Alanis Morissette

Alanis Morissette

Pop femminista all'assalto delle chart

Con "Jagged Little Pill", a soli vent'anni, ha sbancato le classifiche mondiali, rivoluzionando la figura della cantautrice. Con testi taglienti, dedicati alla guerra dei sessi. Ma dopo quell'exploit la sua carriera è diventata irta di ostacoli e contraddizioni

di Claudio Fabretti + AA. VV.

La canadese Alanis Nadine Morissette è emersa nella scena rock alternativa di fine anni Novanta grazie all'energia dei suoi brani e all'intensità dei suoi testi, sempre taglienti e sinceri, dedicati in gran parte ai chiaroscuri del rapporto tra uomo e donna. Un repertorio che ha messo in luce la sua personalità dirompente, in bilico tra la Tori Amos più aggressiva e la Suzanne Vega più introversa.

Alanis Morissette nasce il 1° giugno 1974 ad Ottawa, in Canada. I genitori sono insegnanti in scuole militari, una professione che porta la famiglia Morissette a spostarsi in giro per il mondo. La piccola Alanis trascorre parte della propria infanzia in Germania e ritorna a Ottawa all'età di sei anni. Ha già un obiettivo in testa: suonare il piano. A soli dieci anni fa il suo precoce ingresso nello show-business, guadagnandosi una parte in uno spettacolo televisivo per bambini, "You Can't Do That On Television". Con lo show arriva anche una parte da co-protagonista con Matt Le Blanc (il Joey di "Friends") in un film. Grazie ai soldi guadagnati, Alanis può realizzare il suo sogno di incidere un disco. Si tratta solo di un 45 giri, ma per stamparlo fonda una sua etichetta discografica, la Lamor Records. Le duecento copie di "Fate Stay With Me" mettono però in luce l'incredibile grinta di una ragazzina di dodici anni che sembra già una rockstar. Così, a soli quattordici anni, Alanis si ritrova sotto contratto con la MCA e in soli quattro mesi, da settembre a dicembre 1990, incide il primo album, che esce nell'aprile 1991 e riscuote un discreto successo in Canada. Lanciato dal singolo "Too Hot", Alanis è una raccolta di canzoni pop-dance che si aggiudica il disco di platino in Canada e vale alla Morissette, sempre in Canada, un Grammy come miglior cantante esordiente. Segue Now Is The Time (1992), che la rivela discepola di Madonna.

Trasferitasi a Los Angeles, la Morissette si fa affiancare da un produttore di spicco come Glen Ballard e da un gruppo costituito da membri di gruppi rock (come Dave Navarro e Flea dei Red Hot Chili Peppers). E nel 1995 riesce a sfondare con il singolo "You Oughta Know", un brano duro e tagliente, con frasi che parlano di sesso con toni crudi. Il suo talento acerbo colpisce Madonna, che la mette sotto contratto con la sua etichetta, la Maverick, pubblicando l'album Jagged Little Pill, il disco che la consacra star.

In breve tempo l'album raggiunge il top delle classifiche di tutto il mondo. Merito di canzoni piene d'energia, che la vedono nei panni di una ragazzina ribelle alle prese con maschi prepotenti e sleali. È il caso di "Head Over Feet", trascinata da una melodia accattivante e da improvvisi cambi di registro, e di "Ironic", in cui l'alternanza di toni si fa più serrata e il ritornello è ancor più emozionante. Morissette recita la parte di un'adolescente perennemente in bilico tra momenti di struggente malinconia ed esplosioni di rabbia. Come in "You Oughta Know", che segue proprio questo andamento, passando dalle tonalità di una ballata delicata a quelle di una furiosa invettiva. Lo shuffle di "Hand In My Pocket" riecheggia invece lo stile di una rocker di classe come Chrissie Hynde. Gli arrangiamenti, affidati a Ballard, fanno un uso massiccio di tastiere e chitarre, che fanno da contrappunto al canto cristallino e armonioso della Morissette.

Alanis MorissetteAl culmine della popolarità, la cantautrice canadese impersona addirittura Dio nel film di Kevin Smith "Dogma": un Dio che non parla e che si mette a saltellare come una bambina. Quasi un ritratto paradossale di questa ragazzina-prodigio dall'inesauribile energia, capace di scavare i recessi più profondi dell'animo con l'ingenua irruenza di un'adolescente.
Travolta dalla sua stessa fama, Morissette fugge assieme alla madre in India, da dove torna con i buoni propositi di chi vuole cambiare il mondo. Il successivo Supposed Former Infatuation Junkie (1998), però, non ripete il miracolo. Non bastano le sonorità indiane della misticheggiante "Thank U" o i sapori mediorientali della suadente "The Couch" a confutare l'impressione che si tratti solo della copia sbiadita dei successi di Jagged Little Pill. Nel 1999 Alanis Morissette incide il live Mtv Unplugged, in cui interpreta anche cover di altri artisti, tra cui "King Of Pain" dei Police. Nel frattempo, la cantautrice di Ottawa si aggiudica numerosi premi, fra cui il Grammy, e nell'estate del '99 partecipa con Tori Amos a un tour di cinque settimane in giro per l'America.

Nel 2002 esce un nuovo album, Under Rug Swept, in cui Morissette esplora ancora una volta il tema dell'amore e delle difficili relazioni con gli uomini. "I testi - racconta la cantautrice canadese - sono la trasposizione del mio modo di affrontare le relazioni sentimentali. Ho vissuto esperienze interessanti e complesse che però non sono andate a buon fine. Ma ci sono altre tipologie di uomini e in futuro avrò modo di incontrarli...". Diverse le sonorità presenti nell'album, dal rock di "21 things I want in a lover" e "Narcissus", al groove ritmato di "So Unsexy" e "You owe me nothing in return" fino alle ballate di "Flinch" e "'That particular time". Canzoni legate dal filo rosso dell'amore e dell'analisi, sia interiore sia del rapporto a due, in cui la Morissette tira fuori le verità nascostesotto il tappeto, come recita l'emblematico titolo dell'album:"Quando scrivo devo indossare un elmetto perché scrivere un nuovo disco è come bere il siero della verità e mettermi a nudo". Non mancano anche i temi sociali, come in "Utopia", un brano che disegna un quadro ideale di una società libera fatta di individui liberi. "L'ho scritto nove mesi prima dell'11 settembre, contrariamente a quello che pensano in molti - ha precisato -. L'ho però pubblicata dopo la tragedia di New York. Quell'evento ha sconvolto tutti provocando un risveglio il cui effetto si vedrà in futuro e che aiuterà anche l'arte: tutti hanno cominciato a formarsi un'opinione su Dio, la religione, la politica. E questo si riflette anche sull'arte che è creata dalle persone".

A dieci anni dal folgorante (secondo) esordio, la Morissette tenta di rigenerare la sua musica con So-Called Chaos, che segna un ritorno alla ricerca della melodia accattivante, fallendo però su tutta la linea. Il suono è regredito al muro di nulla degli Oasis e le canzoni non trovano quella spontaneità a cui mirano. "Everything", primo singolo, è l'unico che possa essere davvero tale e brilla solo per l'insipienza degli altri pezzi. La carenza di idee è palese e lo dimostra l'apertura, "Eight Easy Steps", praticamente un'outtake di Supposed Former Infatuation Junkie aggiornata al suono odierno (rumorosità inutile condita da alone mistico), stesso dicasi per "Knees On My Bees" e la title-track. "Doth I Protest Too Much", uno dei migliori episodi, è una ballata appena decente, mentre, nonostante i dieci secondi iniziali di archi "Not All Me" è tra la sue peggiori di sempre. Solo nei tre pezzi finali (in cui brilla - finalmente! - "This Grudge" che a modello ha gli episodi pianistici di Under Rug Swept) si respira un po' d'aria buona (ma neanche poi troppo). Anche i testi mostrano che ormai resta poco da dire, una volta svanite la rabbia verso gli uomini, i cambi d'umore e l'emotività degli inizi, e quasi sempre sostituite da una serena accettazione dello stato delle cose. La Morissette pare aver concluso la sua ricerca (sia musicalmente sia come poetica), finendo per risultare una piatta copia di se stessa.

Il 2005 è un anno di bilanci e di celebrazioni (in primis del decennale del bestseller Jagged Little Pill, che viene completamente reinciso in chiave acustica): esce la sua prima raccolta, intitolata The Collection, che si rivela non una prevedibile carrellata di successi ma un'antologia indispensabile per chi non è riuscito, nel tempo, a collezionare brani incisi per colonne sonore (c'è "Uninvited", dal film "City Of Angels" così come "Still", tratta da "Dogma", ma trova posto in scaletta anche la sua eccentrica cover di "Let's Do It, Let's Fall In Love" incisa per "De-Lovely", il film di Irvin Winkler con Kevin Kline nei panni di Cole Porter) o che non fanno parte dei suoi album ufficiali (come la toccante "Mercy" con Salif Keita, che apre "The Prayer Cycle" di Jonathan Elias, e la rilettura di "Crazy" di Seal che diviene il singolo di lancio dell'antologia).

Il ritorno sulle scene nel 2008 con Flavors Of Entanglement sarà tutto sommato un piccolo passo in avanti rispetto a So Called Chaos, che aveva messo a dura prova pure i fan più incalliti. Alanis Morissette ha ufficialmente imboccato la sua personalissima strada e, buona o cattiva che sia, sembra intenzionata a seguirla fedelmente fino in fondo. Del resto non era umanamente possibile - né tantomeno sostenibile - mantenere i livelli di rabbia genuina che fecero la fortuna di Jagged Little Pill attirandole addosso le attenzioni mediatiche di mezzo mondo (e gli accidenti di una gelosissima Courtney Love); Alanis oggi è una donna matura che sa svolgere il suo lavoro con professionalità, e usa la canzone come medium per estrarre e dare un senso ai mille pensieri che affollano la sua mente notoriamente iperattiva.
Cercare nuove forme stilistiche pare non essere proprio in cima alla lista delle sue priorità; non sarebbe fuori luogo quindi aggiungere - all'aggettivo "genuino" che comunque continua a contraddistinguerla - anche il termine "monotono". Rimangono costanti tutti gli stilemi classici dell'ormai collaudato songwriting: canzoni in forma solida dalla costruzione regolare, melodie ariose e orecchiabili ma in realtà molto ben congegnate, ritornelli efficaci sempre esaltati da quella voce limpida riconoscibile tra mille, e ovviamente i personalissimi testi dai risvolti cervellotici come una seduta dall'analista in un film di Woody Allen.

Alanis MorissetteStavolta, però, un po' d'innovazione arriva dal lato della produzione. Adesso in studio c'è Guy Sigsworth, noto ai più attenti come una metà dei Frou Frou (in coppia con Imogen Heap), o altrimenti "colui che ha lavorato con Bjork, Madonna e Britney Spears". L'amore per l'elettronica e la pulizia sonora di Sigsworth è cosa nota, e tutto Flavors Of Entanglement risente ampiamente di queste nuove folate d'aria sintetica. In certi passaggi il contrasto è decisamente marcato, come nella cupa e potente "Version Of Violence", in cui le chitarre vengono letteralmente imbevute in un bagno freddo di sintetizzatori, o nell'opening track "Citizen Of The Planet" che usa scale orientali inerpicate su un roboante muro di suono - come ai tempi di Supposed Former Infatuation Junkie - per creare un pezzo teso e drammatico, con tanto di giri d'archi sintetici nel finale come una colonna sonora bollywoodiana (impossibile non notare in questo frangente una certa somiglianza con "Psychobabble" dei Frou Frou).
Su altri episodi invece la nuova veste elettronica, pur evidente, si mantiene più calibrata, come nella marcetta acid-pop condita da rumorini glitch "Straitjacket", e sulla bellissima e dilatata "Tapes" che, col suo intenso e trascinante tappeto sonoro, si guadagna il titolo di pezzo migliore del disco. Più canonica ma sempre d'effetto anche la ballata pianistica "Not As We" (estratta come secondo singolo). Pur prodotto sempre con un certo gusto e un uso di sonorità elettroniche solitamente estranee al suono della cantautrice canadese, il resto dell'album prende la piega del già sentito. Piuttosto debole il pezzo di lancio "Underneath", un pop/rock dai toni ambientalisti che finisce col risultare uno dei suoi singoli meno efficaci di sempre, mentre le varie pop songs melodiche che compongono il corpo del disco - "Torch", "In Praise Of The Vulnerable Man", "Giggling Again For No Reason" (che parte con sfrigolii di synth quasi dance), "Incomplete" e la monotona "Moratorium" - aggiungono molto poco all'ascolto.

Chi ha seguito e amato nel corso degli anni Alanis Morissette troverà sempre almeno un passaggio melodico o un pensiero al quale connettersi su un livello personale, perché questa è la sua vera arte: riversare se stessa - anima e corpo - nelle proprie canzoni, in cerca di una connessione spirituale col mondo, e pertanto può sempre capitare di trovare, nascosta tra le liriche, una frase che sembra scritta apposta per noi. Da un lato prettamente musicale, però, l'ascolto di Flavors Of Entanglement al momento fa poco più che risollevare lievemente una carriera che da qualche anno a questa parte pare messa in standby.

Seguirà un altro lungo silenzio discografico, interrotto dalla partecipazione alla colonna sonora del film "Prince Of Persia: The Sands Of Time" nel 2010 con il brano "I Remain", composto da Alanis insieme a Mike Elizondo (i due già lavorarono insieme anni prima per "Wunderkind", brano finito nella colonna sonora del film "Le cronache di Narnia"). Nel 2012 arriva però l'annuncio di alcune date live (anche nel nostro Paese) che anticipano l'uscita di Havoc And Bright Lights, album che segna anche il passaggio dell'artista canadese alla Collective Sounds (distribuzione Sony Music) dopo tanti anni di permanenza alla corte della Maverick di Madonna.

Ci sono alcuni elementi che predispongono a un atteggiamento positivo, nei confronti del settimo album di studio della Morissette. Oltre al cambio della casa discografica c'è un collaboratore come Joe Chiccarelli, un nome che ha avuto a che fare con Frank Zappa (fra gli altri), insieme a Guy Sigsworth. Eppure, chi spera di trovare di nuovo la potenza dell'icona femminista di Jagged Little Pill dovrà prepararsi a una doccia fredda: Havoc And Bright Lights è una luminosa e perfetta metafora della noia. La delusione arriva immediatamente con il singolo, "Guardian", spudoratamente radiofonico: un rock/pop melanconicamente fermo agli anni Novanta, manchevole d'idee e d'ispirazione, ma fin troppo pieno di elettronica insipida e vaga, con le strofe a ricamare ritornelli in una forma-canzone standardizzata, senza un filo emotivo, senza crescendo, senza profondità. Affondando, invece, nella superficialità di "Woman Down", l'attenzione inizia già a calare, e si fatica a distinguere un brano dall'altro. La melensa ballad "'Til You" rincara la dose, e neanche l'easy rock di "Empathy" riesce a svegliare l'ascoltatore e a salvare l'album.
"Questo disco come sempre è un'istantanea delle cose che mi ossessionano, cui tengo e di quelle per cui mi sveglio alle quattro del mattino: i miei momenti più introspettivi". Così la cantautrice americana commenta il suo ultimo lavoro. In effetti, sono proprio i testi a costituire l'unico lampo di luce in queste dodici canzoni, che tracciano collegamenti tra il microcosmo dell'intimità e il macrocosmo della politica e della società, e che si riprendono un po' rispetto ai lavori precedenti. Il verso più felice è: "I'm a tattoeed sexy monkey dancing", che ammicca a personalità facilmente rintracciabili nel mondo della musica popolare. Peccato che sia cantato in "Celebrity", un brano i cui artificiosi e pretenziosi colori dark non bastano a staccarsi dal generale senso di sommessa incompiutezza che caratterizza l'intero Havoc And Bright Lights.
Insomma, se la musica è scontata, nell'arte di Alanis Morissette rimane comunque la sua identità di donna integra e intelligente, che canta e tiene il palco gradevolmente, con deliziosa umiltà.

Passano ben otto anni di silenzio e Alanis Morissette torna con Such Pretty Forks In The Road. Oggi Alanis Morissette non è più la ventenne degli esordi ma una quarantaseienne matura con una vita piena di contraddizioni, che nonostante i vari tentativi non è mai riuscita a ripetere il clamoroso miracolo del 1995. La cantautrice canadese cerca di rigiocare le stesse carte mettendosi nuovamente a nudo, passando da adolescente problematica a madre borghese apprensiva, parlando di temi personali aggiornati alla sua età quali depressione post-partum, alcolismo, rapporti madre-figlio. 
E’ indubbio che brani come ”Smiling” puntino al sound degli anni 90, con una voce ancora meritevole di lodi, sofferente tentativo di sorridere nonostante tutto. Altri come la hit “Reasons I Drink” diventano interessanti sedute di psicoanalisi, oltre che - in questo caso - l'unico brano che si allontana parzialmente dal consueto pop à-la Morissette. Per il resto tante ballad melodiche e zuccherose, a volte stucchevoli, a volte piacevoli che confermano Alanis come una sorta di anomalia nel mondo del mainstream, ma che di certo non sono destinate a cambiare il mondo della musica pop.

Contributi di Ciro Frattini ("So Called Chaos"), Alessandro Liccardo ("The Collection"), Damiano Pandolfini ("Flavors Of Entanglement"), Rossella De Falco ("Havoc And Bright Lights"), Valerio D'Onofrio ("Such Pretty Forks In The Road")

Alanis Morissette

Discografia

Alanis (Mca, 1991)

Now Is The Time (Mca, 1992)

Jagged Little Pill (Maverick, 1995)

8

Supposed Former Infatuation Junkie (Maverick, 1998)

6,5

MTV Unplugged (live, Maverick, 1999)

6,5

Under Rug Swept (Maverick, 2002)

6

Feast On Scraps (cd + dvd, Maverick, 2002)

4

So Called Chaos (Maverick, 2004)

4

Jagged Little Pill Acoustic (Maverick, 2005)

5

The Collection (antologia, Maverick, 2005)

6,5

Flavors Of Entanglement (Maverick, 2008)

5,5

Havoc And Bright Lights (Collective Sounds, 2012)

4,5

Such Pretty Forks In The Road (Epiphany Music, 2020)

5,5

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