Xiu Xiu

Xiu Xiu

In tutto c’è stata bellezza

Tra i precursori del revival new wave, i californiani Xiu Xiu hanno forgiato uno stile inconfondibile, dove le percussioni metalliche e l'uso ossessivo dell'elettronica forniscono lo scenario ideale alla paranoica rappresentazione di Jamie Stewart

di Paolo Sforza + AA. VV.

Nella maggior parte dei casi la musica degli Xiu Xiu limita, si fa per dire, il proprio spazio espressivo a quello psichico. Non c'è apertura all'esterno, inteso come immaginario di luoghi comuni o individuali. La loro è una macedonia di noise, elettronica, folk, new wave che vive quindi una vita autonoma.
L'armamentario di Jamie Stewart e compagni comprende svariate tastiere, chitarre e basso (più rari), ma anche una congerie di sonagli e strumenti, che trovano ogni volta l’occasione di sembrare in contrasto tra loro, in un trionfo espressionista dove l'incontro tra i suoni risulta spesso simile a un dialogo tra sordi; tutto questo deve fornire lo scenario ideale all'affannata e paranoica rappresentazione di Stewart, mattatore assoluto, eppur capace di un dono della misura e del silenzio che evita l'eccesso di sovraesposizione in cui può incorrere una voce come la sua.
Fa male, l’ascolto dei dischi di Xiu Xiu. E’ quella sorta di transfert psicologico per il quale i tormenti, le sofferenze, le disperazioni dell’artista vengono traslate sull’ascoltatore, su un’esperienza di fruizione che diviene totalizzante, quasi insostenibile nel suo essere attivamente coinvolta nello svolgimento della performance artistica.

Do you know the way to San José?


Tutto nasce (inaspettatamente) nella solare San José, California (anche se non mancheranno tappe successive a Washington e soprattutto Seattle).
Dopo aver già militato insieme in band come IBOPA e Ten In The Swear Jar, Jamie Stewart (cantante) e Cory McCulloch (bassista) radunano alcuni amici, tra cui Lauren Andrews e Yvonne Chen (tastiere), per formare un nuovo gruppo.
La creatura nasce nel 2000 con l'enigmatico moniker Xiu Xiu (pronuncia: shoo-shoo), ispirato dal film cinese "Xiu Xiu: The Sent Down Girl" del 1998, diretto da Joan Chen. James Stewart, vocalist dal fascino ambiguo e disperato, ne è il perno centrale e ne resterà l'unico membro fisso.
Ensemble perennemente "in fieri", gli Xiu Xiu avvieranno un inesauribile turn-over, che coinvolgerà anche membri di Deerhoof, Mr. Bungle, The Dead Science. Fino alla formazione attuale, che vede Stewart affiancato dalla cugina Caralee McElroy e dal musicista sperimentale Ches Smith.

Ottenuto un contratto con la "mitica" indie-label 5 Rue Christine, gli Xiu Xiu si accingono al debutto sulla lunga distanza. Ed è subito shock.
Gli undici episodi contenuti in Knife Play (2002) lasciano trasparire chiaramente i "nobili" riferimenti del quartetto di San José: il loro è un inimmaginabile crossover tra gli inquietanti synth dei Suicide e dei New Order, con un cantante figlio delle più cupe ossessioni di Mark Hollis e Ian Curtis, dove al posto delle chitarre (presenza quasi impalpabile) si fanno spazio sintetizzatori, fiati, harmonium, mandolino ecc... Non si può parlare, tuttavia, di copia carbone dei suddetti nomi, ma soltanto della completa devozione dell'attitudine di tali gruppi.
Le canzoni, partendo da una base perennemente oscura e tesa grazie ai glaciali giochi di synth, si armonizzano alla perfezione col cantato di Jamie Stewart che si cala magnificamente nella parte di dissociato, con momenti che vanno dalla calma (apparente) di "Homonculus" sino a sfociare in agghiaccianti crolli nervosi degni dei Suicide (le urla di "I Broke Up" sembrano provenire direttamente da "Frankie Teardrop"), echi di quello che potevano essere i New Order con Ian Curtis alla voce ("Poe Poe") e dei Talk Talk virati electro ("Suha"), mentre l'iniziale "Don Biasco" è quasi il manifesto del loro electro-noise sghembo e paranoico.
Anche per gli Xiu Xiu si può guardare dunque alla new wave, immenso solaio da dove i gruppi più disparati continuano a rimestare senza sosta, per le percussioni metalliche e dissonanti, l'elettronica ossessiva che tocca sonorità industriali e cacofoniche, per la voce di Jamie Stewart, sempre nevrotica e disperata. Se qualcuno l'ha paragonata a quella di Mark Hollis per la sua capacità di esprimere dolore e per i chiaroscuri del suo timbro, le differenze tra i due non sono di poco conto e non riguardano solo il contorno musicale. Se entrambi vivono il dolore, Hollis riesce a sublimarlo con la spiritualità e l'elevazione verso qualcosa che, se non purifica, perlomeno dona una qualche salvezza; Stewart, invece, canta il dolore di chi è chiuso nella desolazione e nella speranza mal esaudita. Hollis vede la luce in alto davanti a sé, Stewart ne vede tante accendersi e spengersi senza dargli tregua lasciandolo solo con le paranoie e con il sarcasmo come mezzo per la sopravvivenza.

Le cinque canzoni dell'Ep Chapel Of The Chimes (Absolutely Kosher, 2002) rinnovano il loro approccio claustrofobico e paranoico. Oltre alla cover straziata di "Ceremony" dei New Order, Stewart alterna ballate in deliquio ("I Am The Center Of Your World", per piano e percussioni) a spasmi rabbiosi (l'epilessi teatrale di "Jennifer Lopez"), mentre "Ten-Thousand-Times-A-Minute" e "King Eart, King Heart" si adagiano su atmosfere più sfumate ed evanescenti, ma non meno angosciate, tra sibili elettronici, droni di synth e clangori in lontanza.

Il 2002, anno pieno di soddisfazioni artistiche, si conclude però tragicamente per Jamie: il padre, Michael Stewart, già cantante dei We Five (un gruppo folk-rock dei 60) si suicida, gettandolo nel più profondo sconforto.
L'attività degli Xiu Xiu, tuttavia, non si ferma e si rivela anzi sempre più prolifica.

Xiu XiuSenza McCulloch, che abbandona momentaneamente il progetto, la band si assesta in terzetto, con Stewart sempre più protagonista, autentico nucleo che catalizza l'attenzione dell'ascoltatore. Un ruolo riproposto in maniera accentuata sul nuovo album A Promise (2003).
Il primo brano "Sad Pony Guerrilla Girl", però, ci regala uno Stewart inedito, che si fa accompagnare dalla chitarra per una memorabile ballata solo verso la fine squarciata dalla lame dei synth. L'isteria generata dallo stridore delle tastiere e dalle percussioni, che ora battono in maniera ossessiva stile industrial, ci offre una varietà di bizzarrie che ricorda la ritmica dei This Heat e si offre come scenario per il declamato teatrale di Stewart.
"Sad Redux-O-Grapher" e "Brooklyn Dodgers" aggiungono, anche grazie agli archi, uno spazio più ampio alle rappresentazioni consuete del gruppo, quasi a voler cercare un'apertura al mondo esterno. Non si tratta però di una pretesa di universalità, le angosce rimangono ripiegate su se stesse, e gli ultimi brani ne sono la dimostrazione: la cover di "Fast Car" di Tracy Chapman, ridotta all'osso con la voce bisbigliante, e il pezzo di chiusura "Ian Curtis Wishlist", un omaggio al leader dei Joy Division, ma anche una dichiarazione di intenti: Stewart non vuol scendere a patti con se stesso, ma ha probabilmente la fortuna di vivere in un'epoca abbastanza disincantata da evitargli la ricerca della fine assoluta.

In tour per promuovere il disco, gli Xiu Xiu vengono derubati di attrezzatura elettronica e computer. Così Stewart decide di tornare in studio per registrare un mini-cd, prevalentemente acustico, dall'esplicito titolo di F... Patrol, distribuito in sole mille copie.
Scarno e lacerante, il disco propone solo due tracce inedite: l'iniziale "Helsabot", numero folk per chitarra acustica e voce insinuante, e la conclusiva "Nieces Pieces", nenia sinistra declamata su uno strato sottile di archi. Il resto della tracklist contiene rielaborazioni di pezzi già editi: "Dr Troll" e "I Broke Up" da Knife Play, "King Earth", King Earth" e "Jennifer Lopez" da Chapel Of The Chimes, "20,000 Deaths For Eidelyn Gonzales 20,000 Deaths for Jamie Peterson", "Brooklyn Dodgers" e la cover di "Asleep" degli Smiths da A Promise.

Muscoli e fantasmi

Al loro terzo album ufficiale in tre anni, con Fabulous Muscles (2004) gli Xiu Xiu quadrano il cerchio. Dopo un esordio clamoroso, un secondo Lp affascinante ma forse troppo solipsistico, un paio di Ep che facevano prefigurare nuove e interessanti direzioni, ecco finalmente il disco che può mettere d'accordo tutti.
La gamma sonora ed espressiva è più ampia che in passato. E se non possiamo parlare di fiducia, perlomeno non siamo nel solipsismo assoluto del precedente album.
L'impatto iniziale è dirompente: "Crank Heart", cibernetico ed eccentrico, con il suo ritmo sghembo, i synth acidi e un ritornello sparato ad alta velocità, ricorda l'incipit di "Don Biasco". Jamie Stewart si erge protagonista prepotente, con voce tirata e nervosa, in "I Luv The Valley OH", un distillato di new wave.
Si alternano senza un apparente filo logico scheletriche ballate (la title track, ad esempio, delicata e toccante) e synth-pop allucinati e ipercinetici come "Brian The Vampire", con i suoni spinti al limite del parossismo. I toni dei brani sono decisi dal leader, uno Jamie Stewart gigantesco quanto fragile: attoniti di fronte dalla catalessi di "Little Panda McEllroy", ci ritroviamo poi nel paesaggio desolato di "Support Our Troops", in cui i suoni alieni, stridenti, procedono stancamente, dialogando tra loro con dinamiche stanche, facendo da preludio alla catastrofe sonora finale.
"Clowne Towne", fondamentalmente una ballata amara, possiede un'apertura melodica che lascia intravedere uno spiraglio di luce; colori che si spengono però nella conclusiva "Mike", una possibile colonna sonora moribonda per un uomo finito, dove ogni colpo di chitarra è una frustata sanguinosa, e le percussioni fuori sincrono, le tastiere tragiche e ossessive, danno l'impietosa quanto obbligatoria spinta a una camminata senza speranza. È forse la loro idea di requiem, la loro "Decades", che ci ricorda come possiamo almeno provare a colmare con la bellezza il baratro della disperazione.

Nel 2005 esce per l'etichetta italiana Xeng un di canzoni registrate dal vivo nel corso della seconda parte del 2003, Life And Live. I brani vedono Stewart accompagnarsi da solo con la chitarra o insieme alla garbata presenza del resto della band che all'epoca si esibiva come trio; oltre allo stesso Stewart troviamo infatti Devin Hoff e la fedele Cory McCulloch (anche produttrice dell'album), ma è da segnalare che nei ringraziamenti compare anche il nome di Devendra Banhart.
I 15 brani, due proposti in doppia veste, mostrano il lato più cantautorale della band, e la voce di Jamie Stewart è un colpo al cuore continuo. "20,000 Deaths For Eidelyn Gonzales, 20,000 Deaths For Jamie Peterson" apre il disco, ma una seconda versione, ancora più tremolante e nevrotica, è proposta al centro dell'opera. Le vette di intensità si possono individuare in una versione fantastica di "Sad Pony Guerrilla", dove ci si trova a inseguire uno Stewart prossimo al collasso emotivo, la trascinata e ubriaca "Nieces Pieces", l'inedita "Clover", una drammatica e graffiante ballata. Per il resto il materiale è tratto da brani contenuti nei primi due album della band, o nell'Ep Fag Patrol di cui Life And Live si può considerare l'ampliamento.
Il travaglio interiore di Jamie Stewart è qui espresso nella sua forma musicalmente più spigolosa e ossuta, e per questo forse più efficace e autentica, e dunque quest'album diventa in tal senso un compendio indispensabile, una fotografia nitida di una tormentata personalità, apparentemente arricciata su se stessa, ma capace di diventare un totem i cui occhi sembrano fissare quelli dell'ascoltatore in maniera ineludibile.

E i fantasmi che assediano la mente di Jamie Stewart non sono stati ancora esorcizzati, se è vero che il successivo disco, quarto capitolo sulla lunga distanza, è una nuova discesa agli inferi.
La Foret (2005) è liposuzione dei tessuti connettivi del blues e ripresentazione in una mimesi estremamente stilizzata, involuta, l’unica possibile in questi 2000 dominati dall’estetica digitale, da innocue forme affusolate che nascondono le sostanze, da modelli culturali che istupidiscono.
Stewart ci riporta ancora una volta alla primigenie del gesto artistico, alla assoluta sincerità del suo essere medium di un sentire intimo. Ciò, pur utilizzando delle forme che evidenziano l’indissolubile legame con i tempi di cui egli è figlio.
E allora via con i synth, l’elettronica, le chitarre che recuperano un briciolo di umanità nel presente disumanizzato, con suoni che scorrono veloci e nevrotici, con pause e lenti a richiamare la volontà di fermarsi e riflettere. Stewart urla e si dimena incompreso ("Muppet Face"), riferisce istinti di morte e desolazione ("Pox"), rende la sua personale interpretazione dell’estetica del rumore ("Saturn").
Via verso la seconda parte, più riflessiva, quasi introversa, con la filastrocca "Baby Captain" a fungere da spartiacque, con "Rose Of Sharon", messa cantata da un predicatore invasato, con le sincopi industriali di "Yellow Raspberry" a chiudere l’ennesimo atto di dolore.

Ciautistico! (Important, 2005), accreditato ai XXL, è una collaborazione con i Larsen, duo torinese, autore di una miriade di album a cavallo fra drone-music e avant-rock. Un incontro a un concerto di Jarboe, seguito da assidue frequentazioni e scambi di idee getta le basi per un classico band-meet-band.
L'album (il cui titolo nasce da un gioco di parole tra "ciao" e "autistico") riesce a mescolare bene le diverse attitudini dei musicisti coinvolti, con Stewart che si ritaglia praticamente solo il ruolo di interprete, riuscendo a piazzare alcuni numeri di teatro dell'assurdo - la drammatica "(Pokey in Your) Gnocchi", la più distesa "Paw Paw Paw Paw Paw Paw Paw" - e gettando una luce spettrale sulla vecchia "Prince Charming" di Adam & The Ants.
I Larsen, invece, eccellono soprattutto negli strumentali ("Distorted Duck", "Sunday"), in bilico tra ambient-music ed estasi celesti alla Talk Talk.
Altri episodi, tuttavia, appaiono esperimenti velleitari (“Lipstick Fair”) o poco più che divertissement  ("Minnie Mouseistic”, con il suo italiano maccheronico).
Nel complesso, comunque, un ibrido riuscito, che infatti avrà anche un seguito.

Un rinnovamento incerto

Xiu XiuMentre si diffondono strane voci su una presunta "svolta pop" degli Xiu Xiu, giunge The Air Forces (2006) a dissipare ogni dubbio: il marchio della band californiana è riconoscibile come sempre. Non si tratta, tuttavia, di un disco banale o del tutto scontato: qualche direzione nuova, rispetto soprattutto agli ultimi lavori, è stata cercata. Non in una pulizia formale, e nemmeno in una produzione più accattivante, quanto in una maggiore attenzione alla melodia e al ritmo, e anche se permangono le solite scazzottate tra suoni metallici e stridenti che sembrano spuntare come pistoni a tempi più o meno regolari. Il contesto generale è però leggermente più rilassato rispetto al passato, così non stona un brano come "Hello From Eau Claire", semplice e graziosa filastrocca affidata alla voce della fedele compagna di avventure Cory McCulloch.
A dare man forte a Stewart sono ora la cugina Caralee McElroy e il percussionista sperimentale Ches Smith. La voce del cantante di San José resta tuttavia il perno centrale: riesce a esprimere sempre un miracoloso equilibrio tra sofferenza, dignità, desolazione e fragilità, che si esprime già in apertura con la scheletrica "Buzz Saw", si conferma anche in brani più veloci e serrati come "Vulture Piano", e dà il suo meglio nella bellissima e delicata "P. F. In The Streets Of London", una delle più belle ballate mai suonate dal gruppo, così come in "Watermelon Vs. Pineapple", che è addirittura una potenziale ballata "indie".
Non mancano brani dal tocco wave, caotici e intensi, come "Boy Soprano" e "Save Me", che denotano il tono complessivamente più vivace dell'album; le parentesi criptiche le troviamo in un intermezzo strumentale come "Bishop, CA", e nel conclusivo paesaggio sub-urbano desolato e malinconico "Wig Master".
La conferma, ennesima, di uno stile unico in questi anni un po' avari di novità.

Il 2006 vede anche l'uscita di un Ep di cover (Tu Mi Piaci) e di un picture disc in 7 pollici con le foto di David Horvitz.

Nel frattempo, Stewart continua a battere anche altre strade. Come quella degli Xxl, lo strano binomio Xiu Xiu-Larsen che, a due anni da Ciautistico!, torna nel 2007 con Spicchiology?. Trentanove minuti per cavalcare le onde di melodie ariose, ampie e solari. Le lunghe divagazioni spettrali, marchio di fabbrica dei Larsen, vengono qui lasciate da parte, se si eccettua la penultima traccia "...Nothing About Dwarves?", per dedicarsi a un pop tanto raffinato quanto celebrale.
Un flusso continuo e omogeneo di suoni diversi cesella onde lunghe, che stentano a riversarsi sul bagnasciuga e impetuose creste che si alzano d’improvviso e ricadono su se stesse. Ecco allora le ripide anse electro-tribal-tzigane di "King Of Koalas", che termina in un vorticoso fluire di tastiere e respiri affannosi, o le funeree atmosfere industrial di "The Green Count Tapes" che paiono essere calate dall’alto dai Throbbing Gristle.
A riportare un'atmosfera bucolica provvedono "Last In The Society", variopinto acquerello in bilico tra Parenthetical Girls e Notwist, o quell'emblematico manifesto elettro-pop che risponde al nome di "Little Mouse Of the Favelas". E se i canoni dei Mouse On Mars più liquidi e pop vengono ripresi in "Daydrinking", i dieci minuti di "The Tale Of Brother Cakes and Sugar Dust" fendono l’atmosfera, fra rimandi gotici e riverberi wave, e chiudono idealmente l’album con un finale da antologia, in costante e perenne bilico fra noise e dream-pop.

Il doppio Remixed & Covered (2007) è una sorta di lunga celebrazione (80 minuti) degli Xiu Xiu, con 18 brani, ripresi, rielaborati oppure stravolti al mix da amici ed estimatori. Svettano soprattutto la "Support Our Troops" di Devendra Banhart e la scheletrica "Clowne Town" di Marissa Nadler, ma alla fine il vero gioiello è una cover degli Xiu Xiu (la neworderiana "Ceremony"). Un disco per fan, comunque, che nulla aggiunge al repertorio della band.

Se The Air Force era stato un disco degli Xiu Xiu solo a metà - riconoscibilissimo come sempre, ma senza quella spinta evolutiva che rendeva tutti gli altri album unici - Women As Lovers (2008) segna il ritorno di quel bisogno di andare oltre, emotivamente e compositivamente.
Ripiegato, contro, disturbante; ma al tempo stesso pregno di un'aura quasi soul, a partire dalla melodia del singolo "I Do What I Want, When I Want", solare, non fosse canticchiata sottovoce, in imbarazzo e fuori tempo. La nuova direzione esplode in "You Are Pregnant, You Are Dead", dalle parti dell'r&b bianco, su ritmi percussivi tesi; nella cover di "Under Pressure", suono pulitissimo rispetto agli standard e invasione di fiati addirittura sbarazzini (certo, anche stonati); nel folk aperto di "F.T.W.", con il finale in territorio Books.
Non mancano numeri più abituali, come il dark-folk di "Black Keyboards" o gli inviperiti rock-wave "In Lust You Can Hear The Axe Fall" e "White Nerd"; ma la testa di Stewart è altrove. L'ottima "No Friend Oh!" è una pop-song bastarda: chitarre tese, fiati, campanelli e disturbi elettronici; gli inquietanti fischiettii di "Child At Arms" spianano strade ancora differenti.
Ma i nuovi sviluppi, salvo qualche eccezione, suonano ancora senza padronanza; i vecchi paiono essere spesso soltanto dovuti. Con ciò non si vuole bollare negativamente l'ormai sesto Xiu Xiu, specie quando è capace di regalare chiose coinvolgenti come "Gayle Lynn", resta, però, la convinzione di trovarsi dinanzi al disco meno a fuoco della band. Un mezzo passo falso, insomma, che getta qualche ombra sulle prospettive di un progetto che, nel bene e nel male, ha caratterizzato quasi un decennio di indie-rock.

Nel 2010 arriva Dear God, I Hate Myself, ottava fatica della creatura Xiu Xiu, che nel frattempo ha perso Caralee McElroy (ora di stanza nei Cold Cave). La scrittura di Stewart si mostra molto più articolata, più evoluta e tesa verso la forma-canzone dura e pura.
Il disco si apre con il pantano marcio di "Gray Death", fra una chitarra acustica elevata all'ennesima potenza e folate elettroniche caustiche e improvvise. Segue il bellissimo singolo "Chocolate Makes You Happy", trascinato da una sezione ritmica secchissima, xilofono e gentili screzi in salsa vagamente shoegaze. Passando per scheletri minimal synth ("House Sparrow"), spasmi elettronici sparati a occhi bendati ("Secret Motel") e gioiose dediche ("The Fabrizio Palumbo Retailation", brano dedicato a uno dei membri dei Larsen, nonché loro promoter per l'Italia e metà del progetto XXL) si ha l'impressione che si tratti del solito disco a nome Xiu Xiu, un anemico art-pop con meno art- e molto più pop. Eppure basta distrarsi un attimo per incontrare una vera e propria perla nera: "Hyunhye's Theme", stridente ballata dal sapore deformemente gitano, con archi mutanti a incorniciare la chitarra acustica. E come non citare anche la title track, sospesa tra la melodia del cantato di Stewart (mai così dolce) e le schifose bordate noise.
In più punti appare evidente che Stewart, grazie a una maggiore cura dei particolari e un preciso dosaggio delle emozioni, abbia passato un confine, quello che divide arte e popolare, partorendo un disco riuscito, divertente e maturo.

Non aspettatevi quindi capolavori rivoluzionari o estremismi dalle future uscite Xiu Xiu ma solo un onestissimo artigianato pop-rock.

Always, il primo album per Bella Union, è difatti un proseguimento nella calata di Stewart in un sofisticato ma reazionario revival. Le sue sceneggiate espressioniste sono ormai ridotte a cadenze ballabili con suoni marcati e vari abbellimenti ("Born To Suffer"), e il suo ego istintivo svariona da memorie del passato a crisi di personalità, persino a vanaglorie modaiole. Gli apporti di Carla Bozulich, che pure duetta col leader in un brano, non potrebbero essere meno influenti.

Nel febbraio del 2014 esce Angel Guts: Red Classroom, il nono album in studio, ispirato a un film porno giapponese del 1979, La differenza più evidente rispetto a Always è in gran parte estetica: Angel Guts dispone praticamente solo di synth analogici e drum machine, risuona più fragile e scarno, anche perché lo strumento chitarra è praticamente assente. Ma è proprio questo particolare approccio che rende l'album molto più abrasivo e tagliente del precedente, scacciando una volta per tutte i dubbi di una presunta virata verso la popular music da parte della band americana.
Fin dall'incipit del disco siamo trascinati a fondo in questa che è l'ennesima odissea senza fine. Un vento gelido ci spinge in un inferno di lacrime e metallo, fatto questa volta di canzoni concrete, calibrate, dirette e che non vanno quasi mai oltre i quattro minuti, in cui Stewart sputa fuori tutto il suo dolore senza troppi giri di parole. L'electro-pop arioso e geometrico di stampo depechemodiano di “Archie's Fades” e i beat pulsanti e infiniti di “Stupid In The Dark” riescono a essere coerenti e completamente a fuoco, senza per questo smarrire del tutto quelle che sono le caratteristiche distintive del sound Xiu Xiu, sempre a metà fra i Suicide e gli Einstürzende Neubauten. La voce del menestrello della morte avanza strisciante in mezzo ai synth con grande naturalezza, bilanciando come sempre la desolazione e la tristezza (come nella spoglia “New Life Immigration”) e i terrificanti deliri nevrotici a un passo dalla pazzia: in questo senso le campane di “El Naco” sembrano l'introduzione di un funerale in cui uno Stewart straziante e straziato ci urla in faccia ciò che probabilmente non vorremmo mai sentirci dire.
L'ascolto prosegue passando dalla giungla malata di “Adult Friends” agli echi industrial di “The Silver Platter” e “A Knife In The Sun”, arrivando all'horror puro di “Cinthya's Unisex” e terminando la propria corsa nella redenzione totalizzante di “Botanica De Los Angeles”.

Quello che è venuto dopo Angel Guts è stato un esempio perfetto dell'imprevedibilità della band: fra le altre cose, una raccolta di spirituals e field recordings come "Unclouded Sky", pubblicata in occasione del Record Store Day del 2014, la musicassetta di "Respectful & Clean", una lunga escursione nei field recordings come "Tired Of Your World... Peru" (2015), un album suonato unicamente da vibratori come "Kling Klang" (2015) e infine una rilettura parziale della colonna sonora che Angelo Badalamenti scrisse per "I segreti di Twin Peaks", il serial televisivo cult del 1990-1991, dal titolo Plays The Music Of Twin Peaks.
Le musiche di "Twin Peaks" trovavano nella loro fusione di inquietudine e bellezza una dimensione surreale, un'ambiguità unica che ben si sposa con l'arte visionaria di David Lynch. Quello che negli originali era suggerito, qua viene rivelato. La tavolozza dei colori è più intensa, l'eleganza lascia spazio alla violenza o alla desolazione. Gli aspetti più romantici degli originali sono accantonati in favore di una maggiore propensione al lugubre, all'assordante e al tetro. La componente smooth scompare in favore di tappeti dark-ambient e assalti noise. La band esalta gli aspetti più inquietanti di quelle musiche senza farne scomparire del tutto l'ambiguità.
L'iniziale e sognante "Laura Palmer's Theme" è così una versione più tesa ma non meno struggente della sua versione classica. Il sussurro di "Into The Night" è avvolto da miasmi noise, mentre la voce malinconica è qui ectoplasmatica e inquieta. Lo smooth-jazz della "Audrey's Theme" è sospinta da arpeggiatori galattici mentre la tensione della "Packards' Vibration" diventa il pretesto per una deflagrazione cacofonica. "Sycamore Tree" slitta dal desolante dell'originale allo straziante di questa nuova incarnazione. L'ultraterreno "Harold's Theme" diventa un magico, toccante, disperato pianto per pianoforte e scorie rumorose. "Dance Of The Dream Man" dal soffuso jazz di tensione che era scopre una nuova identità, caratterizzta da una coda assordante in pieno noise-rock. "Falling", la versione cantata del famoso tema d'apertura, è il piccolo gioiello dell'album: una ballata distorta che coniuga la vibrante emotività degli Arcade Fire con la maestosità sinfonica di un rumorismo avvolgente.
Suona più scontato il blues-rock spaccatimpani di "Blue Frank/Pink Moon" mentre sfociano nel prolisso i momenti dark-ambient di "Nightsea Wind" e "Love Them Farewell", che conservano la lentezza che fu di Badalamenti in un contesto sonoro decisamente più ostico. In chiusura, “Josie’s Past” riporta un dialogo inquietante di quasi 8 minuti, che riporta alla mente le angoscianti confessioni dei Suicide e mette a dura prova l'ascoltatore.
Operazione coraggiosa, quella degli Xiu Xiu, che permette di immaginare nuovamente dei classici e osservare con prospettive nuove musiche che già conosciamo e amiamo, suonando al contempo come un tributo all'immaginario indimenticabile che David Lynch ha saputo creare.

Dopo aver collaborato con Lawrence English ancora per parte di Lynch al progetto HEXA, Jamie Stewart e i suoi Xiu Xiu (sempre le fidi Angela Seo e Shayna Dunkelman al suo fianco) tornano in cammino con Forget (2017). Siamo di nuovo e più che mai al parossismo del pop elettronico. Tocca al canto di un leader - che vampirizza in lungo e in largo e non dà spinta all'ascolto - ridestare i pastrocchi melodici dell'album, rimembrando le radici new wave (“Jenny GoGo”, “Forget”). Numeri appena musicali sono solo “Hay Choco Bananas”, realmente spettrale, e la lenta salsa di “Get Up”, una delle sue lamentazioni esistenziali. Spalleggiato da un reggimento di talenti vecchi e nuovi, è un infelice amalgama di moda e psicologia che fallisce a più livelli, anche per via della mediocre produzione di John Cogleton: le sperimentazioni degli esordi si sono appassite a peccatucci di stravaganza.

Attraversando immaginifici scenari sonori popolati da piccoli topi nelle favelas e Krampus (giusto per fare qualche esempio), gli XXL manifestano a ogni uscita una inesauribile voglia di spingersi sempre oltre. Una creatività ribadita all'ennesima potenza con la nuova creatura: Puff O'Gigio, essere mitologico fusione tra Topo Gigio e i Puffi. XXL: ovvero l'unione tra Xiu Xiu e Larsen. Il mai quieto Jamie Stewart insieme all'eccellenza nostrana che tra un disco e l'altro non perde occasione di collaborare con gente del calibro di Jarboe, Nurse with Wound  e Michael Gira, produttore del bellissimo "Rever" del 2002. I quaranta minuti del disco sono il risultato di una sola settimana di jam agli O.F.F. Studio di Torino datata 2016. Il titolo dell'opera al primo impatto evoca cartoon e infanzia: una suggestione legittima vista la sonorizzazione "Cartonianimalettimatti" firmata dai Larsen, ma nell'universo visivo-armonico XXL c'è molta più complessità e fusione di opposti impensabili.
“Ghost Maid” è un inizio trascinante: tastiere, chitarra e batteria fusi alla perfezione, a cui si aggiunge Fabrizio Modonese Palumbo intento a raccontare le gesta della spettrale entità casalinga. Con spazi ambient/drone limitati rispetto ai predecessori e passaggi più ritmati come "Lemoning", questa galassia post-rock fantascientifica e fanciullesca ci invita gentilmente ad atterrare sulle note di “Welcome To My Planet”, avvolti dalla successiva torva nube di sussurri, rumori e cantilene.
Un pulsare di batteria anticipa un'interferenza proveniente da "Carissimo", versione aliena di "Kid A" dei Radiohead: per quanto frutto di un breve incontro, ascolto dopo ascolto (magari in cuffia), vengono fuori tutti gli strati musicali dei brani e i tanti protagonisti di "Puff O'Gigio". Dalla grande artista italiana Carol Rama, per uno dei momenti più ipnotici, ai Polar Bear e annessi boogie oscuri, fino al gran finale di “Queen Of Koala”, speculare femminile del Re dei Koala di “Spicchiology?”: un crescente vortice di suoni, pulsazioni, assoli e distorsioni, con cui gli XXL si confermano una delle più riuscite e avvincenti collaborazioni dell'attuale panorama musicale.

Ignora il dolore

Girl With Basket Of Fruit è il nuovo capitolo della saga Xiu Xiu e arriva nel febbraio del 2019. Fresco dei riscontri positivi di “Puff O'Gigio”, James Stewart torna con il suo progetto principale, ripresentandone gli aspetti più disturbanti. Primo indizio è la cover, raffigurante il simbolo per evocare Vetis, Demone Promettente Vita. Eppure il titolo suggerisce un'altra immagine di riferimento. Il musicista californiano riplasma il capolavoro caravaggesco per affrontare le problematiche dell'essere donna ai giorni d'oggi. Come da lui stesso dichiarato, il concept è il martirio femminile: materia capace di scatenare una marea nera di ossessioni, storie, immagini e pensieri, gettati addosso all'ascoltatore in maniera destabilizzante. La title track tratteggia la mole dell'incubo: scariche di suoni convulsi, urla slabbrate, percussioni martellanti e l'irruzione di Stewart come un treno impazzito trattenuto a stento dai binari. Co-prodotte dal duo Angela Seo & Greg Saunier dei Deerhoof e suonate insieme a Thor Harris (Swans) e Jordan Geiger, le tracce presentano cupe mitragliate industrial fuse a squarci cacofonici marchio di fabbrica-Xiu Xiu, il tutto dominato dalla voce dell'artista di Los Angeles, vero strumento protagonista. Che sia parte di collage ("Ice Cream Truck") o avvinghiata ai ritmi maniacali di "It Comes Out Like A Joke" e "Scisssssssors", è lei il filo conduttore di Girl With Basket Of Fruit.
Musicalmente parlando, "Pumpkin Attack On Mommy And Daddy" è il momento più interessante: frasi e parole come puri mattoni sonori da combinare all'incedere techno, un avvincente delirio immortalato dal degno videoclip.
"Amargi Ve Moo" accosta le femministe turche al nomignolo della sorella di Stewart: accarezzato dal plumbeo contrabbasso, arriva il sentito racconto della battaglia/martirio di quest'ultima contro il cancro. Dopo la suggestiva "The Wrong Thing", "Mary Turner Mary Turner" s'impone come cardine dell'opera. Ogni secondo una bastonata, più la cronaca granguignolesca – leggere la sorte del bambino ancora nel ventre di Mary - del linciaggio avvenuto nella contea di Brooks in Georgia ai danni della ragazza e il marito Hazel. Dolente e scarna la ballata finale "Normal Love", dove Stewart duetta con la vecchia conoscenza Eugene Robinson degli Oxbow. Con Girl With Basket Of Fruit James Stewart continua a scandagliare le zone oscure della sua mente e della sua anima. Amare o odiare, ma per il momento vale ancora la pena soffrire.

Dopo il martirio della donna, un martirio interiore e personale. Se il lavoro precedente era incentrato sui drammi vissuti dal mondo femminile, il nuovo Oh No (2021) degli Xiu Xiu risente dei problemi di salute mentale di Stewart, il quale, poco dopo la pubblicazione del disco del 2019 condivise sui social la necessità di annullare il tour e recuperare il suo equilibrio. Una delicata dinamica privata a cui si è aggiunto il dramma mondiale del Covid-19.
Composto nella solita Los Angeles, al sicuro – e in parte obbligato – delle mura casalinghe, tra il 2019 e l'anno successivo, Oh No vede Stewart affiancato dall'ormai inamovibile Angela Seo (anche produttrice e autrice dei sempre divertenti videoclip), con la preziosa presenza di Lawrence English e di Greg Saunier dei Deerhoof. Molto significativo il fatto che Stewart abbia curato un periodo di chiusura nei confronti del mondo con un disco collaborativo, dove ogni canzone è un duetto con un altro artista. Colleghi e amici che oltre a rinnovare la fiducia dell'artista nella musica, hanno contribuito ad una tregua tra il cantante e quei demoni che hanno sempre caratterizzato la sua produzione.
Quindici tracce, altrettanti ospiti e tanti ascolti per assimilarli. La voce di Jamie Stewart è sempre un sussurro carico di pathos, un racconto vocalmente flebile di liriche ben più intense. Si parte con “Sad Mezcalita” insieme a Sharon Van Etten, uno scambio struggente per chitarra sopra un lamentoso sottofondo. Stessa atmosfera, ma intessuta sui tasti di un pianoforte, per “I Cannot Resist” dove troviamo Deb Demure dei Drab Majesty, a cui segue “The Grifters” con Haley Fohr (Circuit Des Yeux), dove la performance lirica racconta di un'amicizia spezzata. A interrompere brevemente la sequenza di duetti tra Stewart e ospiti femminili, proprio Greg Saunier dei Deerhoof in “Goodbye For Good”. Per la title track arriva l'artista e regista Susanne Sachsse, con cui la band aveva collaborato per la performance “Original sin. A concert”: un contributo in tedesco per un un pezzo sintetico e gonfio di campionamenti. Ripetizioni ossessive, ritmi e dissonanze in “Rumpus Room” (con Angus Andrew dei Liars) e “Fuzz Gong Fight” con Angela Seo. Superata “I Dream Of Someone Else Entirely” (insieme al compositore Owen Pallett) arriva uno dei pezzi forti dell'album: la cover di “One Hundred Years” dei Cure cantata con la regina delle tenebre Chelsea Wolfe, ancora più ossessiva e martellante. C'è anche un po' d'Italia con “A Classic Screw” e la presenza di Fabrizio Modonese Palumbo dei Larsen, già compagno di battaglia di Stewart nel progetto XXL. Nel finale, ecco la leggenda del punk losangelesiano Alice Bag (“Knock Out”) e il passaggio più melodico del lotto, scelto come primo singolo, “A Bottle Of Rum”, con Liz Harris aka Grouper. Concluso dal breve messaggio finale di Valerie Diaz impresso in “ANTS”, Oh No è l'ennesimo album senza compromessi, dove dolore e bellezza convivono in quell'equilibrio di cui Stewart non solo è artefice, ma anche primo protagonista.

Apprezzato in solitaria nell’intensa data romana alle Industrie Fluviali, Jamie Stewart aggiorna la discografia marchiata XX con Ignore grief (2023). La dimensione duets di “Oh No” si amplia: il braccio destro Angela Seo canta metà delle tracce presenti (e dirige ancora una volta un videoclip, a questo giro il primo singolo "Maybae Baeby"). Un dolore (con)diviso tra le “teenager tragedy songs” intonate dalla soffusa voce di Stewart e i brani più sperimentali della Seo. Questi ultimi sono il puntuale e massacrante impatto sonoro della band retto dall’incedere di percussioni fredde, metalliche e tribali. Stewart invece si muove tra stridori orchestrali e sinistri rintocchi di piano.Tra di loro si inserisce il batterista David Kendrick, ex membro di Devo e Gleaming Spires nonché in passato turnista con gli Sparks. Esposta la cornice, “Ignore grief” è l’ennesimo quandro di sofferenza e orrore. Le liriche sono flash dalla scena di un crimine, lampi di luce su incubi fatti di dipendenza, prostituzione ("Brothel Creeper") e vite distrutte. E per quanto la band abbia dichiarato che metà delle tracce sia reale e l’altra immaginaria, negli Xiu Xiu questo confine è davvero labile: i colpi arrivano tutti, sempre, e il contesto musicale buio e deviato fornisce la stessa aura nera a tutti i brani. “The Real Chaos Cha Cha Cha” è il classico intro ossessivo e inquietante con la voce di Angela Seo che arriva come se fosse un annunciatrice dal mondo dei morti. Nonostante passaggi meno riusciti, come la labile "666 Photos of Nothing", i momenti convincenti sono in linea con la produzione/reputazione più estrema del gruppo: le urle incessanti di "Maybae Baeby", "Tarsier, Tarsier, Tarsier, Tarsier", gli scenari notturni suggestivi con quel fiato noir di "Pahrump", fino a "Border Factory", il brano più coinvolgente. Chiude il giro "For M", lento e inevitabile requiem per questa rassegna di dolore impossibile da ignorare.

Contributi di Claudio Fabretti, Alessio Belli ("Puff O'Gigio", "Girl With Basket Of Fruit", "Oh No", "Ignore Grief"), Gianni Avella/Aktivirus ("Knife Play), Antonio Ciarletta ("La Foret"), Alberto Asquini ("Spicchiology?", "Dear God I Hate Myself"), Mattia Braida ("Dear God I Hate Myself"), Michele Saran ("Always", "Forget"), Lorenzo Bruno ("Angel Guts: Red Classroom"), Antonio Silvestri ("Plays The Music Of Twin Peaks")

Xiu Xiu

Discografia

XIU XIU

Knife Play (5 Rue Christine/ Kill Rock Stars, 2002)

7,5

Chapel Of The Chimes (Ep, Absolutely Kosher, 2002)

A Promise (5 Rue Christine, 2003)

7

F... Patrol (Ep, Free Porcupine Society Records, 2004)

Fabulous Muscles (5 Rue Christine, 2004)

8

Life And Live (live, Xeng/ Wide, 2005)

7,5

La Foret (Acuarela, 2005)

7

The Air Force (5 Rue Christine, 2006)

7

Remixed & Covered (5 Rue Christine, 2007)

Women As Lovers (Kill Rock Stars, 2008)

6

Dear God, I Hate Myself (Kill Rock Stars, 2010)
7
Always (Bella Union, 2012)5,5
Angel Guts: Red Classroom (Polyvinil/Bella Union, 2014)6,5
Plays The Music Of Twin Peaks(Polyvinil/Bella Union, 2016)6
Forget (Polyvinyl, 2017)4,5
Girl With Basket of Fruit (Polyvinyl, 2019)6,5
Oh No (Polyvinyl, 2021)7
Ignore Grief(Polyvinyl, 2023)7
XXL

Ciautistico! (Important, 2005)

7

Spicchiology? (Important Records, 2007)

7,5

Puff O'Gigio (Bad Paintings, 2018)

7

Pietra miliare
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