Fiona Apple

Fiona Apple

Gli spettri della "sullen girl"

Con le sue ballate tenere e drammatiche, Fiona Apple si è messa in luce giovanissima, come una delle più interessanti promesse del nuovo cantautorato al femminile d'oltre Oceano. Ritratto della "sullen girl" del rock americano

di Claudio Fabretti

Giovane pianista prodigio, personaggio fragile e sensuale, proprio come la connazionale Tori Amos, Fiona Apple Maggart si è rivelata una delle più interessanti promesse del nuovo cantautorato al femminile d'oltre Oceano. Le sue liriche drammatiche e intimiste sono la testimonianza di una personalità difficile e tormentata, segnata dalla violenza sessuale subita a soli dodici anni. E le sue intense ballate ne hanno messo in luce il talento di compositrice di classe, nella tradizione delle varie Carole King, Suzanne Vega, Sheryl Crow, oltre che della stessa Amos, riferimento più evidente della sua opera.

Fiona Apple nasce a New York il 13 settembre 1977 dall'unione tra l'attore Brandon Maggart e l'attrice Diane McAfee.

La coppia ha anche un'altra figlia, Amber, e diversi figli da unioni precedenti. I due si separano quando Fiona ha quattro anni. A otto anni la Apple inizia a prendere lezioni di piano, smettendo due anni dopo per sviluppare il suo talento intuitivamente. A undici anni scrive la sua prima canzone. Lo stesso anno racconta a una compagna di classe che stava per uccidersi con la sorella. Quindi, l'episodio dello stupro da parte di uno sconosciuto, avvenuto in un garage della casa dei genitori, a New York.

La sua ascesa artistica inizia quasi per caso: nel 1994 un'amica fa ascoltare una sua cassetta alla produttrice Kathryn Schenker, per la quale lavorava come babysitter. La Schenker, produttrice tra gli altri di Sting e Smashing Pumpkins, ne rimane impressionata e le procura un contratto con la Sony.

Fiona Apple esordisce così a soli diciotto anni con Tidal (1996). E' un album delicato e intenso, che riscuote subito un grande successo di pubblico e di critica: le ottime recensioni pubblicate da testate come Rolling Stone, Time e The New York Times sono affiancate dal grande successo riscosso durante il Lilith Fair Tour e da un Grammy Award conseguito nella categoria "Best New Artist in a Video".
A impreziosire l'album è un pugno di canzoni malinconiche e delicate, dalla toccante ballata pianistica di "Sullen Girl", sorta di autoritratto che rievoca la Laura Nyro più intimista, allo struggente hit single "Shadowboxer", dalle dolenti autoanalisi di "Never Is A Promise" e "Pale September" all'angosciata elegia di "The Child Is Gone" e alla dolcissima ninnananna di "Slow Like Honey". Ma Apple trova anche grinta ed energia per dar vita a brani più ritmati, come il vivace rap di "Sleep To Dream" e il blues febbrile di "Criminal". Il disco spazia con disinvoltura tra canzone pop e jazz, soul e blues, mettendo il luce tutto il talento cristallino della cantautrice newyorkese.

Ma il carattere difficile e la resistenza ad accettare le leggi di quel music business in cui presto resterà intrappolata rendono in salita la strada di quella che viene subito ribattezzata come "la nuova Tori Amos". Lei stessa d'altronde non sembra decidersi tra l'attrazione fatale dello "stardom", che la vuole sex-symbol a tutti i costi (in un concerto si presenterà addirittura in mutandine.), e le ambizioni artistiche di cantautrice controcorrente. "Non mi sento apprezzata come artista, ma come un buon prodotto della mia etichetta che ha creato l'illusione che io fossi bella, ricca e con una vita perfetta", confesserà nel 1997.
Nello stesso anno, agli Mtv Video Music Awards del 1997, sale sul palco per ritirare il Best New Artist Award e scatena un'ovazione dichiarando che "this world is bullshit" e incoraggiando la sua platea a rinnegare la celebrity culture. "Go with yourself", concluderà, quasi con ferocia, citando la grande Maya Angelou.

Nonostante le proteste, la sua carriera va avanti: la Apple riceve diverse nomination per i Grammy nel 1998, mentre Tidal conquista il disco di platino.
Nel 1999 esce così il nuovo album, When The Pawn Hits The Conflicts He Thinks, abbreviazione dell'interminabile titolo originariamente scelto ("When the pawn hits the conflicts he thinks like a king what he knows throws the blows when he goes to the fight and he'll win the whole thing 'fore he enters the ring there's no body to batter when your mind is your might so when you go solo, you hold your own hand and remember that depth is the greatest of heights and if you know where you stand, then you know where to land and if you fall it won't matter, cuz you'll know that you're right").
Anche questo tipo di scelta attira alla Apple gli strali di quella scena musicale, che, fino a poco prima, l'aveva idolatrata: "Si trattava di una poesia che avevo scritto per me stessa - spiegherà - Sapevo che non sarebbe diventata una canzone, ma ho sentito il bisogno di scriverla per ricordarmi di tutti quelli che mi prendevano in giro e si sbagliavano. Avevo bisogno di ricordare a me stessa che non ho fatto niente di male a nessuno. Il mio successo ha causato molte critiche. La cosa mi ha dato molto fastidio, e non sono riuscita a nasconderlo. Mi pare che un sacco di gente mi detesti per motivi che non riesco a comprendere".
Al di là delle polemiche, tuttavia, When The Pawn non ripete il miracolo di Tidal, pur attestandosi sempre su buoni livelli compositivi e interpretativi. Spicca soprattutto la ballata "Get gone", torbida e coinvolgente quanto basta per essere paragonata ai migliori episodi di Tori Amos. Il singolo "Fast As You Can", che rievoca il drammatico episodio dello stupro, si regge su un ritmo techno-beat sincopato che non lascia scampo. Fiona si produce in altre rafinate autoanalisi, rimproverandosi gli errori ("A Mistake") con la consapevolezza della loro inevitabilità in un percorso di crescita ("I’m gonna make a mistake/ I’m gonna do it in porpouse"). Le maree del dolore sono sempre in agguato, però, e a volte diventa impossibile gestirle, come ci racconta con voce roca e disperata in "To Your Love" ("Please forgive me for my distance/ The pain is evident in my existence"), salvo poi lasciarsi andare alla morbidezza vellutata di "Love Ridden", altra delicata piano-ballad nel suo tipico stile. L'atto finale di "I Know" commuove con una melodia jazz e un'interpretazione quantomai malinconica.

Tra i vari progetti collaterali, Fiona Apple contribuisce anche alla realizzazione della colonna sonora del film "Pleasantville".
L'ex-sullen girl si conferma tenera e languida chanteuse di storie intrise d'angoscia e malinconia, mostrando una personalità tanto affascinante quanto fragile, che da un lato sembra invecchiata troppo in fretta ("The Child Is Gone", cantava nell'esordio), dall'altro sembra ancora preda dei fantasmi di un'adolescenza confusa e tragica.

Una travagliatissima gestazione precede l'uscita del terzo album, Extraordinary Machine (2005). Bloccato dalla Sony perché ritenuto "poco appetibile" (sic!), il disco esce sul web: un esercito di fan, armati di peer-to-peer, si mobilita per riscattare la propria beniamina al grido di "FreeFiona!". Tre anni dopo, l'album riemerge sempre sotto i vessilli di casa Sony. A farne le spese, il produttore originario, Jon Brion, "ripudiato" dalla stessa Apple in favore di Mike Elizondo, vecchia volpe della scena hip-hop (Eminem, Cent, Dr. Dre), già al fianco di Sheryl Crow e Gwen Stefani. Ne è nato un disco pesantemente rimaneggiato rispetto alla versione online e con arrangiamenti più convenzionali: difficile non credere che il "barocchismo" di Brion sia stato la vittima sull'altare della riconciliazione tra Fiona e la sua label. Che sia stato così rovinato o valorizzato il fascino dell'originale rimarrà l'eterno dilemma da consegnare ai posteri.
I dodici brani sono spicchi agri di un amore in dissoluzione (quello tra la cantautrice e il regista di "Magnolia", Paul Thomas Anderson) e testimonianze di una personalità ormai lontana dai turbamenti tardo-adolescenziali di "Tidal". La ragazzina umbratile che nel 2000 abbandonò in lacrime il palco del Roseland di New York ha affinato il suo songwriting, facendone lo specchio di una donna matura, che ha deciso di regolare i conti col passato. Si diceva delle due tracce superstiti di Brion: la title track iniziale è un numero alla Judy Garland, con il cantato soft di Fiona che si insinua tra fiati, archi, marimba e campanelli, in una cornice da music-hall hollywodiano; sempre nel solco di un'orchestrazione d'altri tempi, la conclusiva "Waltz (Better Than Fine)" ripercorre con eleganza traiettorie di pop obliquo, che spaziano da Van Dyke Parks a Badly Drawn Boy. Il robusto contralto della Apple colora di tinte scurissime la love-story di "Get Him Back", insieme a una foga pianistica degna del Cave più invasato; è sempre il piano ritmico a trascinare "O' Sailor", una delle sue tipiche ballate sognanti e gonfie di pathos; mentre un bell'assolo à la Ben Folds impreziosisce "Not About Love". Se in episodi pop più ordinari, come "Better Version Of Me" o "Red Red Red", Elizondo si limita ad accendere i riflettori sulla chanteuse al piano, in "Tympse" riesce a sfruttare al meglio la sua verve hip-hop, con un incedere sbilenco, propulso da beat quasi dance. Uno slancio ritmico ribadito anche nel crescendo di "Window", dove è palese anche l'omaggio al blues alticcio di Tom Waits.
Fiona Apple, insomma, c'è. Seppur con qualche prodigio melodico in meno e con la voce un po' arrocchita dagli anni. Ma resta il sospetto che quel rinnegato bootleg tutto archi, rabbia e spettri potesse valere molto di più.

Finalmente, nel 2012, la Apple firma un album autentico, senza compromessi, con la Epic Records. Un titolo chilometrico (The Idler Wheel Is Wiser Than the Driver of the Screw and Whipping Cords Will Serve You More Than Ropes Will Ever Do) dà nome a un lavoro che l'artista ha registrato completamente all'oscuro della sua label. Ad affiancarla, anche in qualità di co-produttore, c'è l'affascinante poli-strumentista Charley Drayton - già collaboratore, tra gli altri, di Neil Young, Iggy Pop e Courtney Love. Ascoltarlo è come aprire il conturbante diario segreto di qualcun altro, senza filtri interposti tra musica e ascoltatore: un flusso di coscienza dissonante e romantico, à-la Virginia Woolf. Acquerelli indefiniti, che prendono forma ascolto dopo ascolto.
Gelosia meschina, isolamento, tristezza, amarezza, solitudine, fragilità: sono questi i colori oscuri che brillano in un paesaggio notturno, minimalista ed essenziale, disegnato dall'immancabile connubio voce-pianoforte della Apple, e animato dalle percussioni di Drayton tra gli abbellimenti di strumenti inusuali, quali il bouzouki, la celesta, la marimba e la kora, e con le sovra-incisioni ad amplificare in un caos stordente i tormenti sepolti nell'inconscio dell'artista. In questo limbo dell'essere, tanto spaventoso quanto suggestivo, le liriche della pianista prodigio raggiungono la loro massima intensità, intrecciandosi nelle rime di dieci fiabe nere, autentiche nella loro appassionata disperazione.
Non c'è spazio per la bellezza formale, fine a se stessa: lo dimostrano le scorribande vocali della Apple, completamente estranee a una perfezione tecnica artificiosa. Si ascoltano sospiri, mormorii, note volutamente fastidiose, urla rigate di rabbia, teneri falsetti femminei, recitativi swing, pieni di un sardonico umorismo, ma c'è anche tempo per le consuete sonorità calde e profonde, pronte a sbocciare in disegni melodici di disarmante ispirazione.
Nel video di "Every Single Night" la Apple canta del suo estenuante tentativo di catturare "the flight of little wings of white-flamed butterflies" nel suo cervello. Si muove tra polpi giganti e cervelli tagliati a metà, in un grande buio onirico. Il tempo segue l'anima, non uno schema, e cambia, varia, balla, si arresta, s'inerpica su sentieri poco battuti, come in "Jonathan", in cui la Apple ricorda un viaggio in compagnia dell'ex-fidanzato.
Ancora, in una notte senza Luna, la disperazione delle rabbiose "Daredevil" e "Regret" sa lasciare il posto all'ironia di "Valentine", il cui testo mette a disagio anche le memorie più candide, o sa colorarsi di una febbrile voglia di vita e libertà nella bambinesca "Anything We Want". La dolce "Werewolf" e la ventosa "Periphery" ricordano maggiormente le classiche ballate alla Apple. Questo insieme di tremende confessioni approda infine nella voluttuosa "Hot Knife", duetto della Apple con la sorella Maude Maggart: un'alchimia corale che racconta la sessualità tra coltelli affilati e pezzi di burro.
Insomma, ormai trentacinquenne, l'ex-ragazzina prodigio torna a urlare "Go with yourself" a chiunque la ascolti. E va bene così.

Un album più percussivo. Questa la premessa con cui ci lascia l'appassionante profilo dedicatole da Emily Nussbaum sul New Yorker, incentrato sui travagli e sulla gioia liberatoria attraversati da Fiona nel processo di scrittura del suo quinto album. Dall'uscita di The Idler Wheel… sono passati otto anni di silenzio pressoché totale, iniziato con un tour interrotto sul nascere per stare vicino al suo pitbull morente e spezzato giusto da qualche sparuta esibizione dal vivo, per lo più ospite di altri artisti, oltre che da un pugno di inediti divisi tra compilation e collaborazioni di alto profilo. Ma otto anni dopo, Fiona è di nuovo qui, più libera che mai.
C’è un fil rouge che unisce le manifestazioni più pulsionali ed elettriche dell’arte di Fiona Apple, quei momenti in cui la sua essenza più nervosa prende la meglio ed esita in canzoni roventi, cantate col fuoco in gola. E Fetch The Bolt Cutters, il suo quinto album, è quella Fiona al cento per cento della sua forza creativa. Registrato interamente tra le mura di casa, è un disco fortemente percussivo, come da premesse, dove tutto può tornare utile alla causa, dalle suppellettili alle sedie e alle ossa del cane defunto, fino alla cassa di risonanza offerta dalle stesse pareti e dal legno dell’arredamento e che impregna il suono di colori rustici. Fin da subito colpisce una vivacità compositiva che, ancora una volta, ha dell’impressionante. Melodie ricercate ed eleganti, che come perle non si dischiudono del tutto, chiedendoti di guardarle di lato; un susseguirsi di aperture armoniche ammalianti, con quell’inconfondibile e personale tocco jazz; un percuotere di tasti, corde e percussioni che convogliano in un caos ritmico studiato e avvolgente; e un’interpretazione di Fiona che è bruciante e appassionata, ora sofferta ora ai limiti del giocoso. Sono piccoli grandi dettagli di un disco sperimentale quanto divertito, esuberante, urgente. 

L’iniziale “I Want You To Love Me” è già paradigmatica, nei suoi cristallini fraseggi di pianoforte, nel refrain che si tira a dismisura, nella voce che inizia limpida e si arroventa pian piano, nel desiderio totalizzante cantato dai suoi versi, nella sua coda di striduli ansimanti. Difficile immaginare un’apertura migliore. Nella canzone dopo, la Apple ricorda i difficili tempi di scuola quando camminava "digrignando i denti su di un ritmo invisibile”, e il risultato è “Shameika”, un altro brillante numero di pop pianistico. Ma è in “Under The Table”, su accordi scanditi e dalle malinconiche sfumature, che intona una delle sue affermazioni di volontà più potenti: “Kick me under the table all you want/ I won’t shut up, I won’t shut up!”, uno slancio che si collega tanto ai traumi del suo passato quanto a un bisogno, tutto attuale, di ribadire una libertà assoluta, umana e artistica. Sul finale, il contrabbasso vibra e pare il battito d’ali di un calabrone.
C'è sempre il gusto per lo strano (“Relay”, la title track "Fetch The Bolt Cutters" e il loro contollato baccanale di percussioni improvvisate), ma la scrittura è perennemente sul livello delle vette del disco precedente. “Drumset” è uno dei punti più alti, con una densa armonia di voci che si avvolge e danza come un corpo nello spazio, e dalla quale emerge un’accettazione dei fatti che sa più di compromesso (“Now I understand, you’re a human/ And you got to lie, you’re a man”). In “Newspaper”, il soggetto diviene un triangolo amoroso, per una canzone di tensione accumulata con un crescendo di ritmi, voci e controcanti che fanno immaginare una versione pagana di una messa gospel. C’è anche lo spazio per una pura dichiarazione d’amore, “Cosmonauts”, e per una ballata soul, “Ladies”, sempre caratterizzate dalle immancabili idiosincrasie di stampo Apple. Finché è di nuovo il turno di travolgenti esplosioni art-pop. Dalle pulsioni tribali di “Heavy Balloon” emerge lentamente un calore empatico, con Fiona che canta “I spread like strawberries! I climb like pears and beans!”. Ma è in “For Her” che, per un attimo, l’incanto si interrompe. “You raped me in same bad your daughter was born in”: sono parole di sangue, brandelli di carne di un passato che non può e non deve essere cancellato. E, in sottofondo, la frenesia percussiva si scioglie lentamente nell'estasi.

Si parla spesso dell’evoluzione come un processo di superamento: un artista è ciò che è oggi nella misura in cui non è più quello di dieci anni fa. Da questa prospettiva, Fiona Apple non è più la bambina prodigio salita alla ribalta con ballate da ragazza maledetta, o la ventenne che gridava “this world is bullshit!” davanti all’attonita platea degli Mtv Awards. Ma la verità è che Fiona Apple è ancora tutto questo, e ogni aspetto di quella ragazza, dal più precoce al più immaturo, è tuttora vivo in lei. Fetch The Bolt Cutters è un lavoro forte, fragile, passionale, sensibile, irrequieto, è Fiona Apple per come l’abbiamo sempre vista e ancora di più. È il frutto di un’artista che non ha dimenticato nulla, in cerca di una catarsi senza liberazione; che ha imparato a convivere col caos dei sentimenti ed è pronta ad accusare in pieno ogni nuova ferita. E ad apprezzarne morbosamente le ripercussioni.
Ecco perché meraviglia e spaventa. È un'opera fortemente umana ed empatica, ma allo stesso tempo per nulla rassicurante. Sono gli eccitanti compromessi del salto nel vuoto. Come in quel film di Christopher Nolan, potremmo dire di essere davanti al prestigio, quel momento in cui accade l’inaspettato e qualcosa, dal nulla, riappare. 
Tra uscite di scena, silenzi infiniti e improvvisi ritorni, la carriera di Fiona Apple è un grande gioco di magia che si ripete da anni, ma che continua a lasciarsi dietro applausi e commozione. Prosegue così come vuole lei, al passo di un album per decennio, e ogni volta è un capolavoro.

Contributi di Rossella De Falco ("The Idler Wheel...") e Tommaso Benelli ("Fetch The Bolt Cutters")