melliflua “Miss Trudy”, non troppo originale per i loro standard ma abbastanza accattivante da essere scelta come singolo della settimana dal New Musical Express, “Oraphis Yn Delphie”, arricchita da una tromba alla “Sgt. Pepper’s”, e in particolare “Gewn Ni Gorffen”, alchimia metafisica di linee vocali arcane e spirali mesmeriche di organo, archi e synth.
Ma a svettare sull’intero album è “The Game Of Eyes”, sorta di colonna sonora di un musical dell’assurdo o possibile hit da mondo parallelo, tra voci deliranti, cambi di tempo, wah wah liquidi ed esplosioni orchestrali.
Con Bwyd Time si chiude la prima fase della carriera dei Gorky’s, suggellata dalla raccolta Introducing del ’96, che raccoglie alcuni dei brani più significativi dei primi album, insieme ad altri usciti solo su singolo o Ep, come “Merched Yn Neud Gwallt Eu Gilydd”, “If Fingers Were Xylophones” e “Why Are We Sleeping?”, vere e proprie perle di pop psichedelico, caratterizzate da saliscendi vocali e strumentali da capogiro, da annoverare tra i capolavori del gruppo, segno di una creatività straripante.

I Gorky’s nel 1997 passano alla Fontana Records con Barafundle, il cui titolo è tratto dal nome di una spiaggia situata nei pressi della casa di Euros Childs. Il passaggio a un’etichetta più importante avrebbe potuto portare a un suono e a uno stile più potabili e appetibili, ma il gruppo prosegue coerentemente nella ricerca e riscoperta delle radici folkloriche britanniche. L’unica concessione al pop più puro è rappresentata da “Patio Song”, brano peraltro riuscitissimo, che potrebbe rivaleggiare con i classici dei sixties, aperto direttamente da un ritornello (“Oh isn’t it a lovely day…”) di un ottimismo contagioso, e che, uscito come singolo, ottiene il miglior piazzamento, posizionandosi alla quarantunesima posizione della classifica Uk.
In Barafundle i Gorky’s abbandonano l’avanguardia pura, ma si divertono a sperimentare all’interno della forma-canzone componendo delle mini-suite quasi prog in cui si alternano elementi diversi: graffi elettrici e dolci carezze (“The Barafundle Bumbler”, “Meirion Wyllt”), momenti pastorali e refrain catchy, vocalizzi angelici e suggestioni medievali. Proprio queste ultime conferiscono al disco una dimensione atemporale, con riferimenti che vanno dai classici anni 70 a chi sa quale secolo passato, grazie all’utilizzo della chiarina, antico strumento a fiato simile all’oboe suonato da Lynn Childs, il padre di Euros, nell’intermezzo di “Starmoonsun”, ai cori gregoriani che introducono “Pen Gwag Glas”, o allo strumentale “Cursed Coined And Crucified”, tutti brani rara suggestione che introducono l’ascoltatore in un mondo fantastico.
Compare perfino uno scacciapensieri in “Diamond Dew” e “The Wizard And The Lizard”, che riportano in auge la tradizione freak dell’Incredible String Band. Tutti questi elementi desueti ed evocativi si mescolano in un equilibrio perfetto anche grazie a un songwriting ispiratissimo e senza punti deboli, tanto che anche le canzoni più lineari come “Heywood Lane”, “Sometimes The Father Is The Son” e “Dark Night” finalmente colpiscono anche a livello emotivo e non solo per i lati più eccentrici.
Barafundle è dunque il disco centrale della discografia della band, sia a livello cronologico che stilistico, e probabilmente il loro vertice qualitativo. L’album è prodotto da Gorwell Owen, già al lavoro con i Super Furry Animals, che collaborerà con la band in tutti gli album successivi.

Giunto nel 1998 al quinto album con Gorky 5, il gruppo accentua se possibile il lato “fantasy” del lavoro precedente,rispetto al quale cambiano le carte in tavola: non più prevalenza di chitarre acustiche e abbondanza di strumenti insoliti, in favore di un uso prevalente di elettriche dal suono pulito, piano e archi, ma soprattutto traspare un mood più malinconico e pensoso, che fa del disco un perfetto sottofondo per uggiose serate invernali, grazie a suoni ovattati e avvolgenti e ad atmosfere sempre più rarefatte. La levità e dolcezza di pezzi come “Dyle – Fi”, “Tsunami”, “Hush The Warmth” e la conclusiva “Catrin”, in apparenza semplici eppure dalle melodie ineffabili ed evocative, suggeriscono una dimensione tra il fiabesco e il surreale, mentre lo strumentale cinematico “Not Yet” anticipa i Flaming Lips più onirici di “The Soft Bulletin”.
Il tributo al folk inglese più puro è rappresentato da “Only The Sea Makes Sense”, degna dei migliori Fairport Convention. Le uniche eccezioni a questo clima crepuscolare sono il singolo “Sweet Johnny”, introdotto da un violino countrieggiante che lascia spazio a riff elettrici di matrice glam, a un intermezzo rumorista e un finale dolcissimo, esempio di come i Gorky’s concepiscono le loro schizofreniche pop-song, e infine “Theme From Gorky 5 (Russian Song)”, che sembra provenire da un cabaret dell’est Europa con tanto di balalaika.
Ingiustamente sottovalutato dalla critica, Gorky 5 è l’ennesimo gioiello di una discografia che inizia a diventare notevole.

Il progressivo ammorbidimento e avvicinamento a uno stile più convenzionale, che coincide significativamente con l’abbandono della lingua gallese, si concretizza in Spanish Dance Troupe del 1999, il loro album più pop fino a quel momento. Pur contenendo brani validi come “Poodle Rockin’”, guizzo elettrizzante da Xtc davvero sotto ecstasy, la psichedelia onirica di “Over And Out”, degna dei primi Pink Floyd post-Barrett, e una deliziosa pop-song come la title track che sfodera oltre ai soliti violini pure una tromba mariachi, il disco presenta i primi cedimenti del gruppo in una fase centrale debole, con in sequenza la nenia melliflua di “Don’t You Worry”, il country-pop gradevole ma poco originale di “Faraway eye”, lo strumentale “The Fool”, che al pari dei suoi analoghi non raggiunge le vette raggiunte in passato, e “Hair Like Monkey Teeth Like Dog”, un divertissement paradossalmente poco divertente.
La magia è ritrovata fortunatamente nel finale, con le meraviglie armoniche di “Freeckles” e ”The Humming Song”, meste ballate con qualche assonanza con i Mojave 3 più malinconici.
Accolto dalla critica con opinioni contrastanti, Spanish Dance Troupe chiude la fase centrale e maggiore della carriera dei Gorky’s in modo interlocutorio, perso tra la creatività del passato e un addomesticamento che lascia presagire quella che sarà la normalizzazione degli album successivi.

Il processo si esplica in maniera fin troppo evidente nell’Ep dell’anno seguente, The Blue Trees , completamente suonato in acustico, un unplugged monocorde, che sembra inserire il gruppo nel filone New Acoustic Movement. Un lavoro privo della peculiarità dei dischi precedenti, con l’unica eccezione di “Face Like Summer”, un brano nel loro inconfondibile stile fatto di armonie al contempo dolcissime e insolite.

L’Ep segna l’inizio dell’ultima (e minore) fase della carriera della band, che prosegue con How I Long To Feel That Summer In My Hear del 2001. A questo punto la conversione da gruppo weird ad autori di classic-pop si palesa definitivamente in virtù di brani dal minutaggio contenuto, strutture convenzionali, arrangiamenti stringati e melodie accattivanti. Proprio queste ultime tengono in piedi un disco che riprende il clima nostalgico e malinconico di Gorky 5  e si rifà, seppur con il loro consueto spirito folk, ai Velvet Underground più dolci e ai maestri del pop britannico dai Beatles in giù, con un avvicinamento al britpop fuori tempo massimo.
“Honeymoon With You”, “Stood On Gold”, uscito come singolo, e la title track sono le nuove perle di un album che, se preso singolarmente sarebbe pregevole, ma inserito in una discografia importante come quella dei Gorky’s sfigura parzialmente in confronto ai (capo)lavori precedenti. Al contempo però How I Long To Feel That Summer In My Hear potrebbe fungere da introduzione alla conoscenza del gruppo in virtù della sua immediatezza e di uno stile che, seppur diventato più convenzionale, rimane sempre riconoscibile.

Lo stesso discorso vale per l’ultimo Sleep/Holiday (2003), album godibile ma che non aggiunge nulla di nuovo, con il solito campionario di meste ballate pianistiche (“Happiness” “Red Rocks”) e acustiche (“Only Takes A Night”, memore di Nick Drake), inframmezzate dal loro ultimo scatto elettrico, “Mow The Lawn”, la traccia che più si avvicina al rock’n’roll.
A tratti si manifestano momenti di stanca come in “Pretty As A Bee”, il loro brano più esteso in assoluto (oltre i nove minuti) composto da stanchi stilemi tardo-floydiani, che fortunatamente sfumano negli ormai classici, dolcissimi e armonici vocalizzi di Euros Childs, oltre che nella pleonastica “Country”.
Il canto del cigno dei Gorky’s presenta un gruppo che sembra procedere con il pilota automatico e probabilmente rimane la loro opera meno memorabile, eppure sempre gradevole.

Nel 2006 i Gorky’s si sciolgono definitivamente. La speranza di ritrovarli insieme, in questi tempi di reunion anche più improbabili, viene meno per le dichiarazioni dei membri della band, che, nonostante siano rimasti in buoni rapporti tra loro, escludono la ricostituzione del gruppo.
Gli orfani dei Gorky’s possono consolarsi con la nutrita discografia dell’ex-leader Euros Childs in veste solista, nel supergruppo Jonny costituito da questi con Norman Blake dei Teenage Fanclub e nella collaborazione con il gruppo Race Horses. Rimane però l’amaro in bocca per la fine di una band attiva nel momento sbagliato (l’era di grunge e britpop) e che non è riuscita a essere rivalutata in tempo nel decennio Zero, segnato da un particolare interesse verso il freak-folk, o in questi anni di recupero della psichedelia. Ma il fascino dei Gorky’s sta anche nel loro essere ignoti al grande pubblico, nel restare un culto riservato a pochi iniziati, depositari di un segreto da custodire gelosamente.

Gorky's Zygotic Mynci

Discografia

Patio (Ankst, 1992)

7

Tatay (Ankst, 1994)

7

Bwyd Time (Ankst, 1995)

7

Introducing (Mercury, 1996)

7,5

Barafundle (Fontana, 1997)

8

Gorky 5 (Mercury Records, 1998)

7,5

Spanish Dance Troupe (Mantra, 1999)

7

The Blue Trees (Mantra, 2000)

5,5

How I Long To Feell That Summer In My Heart (Mantra, 2001)

6,5

Sleep Holiday (Sanctuary, 2003)

6

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