Primus

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Rock senza zucchero

La band del funambolico bassista Les Claypool è stata una delle formazioni più originali e aggressive della scena "indie" americana nel decennio Novanta. Con il suo rock sempre istrionico e fuori di testa, e un anatema contro "il pop zuccheroso"

di Claudio Fabretti, Simone Corini

Nel corso degli anni Novanta le più importanti innovazioni nel rock sono avvenute attraverso contaminazioni con altri generi, elettronica e jazz in primo luogo. Sono stati pochi, invece, i gruppi che hanno saputo inventarsi un suono partendo dalla strumentazione base del rock: chitarra, basso, batteria e voce. I Primus si ergono al vertice di questo ristretto gruppo, in forza di un rock-funk aggressivo, veloce e fuori di testa, in cui l'elemento principale non è la voce, né la chitarra, ma il funambolico basso di Les Claypool, uno dei personaggi più carismatici dell'attuale panorama musicale statunitense.

Claypool, assimilando la lezione delle band progressive e hard rock degli anni Settanta in uno stile molto personale, propone un rock vivace e istrionico, in cui le sue enormi doti di bassista sono sempre pronte a stupire l'ascoltatore. Una miscela dirompente, che mette insieme le influenze più disparate (da Frank Zappa a Captain Beefheart, passando per DevoPere Ubu) è valsa alla formazione statunitense l'invidiabile status di intoccabile. Osannata dai critici e apprezzata dal pubblico, la musica dei Primus ha incontrato anche la stima di diversi "colleghi", come dimostrano le collaborazioni, tra gli altri, di Tom Morello (Rage Against The Machine) e Tom Waits.

Claypool aveva già all'attivo un'esperienza con un precedente complesso, i Sausage (riformati poi per un discreto disco nel 1994), quando sul finire degli anni 80, nella sua San Francisco, forma i Primus, insieme al chitarrista Larry Lalonde e al batterista Tim "Herb" Alexander.
L'esordio avviene con un album live intitolato Suck On This, dal suono estroso, pregno di un rock appiccicoso e beffardo, che trova i suoi momenti migliori nelle asprezze metal-funk di "John The Fisherman" e "Harold Of The Rocks", nel blues irriverente di "Groundhog's Day" e nel futuro classico "Tommy The Cat". Il marasma di "Pudding Time" e la jam impazzita della title track racchiudono pregi e difetti di una formula tanto talentuosa quanto ancora acerba e naif.
La loro mistura di generi e stili, che Claypool arriverà a definire "psychedelic polka", si farà più coesa e chiara nei successivi album di studio (nei quali verranno ripresi quasi tutti i pezzi presenti in questo album dal vivo). Il genio in vitro, comunque, si sente e anche l'abilità strumentale dei tre è lampante.

Il successivo Frizzle Fry (1990) contiene buona parte dei brani già inclusi nella scaletta di Suck On This ed esalta ancor più le qualità dei tre musicisti. La chitarra di Larry LaLonde è inarrestabile nel correre dietro i riff acrobatici di Claypool, concedendosi a tratti assoli devastanti, mentre il drumming impetuoso di Tim Alexander spazia da raddoppi a stop & go, da tocchi leggeri a sfuriate incendiarie, con una disinvoltura impressionante. Un'abilità che già straripa nell'iniziale "To Defy The Laws Of Tradition" (con omaggio iniziale ai Rush), tra rullate supersoniche e funambolici virtuosismi di basso. Svetta anche la title track, con i suoi turgidi riff di basso e batteria e i continui cambi di tempo, fino all'esplosione conclusiva.
Il disco accresce la fama della band nel circuito underground a stelle e strisce. Il trio inizia una serie di concerti come supporter di Jane's Addiction e Faith No More, che gli valgono un notevole aumento di popolarità.

E' però con il successivo Sailing The Sea Of Cheese (1991) che la band californiana si impone definitivamente all'attenzione generale, arrivando a vendere 500mila copie, grazie a brani ipnotici, dalla ritmica marcata e incalzante, sottilmente psichedelici e dominati dai riff del basso "slap" di Claypool. Il suono si fa più maturo e rifinito, pur senza smarrire la vena comica e demenziale che l'ha reso celebre.
Spopolano brani come "Here Come The Bastards", dal testo sardonico e dall'incedere travolgente, "Jerry Was A Race Car Driver", in bilico tra jazz-rock e funk, "American Life", con il suo gusto vintage e un bel contrappunto di chitarre. Ciliegina sulla torta, la presenza di Tom Waits, che dona la sua inconfondibile follia canora all'ormai celeberrima "Tommy The Cat", tra riff lancinanti, prepotenti linee di basso e un drumming sempre più imponente. Ma forse il brano più rappresentativo del disco è quella "Fish On" che riassume un decennio di mutazioni progressive, blues e jazz-rock, scattando da un'accelerazione all'altra, in un gioco di continui rimandi e trovate sonore. Chiude le danze, la ripresa strumentale, in chiave spagnoleggiante, di "Here Come The Bastards" ("Los Bastardos").

Giunge così a sorpresa, un anno dopo, un disco di cover come Miscellaneous Debris, con rivisitazioni di brani di Peter Gabriel, Pink Floyd, Xtc, Residents e altri ancora.

Nel 1993, arriva un nuovo successo con l'album Pork Soda, griffato da un maiale tra le bollicine in copertina (!) e trascinato dalla sfibrante jam di "My Name Is Mud". Un disco ancor più complesso e stratificato, che alterna fasi di puro delirio nonsense ("The Ol' Diamondback Sturgeon", "Welcome To This World") a momenti di oscura intensità, come nel bozzetto orrorifico di "Mr. Krinkle", cadenzato sulle corde del contrabbasso, nella crisi di nervi di "DMV", e nel lungo ed eterogeneo strumentale di "Hamburger Train". Claypool detta legge un po' ovunque, gigioneggia col suo canto sguaiato e alticcio, e si esalta oltre ogni limite nel finale funambolico di "Nature Boy".

Due anni dopo, la conferma con Tales From The Punchbowl (1995), all'insegna di un rock d'avanguardia che si mantiene in bilico tra virtuosismi lambiccati e lucidità compositiva. Il titolo si ispira ai leggendari party universitari di Berkley, in cui si sarebbe consumato punch corretto con Lsd. Ed è proprio la componente psichedelica a farsi più accentuata, in una serie di "viaggi" surreali e ipnotici.
L'iniziale “Professor Nuttbutter’s House Of Treats” è una jam di oltre sette minuti, marchiata a fuoco, più che dal basso, da una chitarra insolitamente cupa e pesante. Un clima opprimente pervade anche “Mrs. Blaileen”, storia delle umiliazioni scolastiche di un ragazzino con coda tragica. “Wynona’s Big Brown Beaver” è invece un'altra delle loro tipiche scorribande sgangherate (nel videoclip, i membri del gruppo apparivano vestiti da cowboy di plastica!), stavolta a ritmo di un country-western improbabile. L'anima lisergica del disco riaffiora tra i solchi di “Southbound Pachyderm”, quasi un rituale psichedelico, scandito da un ostinato arpeggio di basso.
E se “Space Farm”, con i suoi grugniti suini, ricade nel puro nonsense, la lenta ”Glass Sandwich” (con Claypool che suona il contrabbasso con un arco) e “De Anza Jig” (con Les alle prese con un basso/banjo) riportano dritti in questo clima bucolico e surreale, da parodia western. A chiudere, le suggestioni indiane di “Over The Electric Grapevine” e la breve “Captain Shiner”, che fa accompagnare da un volo di gabbiani il tema principale di “De Anza Jig”.

Se i titoli dei dischi sono sempre ironici e pungenti, musicalmente, i Primus forniscono variazioni sul tema, favorendo ora la forma canzone ora la sperimentazione, in un ibrido schizoide tra Rush e Frank Zappa. Il gruppo è divenuto nel frattempo una delle principali attrazioni live della scena americana, con le sue performance sempre spettacolari e coinvolgenti, geniali ma mai pedanti.

Brown Album, uscito nel 1997, gode di minor attenzione, segnando un ribasso delle azioni dei Primus. Nell'occasione, il gruppo subisce una piccola rivoluzione, con Alexander che lascia il posto al nuvo batterista Brian "Brain" Mantia. Brani come "The Return Of Sathington Willoughby", vignetta al ritmo pellerossa, scandita dai soliti "slap" del basso, "Shake Hands With Beef", consueta pantomima funk-rock, sono saggi di classe, ma denotano anche un certo ricorso al mestiere. Altrove ("Camelback Cinema", "Bob's Party Time Lounge"), le commistioni con il metal cominciano a mostrare la corda. E non bastano a riscattare la delusione le iniezioni di reggae e ska ("Duchess And The Proverbial Mindspread") o il tentativo di recuperare il chitarrismo cupo di Alexander, seppur affogandolo in salsa funky (la conclusiva "Arnie").

Nel frattempo Les Claypool - già al fianco dei Sausage dal 1988, anche se con un solo album all'attivo, "Riddles Are Abound Tonight" del 1994 - si mostra particolarmente attivo in operazioni collaterali, legate alla sua personale etichetta, la Prawn Song (che prende spunto nel nome dalla storica Swan Song dei Led Zeppelin). Tra i progetti principali che lo vedono protagonista, in un crescendo di prolificità quasi zappiano, quello con gli Oysterhead.

La Interscope sfrutta la pausa facendo uscire Rhinoplasty (1998), un Ep che comprende cover, esecuzioni dal vivo e il remix di "Too Many Puppies".

Nel 1999, comunque, i Primus tornano in pista, tentando di scuotersi con Antipop, album dal titolo più che mai esplicito nella sua avversione a quanto sta accadendo i vertici delle classifiche statunitensi, dominate da vacui idoli teen-pop. Ed è una piccola resurrezione. La tracklist ci presenta un gruppo in piena forma, seducente e intrigante, senza alcun segno di stanchezza. Un vero modello per chi voglia rompere gli schemi di un rock che sembra non avere più la forza di reggere il peso del suo invidiabile passato. "E' un disco più pesante - spiega Claypool - una risposta a quella che è stata la radio degli ultimi anni: una radio zuccherosa, flaccida, noiosa".
L'avvio è subito al fulmicotone: dopo un breve inteludio, infatti, parte un pezzo tiratissimo come "Electric Uncle Sam", impreziosito dalla sfida chitarrista tra l'ospite Tom Morello e il solito, granitico LaLonde. "Natural Joe" è un altro brano teso, in classico stile-Primus, mentre "Laquer Head" strizza perfino l'occhio al nu-metal, con le sue dissonanze uncinanti. Temi metallici che si fanno più vicini al prog in "Eclectic Electric", dal piglio cupo e oppressivo, mentre l'altrettanto inquietante "Dirty Drowning Man" ammicca a certo jazz-rock deviato. Ed è più che mai bislacca e geniale la conclusione, affidata al valzerone delirante di "Coattails Of A Dead Man", con niente di meno che... Tom Waits al mellotron!

E' praticamente l'atto finale della Primus-story. Negli anni successivi, Les Claypool proseguirà la sua frenetica attività parallela attraverso innumerevoli dischi e progetti musicali.

Nel 2003, a tener vivo il ricordo delle eroiche gesta del trio, arriva un altro Ep, Animals Should Not Try To Act Like People, contenente cinque inediti eseguiti dalla formazione originale, più un prezioso Dvd, completo di tutti i video dei Primus.

 

Dopo aver dato vita ai numerosi progetti paralleli, Claypool si toglie lo sfizio di riesumare la forza selvaggia dei primi Primus con Green Naugahyde, perdendo lo storico Herb e riassoldando Jay Lane, uno di primissimi batteristi. Il risultato è un disco furbetto, uno dei suoi punti bassi, che semplicemente prende di peso le intenzioni di Frizzle Fry per peregrinare svogliato tra iloro soliti marchi di fabbrica (funk-metal, vaudeville, sperimentazioni assortite), pur tenendo agganciato l'interplay a basso e voce, ma limitando l'apporto dei comprimari a semplice colonna sonora della sua iperattività di nobile pensionato.

Questa tendenza è confermata anche nell'ennesimo progetto parallelo Duo De Twang, in coppia con l'amico chitarrista Bryan Kehoe, con cui registra la raccolta di vecchi hillbilly dell'infanzia Four Foot Shack (ATO, 2014). Non è un caso dunque che Claypool sprofondi poi nell'amarcord con il rifacimento del musical "Charlie And The Chocolate Factory" (1971) in Primus & The Chocolate Factory With The Fungi Ensemble, primo disco col grande batterista Herb dai tempi di Tales From The Puchbowl. Ne risulta un loffio vaudeville che non ha nulla della passata genialità strumentale, più creativo solo nel colorito allestimento dal vivo.

Il successivo The Desaturating Seven (2017), di nuovo con la formazione degli anni d'oro, è una nuova sonorizzazione (stavolta basata sui "Coboldi degli arcobaleni", 1977, dell'illustratore Ul De Rico) che importa più veracemente l'umore surrealista Residents-iano e cerca quantomeno di restaurare il sound originale, dalle loro tipiche marcette funk-metal ("The Seven") a brani lunghi e narrativi ("The Trek", "The Dream") che incrociano jam acide a registri, come al loro solito, demenzial-grotteschi. Il problema è che il virtuosismo prevedibile e la varietà stilistica in verità piuttosto ingessata dell'operetta (comunque intelligentemente breve) dura lo spazio di un paio di ascolti.

 

Contributi di Stefano Conti e Michele Saran ("Green Naugahyde")

Primus

Discografia

Suck On This (live,Caroline, 1989)

Frizzle Fry (Caroline, 1990)

Sailing The See Of Cheese (Interscope, 1991)

Miscellaneeous Debris (mini-cd,Interscope, 1992)

Pork Soda (Interscope, 1993)

Tales From The Punchbowl (Interscope, 1995)

Brown Album (Interscope, 1997)

Rhinoplasty (Ep, Interscope, 1998)
Antipop (Interscope, 1999)

Animals Should Not Try To Act Like People (Ep, Interscope, 2003)
Green Naugahyde (Prawn Song, 2011)
Primus & The Chocolate Factory With The Fungi Ensamble (ATO, 2014)
The Desaturating Seven (ATO, 2017)
Pietra miliare
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