Nevermore

Nevermore

Il lato progressive del thrash

Fautori di una musica granitica e riflessiva, che coniugava sonorità estreme alla cerebralità del progressive, negli anni 90 i Nevermore del compianto Warrel Dane sono stati tra i maggiori interpreti e rinnovatori del thrash e una delle maggiori formazioni metal

di Alessandro Mattedi

Why is this happening to me?
Why have I been forsaken?
Nothing numbs the pain any longer
Please... I'm slipping away
Il 13 dicembre 2017, a 56 anni, si è spento a causa di un infarto Warrel Dane, leader dei Nevermore, che fondò nel 1992 assieme al bassista Jim Sheppard. Baritono naturale, dalla voce carismatica e versatile più spesso impegnata in acuti laceranti, con il suo gruppo ha segnato un intero decennio di attività grazie ad alcuni degli album metal più espressivi e caratterizzati di sempre. Lo ricordiamo con questa monografia, che ricapitolerà i capitoli della sua creativa quanto travagliata creatura.

Parlare dei Nevermore vuol dire parlare di un gruppo unico che ha caratterizzato la seconda metà degli anni 90 e il cambio di millennio. Per comprendere appieno la loro importanza e la loro portata, bisogna inquadrarne il contesto di partenza, ovvero il cosiddetto thrash-metal. Il termine viene dal verbo inglese "to thrash" che significa "percuotere", e ciò caratterizza la tecnica di chitarre e sezione ritmica. Con questo termine si intende un genere metal nato all'inizio degli anni 80 come evoluzione più dura, scarna, veloce e martellante dell'heavy-metal di gruppi come Judas Priest e Iron Maiden. Portato alla ribalta da gruppi come i Metallica, i Testament, gli Anthrax, i Megadeth o gli Slayer, il thrash-metal ha fra i suoi genitori anche l'hardcore-punk californiano, di cui riprende le composizioni essenziali e i testi molto più cupi, nichilisti e metropolitani, che sovente affrontano tematiche politiche e di protesta sociale con una caratterizzazione fino a quel momento rara nel metal. 
Il genere si è evoluto nel corso degli anni verso varie direzioni, divenendo uno degli stili metal più influenti e versatili, alla base del background musicale di numerose formazioni e gettando direttamente le basi alla nascita di altri generi come il death-metal o il groove-metal.

Non ci dilungheremo nei dettagli della storia del thrash ora, se non per ricordare che negli anni 90 il genere era per vari motivi in crisi se non per alcuni sottostili di nicchia. Il mercato musicale aveva visto diverse trasformazioni e in particolare quello metal nel 1995 era orientato verso altre forme espressive, alcune più melodiose e di maggior appiglio commerciale, non sempre artisticamente valide. La maggior parte dei gruppi thrash arrancava a fatica, o ripeteva i cliché del passato. È in questa situazione che emergono i Nevermore, che superano i canoni del genere (post-thrash) e vi infondono nuova linfa vitale apportandovi la cerebralità compositiva del progressive.
Il loro contributo è stato quello di una rinnovata espressività sonora che in pochi gruppi hanno saputo eguagliare, il cui culmine è soprattutto nelle liriche angoscianti di una profondità toccante. Non bisogna fraintendere e pensare a un gruppo che inizi e finisca nel solo thrash: da esso partono le radici degli statunitensi, ma il thrash stesso è uno dei mezzi dei Nevermore, non il fine della loro musica, che porta a sintesi compiuta l'evoluzione di vari rami metal paralleli negli anni 90. I primi album dei Nevermore sono classici fondamentali per lo sviluppo del metal più genuino.

Il loro stile è peculiare e personale. Come accennato, parte sicuramente dai riff pesanti e martellanti del thrash-metal, influenzato in particolar modo da Metallica e Overkill, senza ignorare l'influenza degli stilemi più sincopati e ribassati del suo sottogenere groove-thrash-metal. Ma lo fanno all'interno di strutture complesse che toccano il progressive-metal e che vedono il contributo principale nella sezione ritmica di Jim Sheppard (basso) e Van Williams (batteria). Le parti chitarristiche, appannaggio di Jeff Loomis, lambiscono nelle influenze anche le composizioni aggressive ma virtuose delle varianti più tecniche di thrash (Watchtower; Coroner) e death-metal (Death in primis), lasciandosi ogni tanto contaminare anche da fraseggi lenti e cadenzati, alternati a quelli più veloci e taglienti con cui edificano atmosfere uniche di oppressione, dramma interiore ed epicità. La forza dirompente dei Nevermore non è mai gratuita, ma è ragionata, e in questo si vede l'influsso del progressive. A fare da collante c'è poi lo stile alienante e devastante dei Meshuggah, che da un certo punto in poi verrà integrato in maniera personale da Loomis per forgiare dei suoni unici. Ancora più affascinante è l'influenza della psichedelia anni 60 e 70, che forgia soprattutto le atmosfere più decadenti e allucinogene degli album dei Nevermore, oltre a essere citata più esplicitamente in cover e tributi sparsi.
Le linee vocali sono le più vicine invece ai classici dell'heavy-metal, con Dane che esplicitamente menziona Rob Halford, Bruce Dickinson e Ronnie James Dio come modelli (ai quali aggiungiamo un'evidente influenza di Geoff Tate), ed è sorprendente la sua talentuosa estensione canora, essendo un baritono naturale che raggiunge acuti con cui comporre un raggio vocale di 5 ottave.
Le atmosfere dei dischi dei Nevermore sono sempre molto cupe, riflesso dei testi pessimisti di Dane che generalmente criticano fortemente la religione e il governo degli Stati Uniti, soprattutto assumono toni autobiografici e descrivono i lutti, i drammi personali e le sofferenze patite coniugando una spontaneità dolente a una capacità introspettiva mai banale. Dane, inoltre, riflette sulla dimensione tecnologica della società e sul rapporto ambivalente che l'uomo ha con il progresso: sulla scia dei Sepultura di "Biotech Is Godzilla" e in parte dei Fear Factory di "Demanufacture", i suoi testi affrontano spesso i rischi che l'uso scorretto della tecnologia può apportare, disumanizzando la società e arrecando danno alle persone.

Il nucleo dei Nevermore risale al 1985, quando a Seattle vengono formati i Sanctuary. L'esordio è con Refuge Denied del 1987, un compendio di power-metal, speed-metal e thrash-metal sull'onda delle principali formazioni americane di quegli anni, come Metallica, Savatage, Testament, Manowar, Metal Church e Megadeth (il cui frontman Dave Mustaine fa da mentore, produttore e ospite d'eccezione in studio di registrazione), con influenze anche da gruppi europei come Accept e Judas Priest e dai primi act progressive-metal. Non si discosta stilisticamente dai gruppi che lo ispirano, dai quali vengono ripresi gli elementi migliori: alternanza di riff martellanti più "thrashy" e altri più taglienti vicini allo stile americano di power-metal (che è abbastanza diverso da quello europeo maggiormente noto ed è di suo più affine a thrash e speed-metal), ritmiche ossessive, eleganti duelli di chitarra, canto acutissimo vicino (forse troppo) a quello di Rob Halford. Il risultato è a modo suo accattivante e, considerate anche le vicissitudini del gruppo, è divenuto di culto presso il pubblico metal. Compare anche una interessante cover di "White Rabbit" dei Jefferson Airplane.

Con il successivo Into The Mirror Black, nel 1990, il suono si fa un po' più oscuro e drammatico, con violente sezioni squarciate dagli acuti sguaiati di Warrel Dane che si fa più personale. Nonostante non sia particolarmente originale, questo lavoro mette in evidenza i Sanctuary, grazie al loro piglio trascinante e a un talento compositivo che anticipa già qualcosina di quel che sarà il futuro sound dei Nevermore, ma che per il momento sfocia in un potente power/thrash corrosivo.
Questo però non basta, in questi anni, alla label Epic Records che fiuta invece il nascente fenomeno del grunge e chiede al gruppo di cambiare stile, avvicinandosi alle altre formazioni concittadine. Ciò provoca attriti fra i membri del gruppo, divisi sulla direzione da intraprendere, e i Sanctuary si sciolgono nel 1992.
Il cantante, Warrel Dane, e il bassista, Jim Sheppard, decidono di proseguire per loro conto, formando un nuovo gruppo che espandesse il discorso intrapreso dai Sanctuary, avendo un occhio di riguardo per forme di metal più impegnate (Fates Warning, Psychotic Waltz ma soprattutto quello dei concittadini Queensryche) e aprendosi alle più recenti evoluzioni del thrash (il groove-metal soprattutto).
Nascono così ufficialmente nel 1992 i Nevermore.

nevermorejimsheppard_600 Nel 1995 esce il debutto omonimo sotto il nuovo moniker e con l'importante etichetta metal Century Media: Nevermore è un disco che idealmente possiamo porre in un crocevia tra "... And Justice For All" dei Metallica e "Souls Of Black" dei Testament, dei quali viene ripreso lo stile secco e ossessivo, "Burn My Eyes" dei Machine Head, per i suoni corposi e lancinanti (ma senza spingersi agli stessi livelli distorti), infine "Parallels" dei Fates Warning e "Rage For Order" dei Queensryche, l'apporto dei quali è soprattutto rintracciabile nell'attitudine e nella ricercatezza del songwriting.
I brani sono tutti di una lunghezza relativamente sostenuta, in media 5 minuti. Il canto di Dane si è ormai evoluto in una sofferta ma potente litania, particolarmente espressiva soprattutto nei brani più espliciti nella critica sociale e politica. È presente anche la tematica dell'abuso di droghe, ma in una veste pessimista che ben si sposa alle atmosfere oscure e opprimenti del lavoro.
La chitarra è affidata all'amico Jeff Loomis con il suo estro personale. Il suo riffing è pesante, ribassato e corposo, senza però tralasciare un aspetto più orecchiabile che non stempera, anzi esalta sia la potenza dei suoni che l'atmosfericità (soprattutto grazie all'oculato inserimento di arpeggi puliti e fraseggi melodici). Gli assoli sono al cardiopalma e non disdegnano virtuosismi. È però soprattutto il duro lavoro di basso e batteria (quest'ultima affidata a Mark Arrington solo per questo disco) a impressionare per accuratezza e instancabilità. L'esordio dei Nevermore è un fulmine a ciel sereno, in un mercato che sta iniziando a saturarsi di cloni assai poco genuini di altri generi metal (e non) più orecchiabili e indugianti in stereotipi. Purtroppo, per questo motivo il disco vende pochissimo.

Nel successivo Ep In Memory, uscito nel 1996, lo stile dei Nevermore si fa sempre più personale e si avvale dell'ingresso di due nuovi musicisti: Pat O'Brien come chitarra ritmica e il portentoso Van Williams come batterista definitivo. I suoni sono strazianti e violenti, il risultato compositivo notevole. È un antipasto notevole del secondo album, che esce due soli mesi dopo.
The Politics Of Ecstasy prende il titolo dal libro omonimo di Timothy Leary. È un lavoro spietato, grondante di desolazione e disillusione sociale. L'ossatura su cui si regge il disco è un thrash-metal furibondo (e fuori moda), che il gruppo personalizza con riferimenti al groove-metal, assoli cerebrali ispirati dal death-metal tecnico degli Atheist e dei Death di Chuck Schuldiner (quest'ultimo ricambierà la lusinga facendosi ispirare anche dai Nevermore nei suoi Control Denied) e con una leggerissima spruzzata psichedelica nelle atmosfere. Una fondamentale influenza è data anche dagli svedesi Meshuggah il cui stile cupo, ribassato e sincopato viene metabolizzato dai Nevermore per forgiare un riffing inedito (il gruppo, in particolare, stravede per "Destroy, Erase, Improve").
Pezzi frenetici come "The Seven Tongues Of God" o "The Tiananmen Man", ma anche la breve parentesi acustica di "The Premonition" o i chiaroscuri arpeggiati della suite finale "The Learning" sono fra i pezzi da 90 che il gruppo può vantare.
Il disco vende circa 9000 sole copie negli Stati Uniti, ma riceve il plauso della critica e del pubblico. Prima del tour conseguente, Pat O'Brien lascia la band per unirsi ai Cannibal Corpse e viene rimpiazzato da Curran Murphy per i concerti e poi (per la durata delle registrazioni di un solo album) da Tim Calvert.
Please God why can't you hear us?
Please God why aren't you listening?
Please God why must we fear you?
Please God why did you take her away?
Il terzo album Dreaming Neon Black è molto vissuto e sofferto, mette da parte la critica politica più spietata per darsi all'introspezione emotiva. Le atmosfere sono oppressive, solenni e acide, quasi gotiche nel loro incedere funereo, al punto che nei momenti più lenti ci si avvicina quasi al doom-metal. Queste caratteristiche trovano espressione sia nei brani più pesanti e violenti, che vedono una maggiore apertura a melodie oscure, sia in alcune ballate pesanti e sofferte, stilisticamente derivate da quelle del black album dei Metallica ma molto più addolorate e angoscianti.
Dalla title track semi-acustica alla funerea "Cenotaph", l'album è un capolavoro di dolore. Il concept (che Dane definisce "shakespeariano... con un finale tragico") è parzialmente ispirato dalla rottura della relazione con la sua fidanzata dell'epoca, che scappò in una setta religiosa (che Dane definisce di "mangiatori di loto" per indicare il modo con cui le persone sono circuite al suo interno) senza che se ne seppe poi più nulla. All'argomento è dedicata soprattutto la pesante, profonda ballad lisergica "The Lotus Eaters", scandita da lentissimi riff iper-distorti e dal canto drammatico su di un testo devastante. La copertina, inoltre, rappresenta un sogno di Dane in cui vede la ragazza affogare senza poter esserle d'aiuto (la metafora è simile a "Saw You Drown" dei Katatonia). La conclusiva "Forever" cita questo sogno: un ultimo "sfogo" drammatico, che consiste in due soli minuti minimalisti e commoventi, con un tenuissimo rintocco di chitarra ad accompagnare l'affranto Warrel Dane. Questa funerea marcia si conclude con un seguito di 7 minuti di solo silenzio, lasciando spazio a un lutto malinconico per il quale non servono parole.
Il disco vende quasi il doppio del predecessore negli Usa e fa entrare i Nevermore in una classifica per la prima volta con una modestissima 80esima posizione in Germania. La stampa specializzata ne loda l'inventiva e la profondità espressiva.

nevermorewarrel_daneLa "consacrazione" definitiva arriva nel 2000 con Dead Heart, In A Dead World. Si tratta di un progressive-groove-metal che non rinuncia ai tecnicismi, ma riesce a espandere il proprio lato melodico e a implementare elementi heavy-metal e american-power-metal senza compromettere l'equilibrio dei brani e la natura granitica micidiale della sezione ritmica. Il risultato, a dispetto del titolo, è meno dolente e malinconico nelle atmosfere e nei suoni rispetto ai precedenti lavori, il che da un certo punto di vista lo fa sembrare meno "profondo" (ma è solo una sensazione apparente, in quanto a livello di ricercatezza dei testi e di cura negli arrangiamenti il gruppo supera sé stesso). Inoltre è anche uno dei lavori più immediati e trascinanti dei Nevermore e, forse, anche il più personale di tutti dal punto di vista stilistico, con un Loomis (nuovamente solo alle chitarre e alle prese con la 7 corde per la prima volta) in forma smagliante.
La registrazione è pulita e nitida grazie al lavoro in fase di produzione di Andy Sneap, che conferisce inoltre un suono basso e pesante ai pezzi, azzeccando alla perfezione il modo migliore di esaltare lo stile dei Nevermore. Difficile non considerarlo uno dei migliori album metal del decennio, perché ogni brano è una solida sintesi di estremismo, melodia, ricercatezza dei suoni e tecnica. In chiusura c'è anche un'atipica rivisitazione di "The Sound Of Silence" di Simon & Garfunkel; ma se l'originale era un dolce e delicato pezzo acustico che rifletteva sulla solitudine dell'uomo, questa versione trasfigura la canzone in un'elegia tormentata, violenta e agghiacciante. Le stesse parole del testo, ruggite mentre sovrastano il riffing da martello pneumatico e la batteria a valanga, esprimono un feroce tormento interiore.
Il disco vende molto più dei predecessori (30.000 copie negli Stati Uniti), ma restando sempre su livelli modesti. Purtroppo il mercato metal è ormai invaso dall'esplosione di vari trend: la nuova generazione di power-metal melodico e sinfonico europeo, la seconda e terza ondata di nu-metal, l'esplosione dei derivati del melodic-death-metal e della new-wave-of-american-metalcore, la banalizzazione e commercializzazione del gothic-metal. Tutte correnti che hanno saturato la scena di cloni e gruppi con raramente qualcosa di artistico da dire. Il risultato è stato non solo quello di diluire i più creativi fondatori degli stessi generi sopra citati in un mare di derivazioni scadenti, ma anche di togliere spazio a molti fenomeni più di nicchia. Eppure, la portata artistica dei Nevermore a posteriori si è rivelata inversamente proporzionale al successo commerciale.

Nel 2002 esce Enemies Of Reality, con composizioni più aggressive e ostiche, che convergono in ritornelli irresistibili e spunti quasi psichedelici. Complessivamente è molto più "thrasheggiante" del predecessore, a volte al limite del death-metal (sia tecnico, con riferimenti a Cynic e Death, sia melodico con i Carcass di "Heartwork"). Dane sfoga un canto urlato vicino all'hardcore-punk. Purtroppo la produzione è a dir poco scadente rispetto agli standard del gruppo e penalizza non solo l'impatto e la portata melodica, ma anche le prestazioni dei singoli musicisti (il basso, in particolare, risulta affogato e rovinato nella registrazione). La responsabilità è della Century Media, che preme affinché il gruppo firmi un nuovo contratto prima ancora di pubblicare l'ultimo disco previsto da quello in auge, per poi tagliare il budget per le registrazioni di fronte alla volontà dei Nevermore di concludere regolarmente il programma di uscite previste e solo in seguito valutare le offerte disponibili. Così gli americani non possono riassumere Andy Sneap, che tanto aveva caratterizzato il suono scorrevole e profondo di Dead Heart, e devono ripiegare su Kelly Gray (ex-Queensryche) che in teoria cerca di dare un tocco caldo "grunge" - ma viene limitato dalle ristrettezze tecniche, sfociando in un lavoro approssimato al livello di una demo. Ciò nonostante, il fascino magnetico emanato dalle canzoni è enorme, con alcuni dei pezzi più riusciti del gruppo (svettano soprattutto l'entusiasmante, potente e ipnotica title track; la ballad tra hard-rock e groove-metal "Tomorrow Turned Into Yesterday"; i riff-panzer à-la Meshuggah di "I, Voyager"; e i fraseggi malinconici abbinati a dissonanze alienanti tooliane di "Noumenon").
C'è rammarico, quindi, per il potenziale sprecato con una produzione indegna nella prima edizione del lavoro; fortunatamente alcuni anni dopo il disco viene ristampato in una nuova edizione rimasterizzata e remixata da Sneap, che restituisce parte dello spessore ai pezzi (pur non raggiungendo i livelli del disco precedente, perché si limita a dare una produzione pulita senza però caratterizzarne particolarmente il suono). L'album è dedicato a Chuck Schuldiner, leader dei gruppi metal Death e Control Denied, morto l'anno prima prematuramente a causa di un tumore cerebrale. I testi sono fra i più riflessivi e profondi mai scritti da Dane e sfociano nella filosofia, mostrando qualche affinità con Schuldiner.
There is no stronger drug than reality
Twist and change, time is nothing, regret everything
There is no stronger drug than reality
We are the enemy
Nel 2006 esce This Godless Endeavour, un trionfo massimalista di tecnica e melodia. Disco dalla gestazione lunga e travagliata, riassume la carriera dei Nevermore elevandone al quadrato la musica. Al centro di tutto c'è lo stakanovistico lavoro di Jeff Loomis, a cui si aggiunge il nuovo acquisto Steve Smyth (e in alcune occasioni l'ospite James Franklin Murphy, già in precedenza con Death, Obituary e Testament). La loro sinergia fiorisce in un'imponente e intricata struttura chitarristica che esalta al massimo i tecnicismi e i virtuosismi, lunghi e irresistibili, per poi cedere il posto a spezzoni acustici o melodici che vanno a formare intere digressioni malinconiche da mozzare il fiato, mentre armonizzazioni trascinanti raccordano il tutto. Si possono avvertire lievi influenze dai Meshuggah e dal melodic-death-metal degli At The Gates, ma lo stile risultante è unico e rappresenta la summa del percorso evolutivo dei Nevermore nei tre pilastri che l'hanno contraddistinto: melodia, tecnica e potenza/violenza. Brani come l'iniziale "Born" o "The Psalm Of Lydia" sono fra i più trascinanti di sempre mai composti dal gruppo.
Ancora una volta l'album è prodotto da Andy Sneap, che esalta con la sua pulizia i suoni potenti e precisi, dandovi vigore, pesantezza e al contempo facendoli apparire moderni come non mai. Ne beneficiano soprattutto i bassi di Sheppard, che tornano a farsi sentire con il loro ritmico pulsare, e la batteria Williams, che ora non suona più come una serie di pentole ovattate e sovrapposte, ma come il degno strumento di un degno drummer, accurato nell'esecuzione, potente nei rintocchi, solido nei blast beat. Al cardiopalma le parti vocali, con doppie voci intrecciate e spesso filtrate che generano un'atmosfera disumana (tutto l'album è un turbinio di umori nichilisti e atmosfere quasi post-apocalittiche, influenzate anche dalla pessima situazione personale di Dane, che riversa tutto il suo dolore nella musica).

Dopo tanti album ad alti livelli, i Nevermore possono così legittimamente essere considerati uno dei migliori gruppi metal di sempre. L'unico vero difetto, se così si può definire, di questo lavoro è la mancanza di reali sorprese: gli statunitensi ricapitolano quanto già detto in precedenza e lo esaltano, forti della maturità e dell'esperienza acquisite.
Nonosante il successo di critica, il 2006 per i Nevermore è un anno più o meno definibile come infelice: prima Jim Sheppard si sottopone a un intervento d'urgenza perché affetto dal morbo di Crohn, poi Steve Smyth deve sottoporsi a un trapianto sempre d'urgenza di rene, infine Warrel Dane sviene prima di un concerto e viene ricoverato (d'urgenza) in ospedale dove gli diagnosticano il diabete di tipo 2.

Gli ultimi anni riassunti fino ad ora, ma soprattutto quelli immediatamente a venire che ora affronteremo, sono i più difficili per il gruppo. Le asperità sorgono soprattutto da problemi legati all'alcolismo, dalla differente attitudine professionale dei membri del collettivo e soprattutto dai crescenti dissidi interni. Smyth lascia citando impegni personali e divergenze d'interessi; Loomis trova irrispettoso per la sua professionalità chitarristica il modo in cui gli altri lo prendono in giro paragonandolo a Yngwie Malmsteen (celebre virtuoso della chitarra di cui è nota la superbia); Sheppard e Dane per contro lo ritengono egocentrico. Più in generale, ogni volta che sopraggiunge un contrattempo o un problema (in particolare, quando i concerti vanno male o un promoter si arrabbia per qualcosa) i membri del gruppo si scaricano le responsabilità reciprocamente aumentando la tensione. Andy Sneap, nelle interviste, laconico commenta che uno dei motivi per cui i Nevermore non hanno sfondato a livello di popolarità è dato dal fatto che i membri del gruppo sono "i peggiori nemici di sé stessi" e arrivano a litigare spesso furiosamente, soprattutto con Dane e Sheppard che nei tour, con il loro atteggiamento incline ai bagordi, irritano Loomis e Williams, più dediti all'impegno professionale.
Infine, le incomprensioni sulla redistribuzione dei proventi musicali e sulla gestione finanziaria (che passano principalmente per le mani proprio di Dane e Sheppard, lasciando che Loomis e Williams debbano costantemente stargli dietro per chiedere rendiconti e informazioni) spaccano in due il gruppo. L'approccio adottato dai Nevermore per gran parte della loro carriera è stato letteralmente quello del "vediamo come si mette, il tempo aggiusterà le cose"; anche perché, nonostante tutto, fin dall'inizio gli americani sono stati in realtà sempre molto affiatati e uniti da un rapporto di fraterna amicizia, anche nei momenti più duri. I quattro di Seattle così confidano per molto tempo in questo fattore per ogni evenienza futura. Dal 2006 in poi, però, fra di loro inizia a percepirsi una stanchezza palpabile, acuita dai problemi di salute di Dane e Sheppard che si aggravano. Così i quattro cercano di prendere temporaneamente un po' di respiro altrove prima di tornare in studio.

nevermorejeffloomis2007_600Nel 2008 Jeff Loomis e Warrel Dane pubblicano così i loro album solisti. Loomis dà alle stampe Zero Order Phase. Si tratta di un lavoro interamente strumentale, ricco di spunti thrash, prog-metal e hard-rock, straripante di virtuosismi con cui il chitarrista statunitense si lancia ora a briglie sciolte, e in cui il Nevermore-sound è ancora molto palpabile.
I pezzi sono tutti trascinanti, ma più che un album da guitar hero sembra una raccolta di canzoni normali, senza però una parte vocale. In alcune occasioni, infatti, si avverte l'assenza di un cantante. Ma il protagonista è - e nelle intenzioni doveva essere - il solo Loomis. C'è forse un fondo di verità nelle burle che il gruppo faceva sulla sua autostima chitarristica, ma non si tratta di pacchianaggine tronfia, quanto di una forte sicurezza nelle proprie capacità e di una dedizione totale alla chitarra, che trovano definitiva libertà d'espressione in questo lavoro. Dane sminuisce in parte il lavoro solista di Loomis (che invece nelle dichiarazioni mostra rispetto e stima per la pubblicazione dell'amico), il che acuisce la frattura interna al gruppo.

Dane pubblica Praises To The War Machine. Qui al contrario la parte strumentale è semplificata e più orecchiabile (il che non impedisce sfuriate incalzanti di un certo rilievo), mentre l'attenzione è tutta per Dane. Sono presenti anche due cover, non impressionanti: "Lucretia My Reflection" dei Sisters of Mercy e "Patterns" di Simon & Garfunkel. In realtà non si tratta esattamente di un lavoro del tutto solista, perché è stato scritto a quattro mani con Peter Wichers, ex-chitarrista fondatore del gruppo svedese Soilwork, qui nelle vesti anche di produttore. Gran parte dello stile e delle atmosfere, infatti, è dovuta al suo apporto, che cerca di enfatizzare l'immediatezza, gli "estremismi melodici" e riff più orecchiabili e minimali per sintetizzare un ibrido col sound più corposo e oscuro dei Nevermore.
L'esperimento riesce, ma solo in parte: Dane si trova a suo agio in questa veste e fra i due scorre buona intesa, ma non tutti i pezzi sono veramente memorabili e ci scappano un po' troppi filler. Si può considerare però un antipasto promettente in vista di un futuro secondo album in cui i due, maturata una maggiore consapevolezza artistica nelle possibilità date dalla collaborazione tra i propri differenti background, riescano a comporre un lavoro più robusto e a fuoco; l'occasione però non si presenta e col senno di poi non si presenterà mai, per via degli impegni di Dane e il suo maggiore interesse per tornare a incidere con i Nevermore.
Oltretutto, viene annunciata una renuion inaspettata dei Sanctuary con la line-up storica.

This Godless Endeavour sarebbe potuto essere il canto del cigno dei Nevermore, ma nel 2010 viene pubblicato The Obsidian Conspiracy, un lavoro che, nonostante alcuni guizzi azzeccati, si mostra complessivamente sottotono rispetto ai predecessori. Sembra quasi un disco di mestiere, che ribadisce i caratteri essenziali del trademark Nevermore, ma che rinuncia anche ai tratti più complessi e caratteristici del sound degli statunitensi, in favore di una semplificazione generale del loro stile. In realtà il risultato al di sotto delle aspettative non è dovuto a una perdita di ispirazione da parte dei Nevermore. Il motivo è dato da due fattori:
1) dagli attriti interni al gruppo, che per la prima volta non presenzia per intero alla fase di pre-produzione, con contingenti problemi di comunicazione interpersonale sul da farsi in fase di arrangiamento e con registrazioni eseguite separatamente;
2) dalle ingerenze nella fase della produzione, affidata a Peter Wichers, che anzitutto convince Jeff Loomis a rinunciare a diverse composizioni più tecniche e cerebrali che aveva registrato, a favore di un approccio più catchy (Wichers stesso taglia interi riff e assoli riducendo di molto il minutaggio complessivo delle canzoni, cercando di avvicinare lo stile a quello del disco solista di Dane) per poi abbandonare il lavoro prima del termine con conseguente caos organizzativo per cercare di terminare le registrazioni e il missaggio (affidato al solito Andy Sneap).
Gli arrangiamenti e le composizioni ne soffrono e risultano così in generale più prevedibili, i riff suonano più ordinari, gli assoli sono più contenuti e la prestazione vocale di Dane è altalenante (ma a sua scusante c'è il fatto che ormai canta ad alti livelli da oltre vent'anni). Non è comunque un album brutto, la prima parte è in crescendo, e rimane certo un lavoro ben eseguito e ottimamente registrato; più che altro si tratta del disco più debole della loro discografia e quello meno vitale e creativo, un'alternanza di pezzi banali e altri con spunti convincenti che non sarebbe stato male approfondire fossero state differenti le circostanze di partenza.

Di fronte all'episodio più debole della loro carriera, fra dischi solisti e l'annunciata reunion dei Sanctuary, l'anima stessa dei Nevermore è in una fase di stanca palpabile, gli stessi membri ne sono consapevoli e per questo cercano altri sbocchi sui quali concentrarsi. Così nel 2011 Jeff Loomis e Van Williams lasciano il gruppo, mentre da parte di Warrel Dane (che vorrebbe registrare un nuovo album ma non con altri musicisti) viene genericamente messo in sospeso il lavoro a targa "Nevermore".

La concentrazione viene riversata così sul recupero del progetto Sanctuary. The Year The Sun Died viene pubblicato nel 2014 e si rivela un groove-thrash-metal solido e squadrato, ricco di spunti aggressivi senza disdegnare la melodia. Non è un album rivoluzionario ed è più indicato ai fan del genere che a chi cerca rinnovamenti sonori, ma gli ingredienti necessari a confezionare un buon lavoro ci sono tutti.
Viene anche rilasciata Inception, raccolta di demo del 1986 mai pubblicati, tutto sommato trascurabile.

Loomis aveva intanto pubblicato il suo secondo album solista, Plains Of Oblivion. Il lavoro è più denso ed elaborato del suo predecessore. Assieme al produttore Aaron Smith, Loomis riversa una cura maniacale nell'ideare arrangiamenti elaboratissimi, esplosioni virtuosisistiche, sfuriate da metal estremo e ballate acustiche certosine. L'attitudine è massimalista, con pezzi (tipo "Escape Velocity") che partono a tavoletta, coniugando furia e tecnicismi. Compaiono anche alcune parti cantate, a cura di Christine Rhoades (in precedenza ospite sul brano "Dreaming Neon Black") che si esibisce anche in un growling non molto riuscito. È un lavoro ben scritto ed eseguito, ma la sua connotazione stilistica lo relega a una nicchia più per appassionati di queste sonorità.

Nel 2014 Loomis dà vita inoltre al progetto Conquering Dystopia assieme a Keith Merrow con cui pubblica l'album omonimo. È un disco che si ispira al technical-death-metal più ostico, abbondando di strutture intricate, batteria dal pedale a valanga, riff tritaossa e virtuosismi preponderanti, ma nuovamente è un lavoro solo strumentale (niente voce in growling tipica del death-metal) e dà la sensazione che il risultato sia parzialmente incompiuto e un po' freddo.
Loomis si unisce anche al noto gruppo melodic-death-metal a voce femminile Arch Enemy, che in più di un'occasione si era già lasciato ispirare dal suono dei Nevermore anche grazie al contributo di Andy Sneap.

Anche Dane è al lavoro al suo secondo album solista, così come a un nuovo disco dei Sanctuary, con i quali è impegnato in tour estenuanti. Sebbene il suo pensiero corra sempre ai Nevermore, non è intenzionato a incidere nuovi dischi con musicisti differenti. Sfortunatamente, la sua morte avvenuta il 13 dicembre 2017 per infarto lascia incompiuti i lavori in corso con i primi due e annulla ogni speranza di reunion con i terzi.
Con la morte di Warrel Dane si chiude così uno dei capitoli più significativi del metal. Per tutti i gruppi che, a modo loro, hanno raccolto i semi sparsi dai Nevermore (ci sentiamo di nominare soprattutto i Control Denied e i francesi Gojira) rimarrà il ricordo e il riferimento imprescindibile che questo artista, assieme agli altri talentuosi membri del gruppo, ha saputo dare. Non da meno, ricordiamo anche il capitolo rappresentato dai Sanctuary, che ha saputo costituire un angolo di metal incisivo e coinvolgente pur nella sua brevità.
Born we are the same, within the silence, indifference be Thy name
Torn we walk alone, we sleep in silent shades 
The grandeur fades, the meaning never known.
Alcune interviste di riferimento:

Kronic 2000
Metallus 2000
Metallus 2003
Metalitalia 2003
Longliverockandroll 2009

Metalitalia 2011 
Truemetal 2015

Nevermore

Discografia

Nevermore (Century Media, 1995)
In Memory(Ep, Century Media, 1996)
The Politics Of Ecstasy(Century Media,1996)
Dreaming Neon Black(Century Media, 1999)

Dead Heart, In A Dead World(Century Media, 2000)

Enemies Of Reality (Century Media, 2003)

This Godless Endeavour(Century Media, 2006)

The Year Of The Voyager (live + Dvd, Century Media, 2008)
Manifesto Of Nevermore (antologia, Century Media, 2009)
The Obsidian Conspiracy (Century Media, 2010)

Album solisti, progetti paralleli e atti associati:

Sanctuary - Refuge Denied(Epic Records, 1988)
Sanctuary - Into The Mirror Black(Epic Records, 1990)
Sanctuary - The Year The Sun Died(Century Media, 2014)
Sanctuary - Inception(Century Media, 2017)
Conquering Dystopia - [s/t](Century Media, 2014)
Jeff Loomis - Zero Order Phase (Century Media, 2008)
Jeff Loomis - Plains Of Oblivion(Century Media, 2012)
Jeff Loomis - Requiem For The Living(Ep, Century Media, 2013)
Warrel Dane - Praises To The War Machine (Century Media, 2008)
Pietra miliare
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