Pavement

Pavement

Distorsioni in bassa fedeltà

Punta dell'iceberg del movimento "lo-fi", i Pavement hanno saputo fondere distorsioni e melodie. Conquistato un posto di rilievo nella scena "indie" degli anni Novanta, hanno poi indirizzato la propria ricerca verso orizzonti più pop e levigati, consegnando alla storia cinque album fondamentali, specchio reale di una generazione.

di Luca Fusari e Claudio Lancia

Quando si parla dei Pavement non ci sono aneddoti scandalistici particolari da raccontare, non occorre inventarsi scene o tendenze particolari per contestualizzarne l'opera, né dettagli scabrosi o macabri per caratterizzarne la fine. Tutto liscio come l'olio, a quanto pare, nella storia di un gruppo che, pur non avendo mai avuto un'immagine particolarmente forte o trendy, con la propria musica ha saputo decodificare la propria generazione più di ogni altro. Nel suono, nell'attitudine e nella scrittura dei Pavement trova sbocco un decennio di movimenti provenienti dal sottobosco indie-rock e dal mondo dei college americani, che già avevano partorito negli anni 80 fenomeni come Sonic Youth, Pixies, Beat Happening e Sebadoh, ma che all'alba degli anni 90 era ancora in cerca di chi sapesse coagulare i fermenti di certo pop/rock sghembo, rumoristico e "storto", aggiornandoli ad uso e consuno di un pubblico nuovo, sospeso tra la fine dell'onda lunga del post-hardcore, il grunge e l'ignoto. I Pavement non inventarono nulla di nuovo, ma inglobarono la tendenza del "cantautorato pop" nella più vasta tradizione rock americana, infondendole una vitalità che pareva inarrestabile, arrivando a incorporare all'interno di quella stessa tradizione l'impostazione "buona la prima" e i tratti lo-fi delle loro prime opere.

I primi passi dei Pavement avvengono sul finire degli anni Ottanta, grazie a Stephen Malkmus e Scott Kannberg (conosciuto anche come Spiral Stairs), due giovanotti che a Stockton, California, si fanno le ossa fissando su un registratore 4 tracce gli esperimenti da garage band. L'incontro con Gary Young, batterista che presta occasionalmente il proprio contributo alle musiche dei due, muta lo scenario e sancisce l'inizio della storia dei Pavement.
Le prime prove vengono diffuse da una serie di singoli ed Ep autoprodotti o pubblicati dalla giovane etichetta indipendente Drag City; fra questi vanno citati almeno "Slay Tracks", "Demolition Plot" e "Perfect Sound Forever", perennemente in bilico tra pop e rumorismo gratuito a bassa fedeltà, ma specchio di molti degli umori dell'America "alternativa" del biennio 1989-'91. L'antologia Westing (by Musket and Sextant), pubblicata soltanto nel 1993, raccoglierà tutte le prove dei Pavement come duo/trio, e resterà fra le gemme della lo-fi music americana.

Nel frattempo Malkmus si è trasferito a New York e ha come coinquilini due personaggi che rispondono ai nomi di David Berman e Bob Nastanovich, coi quali collabora al progetto Silver Jews, gruppo solo apparentemente "parallelo" ai Pavement, poiché il deus ex machina dell'operazione è Berman, che continuerà negli anni, con e senza Malkmus e soci. Oltre all'esordio dei Jews, Starlite Walker, Malkmus collaborerà anche ad American Water, terzo album della band, ma questa è un'altra storia, che si sviluppa in un periodo nel quale i Pavement sono in qualche maniera "in stand-by".
Tra la fine del 1990 e la metà del 1991, infatti, Malkmus, Kannberg e Young ultimano le registrazioni di un album d'esordio che vedrà la luce soltanto all'inizio del 1992, dando così tempo ai Pavement di stabilizzarsi in una formazione a cinque che comprenderà anche Nastanovich (prima come road manager e poi come percussionista-tastierista-jolly) e Mark Ibold (al basso). Perciò, quando Slanted & Enchanted vede la luce, nella primavera del 1992, il nome dei Pavement è già parecchio conosciuto nel circuito indipendente americano: a spuntarla nella contesa per la pubblicazione dell'album è la Matador - altra label emergente dell'epoca - e già a ridosso dell'uscita, Slanted & Enchanted diventa uno dei dischi più chiacchierati del momento.

Nel suo racogliere gran parte delle influenze dell'indie rock americano più recente (oltre a echi di tardi Velvet Underground e Fall) Slanted & Enchanted finisce per non imitarne nessuna, e trasuda di personalità fin dai primi secondi dell'inno "Summer Babe": tre accordi, sì, ma corredati di un suono e uno stile inauditi e irripetibili, un compromesso tra la bassa fedeltà (scelta economica, non estetica) e il pop più sghembo, che occupa finalmente la centralità della scena dopo anni di sopravvivenza tra le seconde file. Tutto questo con un atteggiamento scanzonato e ironico che poco o nulla ha a che fare con l'immaginario legato al grunge.
Con Slanted & Enchanted, i Pavement riescono a conciliare tensione (schitarrate noise e distorsioni) e melodie azzeccate, ballate strappacore ("Here" o "Our Singer") e filastrocche sceme ("Two States"), pop indimenticabile (tutto il resto dell'album) e improbabili stacchetti strumentali. Senza pose da rockstar, senza menate "generazionali", con una spontaneità e una ingenuità (doti che non tutti i loro epigoni hanno posseduto) spesso alla base di capolavori come questo. "Gemello" di Slanted & Enchanted è l'Ep Watery, Domestic, simile all'album per impatto e suono, e degno di nota in quanto primo lavoro registrato dalla formazione al completo. Ascoltate Slanted & Enchanted tutto d'un fiato assieme all'Ep e vi renderete conto di quanto compatto e unico fosse il suono dei Pavement nel biennio 1991-'93, prima dell'evoluzione che li avrebbe irrimediabilmente cambiati.

A decretare il passaggio definitivo dei cinque dal sottobosco delle grandi speranze indipendenti al più ampio panorama del "nuovo rock" dei primi anni Novanta sarà un album la cui fisionomia è figlia di un cambiamento netto, avvenuto nel corso del 1993. Young, batterista sempre meno affidabile e professionale, lascia il gruppo, che dopo qualche travaglio lo rimpiazza con Steve West, vecchio amico di Nastanovich e già nel giro della band ai tempi dei Jews. West è batterista di buona tecnica e di impostazione più classica, e con il suo ingresso il suono dei Pavement si irrobustisce. Gli standard acustici di Slanted & Enchanted, registrato con un 8 tracce a casa di Young, non possono che migliorare, ed ecco che il suo successore, Crooked Rain, Crooked Rain, presenta al pubblico una band inedita e in forma smagliante.
Malgrado la netta differenza di produzione, l'album rivaleggia senza alcun problema con il predecessore: la formula è sempre quella del cantautorato sghembo dal potenziale pop fortissimo, corredato da chitarrismo sporco e suoni imprevisti, che nella circostanza sono quelli di percussioni o tastiere. Un lavoro più raffinato del precedente, che, corredato da singoli memorabili come "Cut Your Hair" e "Range Life" (oltre che da altri 10 pezzi nessuno dei quali è meno che bello, dalle folli "Unfair" o "Hit the Plane Down" alle splendide melodie di "Stop Breathin'" o "Gold Soundz") diventerà il best-seller del catalogo pavementiano, nonché, con il senno di poi, la vera cifra dell'arte del quintetto.

A questo punto (siamo nel 1994), i ragazzi potrebbero ripetersi e confezionare un album-lasciapassare per l'olimpo delle superstar alternative al quale Nirvana o Soundgarden sono finalmente riusciti ad accedere; invece - in linea con il loro spirito "leggero" e con la loro scarsa attenzione allo show businesss - sfoderano Wowee Zowee. Pubblicato nel 1995, è il disco più lungo, disordinato, imprevedibile ed eterogeneno della storia dei Pavement, in grado di dividere i fan con i suoi 60 minuti sospesi tra pezzi d'atmosfera, pop chitarristico e cazzeggio puro. Abbastanza per farne un buon album, sì, ma "di transizione", il momento più bizzarro del periodo d'oro di Malkmus e compagni. Anche se per alcuni rappresenterà il picco più alto della loro produzione.
Nello spazio dei primi cinque pezzi i Pavement dimostrano di saper interpretare in maniera magistrale tutti i territori tangenti alla loro musica, dalla ballata acustica che non ti aspetti ("We Dance") al singolone-pop "Rattled by the Rush", dai pezzi più classicamente "lenti" come "Black Out" o "Grounded" al frammento scombinato di "Brinx Job", fino all'inno indie "Fight This Generation". Un andamento tra alti e bassi che rende questo lavoro irresistibile proprio perché così tanto eterogeneo.

Il tentativo di produrre un disco di rock più tradizionale (in questo conta molto la presenza di un produttore esterno, lo stesso Mitch Easter già collaboratore degli esordi degli Rem) arriva con la prova successiva, datata 1997 Brighten The Corners, che al momento dell'uscita appare come un mezzo passo falso, ma che col senno di poi brutta figura non fa. Di questo album (il primo in cui la cura dei suoni viene privilegiata rispetto all'eterogeneità delle composizioni), possiamo ricordare, più dei pezzi ormai stabilizzati sul genere della ballata "alla Pavement" come "Type Slowly" o "Starlings Of The Slipstream", altre composizioni in cui, dopo la rinuncia definitiva alle stravaganze a tutti i costi, il gruppo cerca di evidenziare la propria abilità solo attraverso la scrittura.
Ecco quindi in primo piano il singolo "Stereo", la straordinaria ballata "We Are Underused" o i pezzi più movimentati, come "Date W/ Ikea" ed "Embassy Row". Fosse stato un debutto, lo ricorderemmo come un ottimo disco, ma all'ombra dei tre capolavori precedenti è ovvio che la prospettiva si ponga in maniera molto diversa.

Il canto del cigno arriva nel 1999, con Terror Twilight, quinto e ultimo atto della carriera dei Pavement, nonchè – almeno inizialmente - il meno amato dai fan. Non tanto per la qualità media delle canzoni, migliorata rispetto a quella dei due album precedenti, quanto per l’eccessiva pulizia dei suoni, opera del maniacale perfezionismo di Nigel Godrich, un fan del gruppo che cerca di innestare la propria disciplina “Radiohead style” sull’atteggiamento weird-slacker di Stephen Malkmus e compagnia. Grazie al suo contributo il progetto riesce comunque a sbloccarsi, dopo settimane che avanzava fra mille difficoltà generando grande frustrazione all’interno della band. La mano di Godrich è leggermente più pesante di quella del collega Easter, anche solo nel convincere il gruppo a lasciare gli States per recarsi a registrare in Inghilterra.
La proverbiale etica lo-fi dei Pavement andò così a farsi friggere, in favore della levigata serenità instillata in “Major League” e “Ann Don’t Cry”, o dei perfettini slanci indie-pop espressi in “Spit On A Stranger” e “You Are A Light”, in grado di confermare le inconfondibili doti di scrittura di Malkmus. Gli istinti alt-rock restano ben presenti in “Cream Of Gold”, le bizzarrie da parco giochi nella conclusiva “…And Carrot Rope”, mentre le faccende più squisitamente sperimentali rimangono relegate all’imprevedibile approccio zappiano di “Platform Blues” e “Speak, See, Remember”. Venature country si scorgono nel banjo di “Folk Jam” e nell’imprevedibile finale di “Billie”, ma il momento più straripante esonda dalle spire psichedeliche di “The Hexx”, fra i vertici assoluti dell’intera carriera dei Pavement, qui lanciati verso un’inedita dimensione lisergica.

Dopo il disco e la relativa tournée, che amplia a dismisura le frizioni interne, i Pavement se ne vanno in punta di piedi, e senza troppo clamore, da un mondo musicale che ha ormai metabolizzato completamente i tratti della loro musica: pop/rock difficilmente omologabile, originale senza essere rivoluzionaria, bizzarra senza mai sforare nel cattivo gusto o nello scontato immaginario da rockstar. A margine resteranno i tentativi di carriera solista: Spiral Stairs con i suoi Preston School of Industry incide due album privi di verve (All This Sounds Gas del 2001 e Monsoon del 2004) che levano qualsiasi dubbio sulla ragione per cui non fosse lui l'autore principale dei Pavement.
Malkmus, dal canto suo, assieme alla band dei Jicks, continua a proporre la propria personale versione di rock elettrico cantautorale. Dopo un esordio poco brillante (Stephen Malkmus, del 2001), seguito da un episodio appena discreto (Pig Lib, 2003), piazza nel 2005 un discreto colpo con Face the Truth. Seguiranno i discontinui Real Emotional Trash (2008), Mirror Traffic (2011), Wig Out Of Jagbags (2014) e Sparkle Hard (2018). Successivamente, senza il supporto dei Jicks, incide Groove Denied nel 2019 e Traditional Techniques l'anno successivo.

A testimoniare lo status di classico ormai acquisito, in occasione dei vari decennali viene lanciata una campagna di ristampe, in formato deluxe, di quasi tutto il catalogo: Slanted & Enchated nel 2002, Crooked Rain nel 2004, Wowee Zowee nel 2006, Brighten The Corners nel 2008.
Ogni album è corredato di bonus imperdibili (lati B dei singoli, sessioni radiofoniche, spezzoni di concerti, Ep e inediti) e presentato in versione doppio-Cd con foto rarissime e note scritte dai protagonisti.

Sulla scia di questa rinnovata attenzione nei confronti della band, nel 2010 la Matador pubblica la retrospettiva Quarantine The Past. Parallelamente i Pavement si lanciano in un fortunatissimo reunion tour che tocca anche l'Italia. Quarantine The Past raccoglie ventitre episodi di un percorso che, almeno nelle prime fasi, gettò le basi per la concezione del moderno approccio al lo-fi. Non ci sono inediti, ma potrebbe far gola a molti la presenza di "Unseen Power Of The Picket Fence" edita nella compilation del 1993 "No Alternative", oltre a cinque estratti da alcuni dei loro numerosi Ep (in questo caso "Watery, Domestic" del 1992, "Perfect Sound Forever" del 1991 e "Slay Tracks", la loro primissima pubblicazione, risalente al 1989).
Il resto delle scelte sono abbastanza equilibrate, con il baricentro spostato sulla prima produzione del gruppo: cinque tracce estrapolate da "Slanted & Enchanted", altrettante da "Crooked Rain, Crooked Rain", due da "Wowee Zowee", quattro da "Brighten The Corners" e una soltanto da quel "Terror Twilight" che ebbe l'infausto compito di chiudere le danze, lasciando spazio a discontinue carriere soliste, a cominciare dalle altalenanti prestazioni del leader Stephen Malkmus. Inutile star qui a disquisire sulla perfezione alt-pop di "Range Life" e "Gold Soundz", sulla malinconia di "Here" o sull'importanza degli inni generazionali "Trigger Cut" e "Cut Your Hair": con Quarantine The Past ci troviamo al cospetto di un filotto di composizioni superbe, che dimostrano quanto, anche nei momenti più "commerciali", la ricerca musicale sia stata una costante nella carriera dei Pavement. Materiale musicalmente attualissimo, sul quale si sono formate (e continuano a formarsi) intere generazioni di musicisti poco allineati.

Nel 2019 giunge notizia che i Pavement l'anno successivo torneranno assieme per due concerti, che li vedranno impegnati come headliner nell'edizione del ventennale del Primavera Sound Festival di Barcellona e nel corripsondente gemello portoghese. Si accendono quindi nuove speranze nei fan per la sospirata pubblicazione di un nuovo album contenete materiale inedito. Poi la pandemia congela tutto per due anni, e quelle esibizioni slittano al 2022, unite a un vero e proprio nuovo reunion tour e alla pubblicazione dell'unica deluxe edition che mancava all'appello, quella di Terror Twilight, che arriva nei negozi a inizio aprile. Nelle versioni in digitale e in vinile la sequenza è modificata in favore di quella – cervellotica e obiettivamente incomprensibile - pensata da Godrich e rigettata dai musicisti coinvolti. Oltre alle tracce rimasterizzate, trovano posto il breve inedito strumentale “Shagbagh”, le b-side dei singoli, una manciata di demo casalinghi e qualche ruvida registrazione catturata durante le session intermedie tenute presso gli Echo Canyon Studios, quelli di proprietà degli amici Sonic Youth.
Si può così osservare la lenta e faticosa evoluzione delle canzoni e comprendere quanto gli interventi del produttore riuscirono ad indirizzare il lavoro, traghettandolo verso lidi rassicuranti ma intriganti, sopperendo alla sopraggiunta inadeguatezza di parte della band, tecnicamente non in grado di spiccare ulteriori salti in avanti. In fondo alla scaletta prendono posto anche alcune registrazioni live dell’epoca, dalle quali emerge la volontà di suonare quelle canzoni replicando la versione finita sul disco. Nel box, intitolato Terror Twilight: Farewell Horizontal sono raccolte complessivamente 45 tracce, delle quali 28 mai edite prima, riunite in quattro vinili o due Cd, più un book con foto rarissime e commenti scritti da gran parte dei protagonisti. In contemporanea viene anche pubblicata una versione ampliata dell'Ep Spit On A Stranger, per la prima volta distribuito in vinile.


(Questa monograifa costituisce la revisione, il completamento e l'aggiornamento di una precedente versione che, limitatamente alla prima parte, venne pubblicata da MusicbOOm, testata che ne deteneva il copyright. La nuova edizione è stata pubbliicata nel mese di Aprile 2022)

Pavement

Discografia

Slay Tracks 1933-1969 Ep (Treble Kicker Records, 1989)

Demolition Plot J-7 Ep (Drag City, 1990)

Perfect Sound Forever EP (Drag City, 1991)

Slanted And Enchanted (Matador, 1992)

Exact Wording Of Threat Ep (Drag City, 1992)

Watery, Domestic Ep (Matador, 1992)

Westing (By Musket And Sextant) (antologia, Drag City, 1993)


Crooked Rain, Crooked Rain (Matador, 1994)

Gold Soundz Ep (Matador, 1994)

Range Life EP (Big Cat, 1994)

Rattled By La Rush Ep (Matador, 1995)

Wowee Zowee (Matador, 1995)

Pacific Trim Ep (Matador, 1996)

Brighten The Corners (Matador, 1997)

Shady Lane (Mataador, 1997)
Terror Twilight (Matador, 1999)

Spit On A Stranger Ep (Matador, 1999)
Major Leagues Ep (Domino, 1999)
Quarantine The Past (antologia, Matador, 2010)
Pietra miliare
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