I
Quando Umm Kulthum morì, fu come se fosse morta la Madre, l’unica, quella mai esistita: quella che conosce il cuore di ognuno, la più importante.
Quel giorno di febbraio del 1975 circa tre milioni di persone invasero le strade del Cairo per assistere al corteo funebre. Fazzoletti che sventolavano, corone di fiori, pianti, lamenti, un cielo bianco che sembrava quasi rigato dalle lacrime dei presenti: a un certo punto fu come se tutto questo non bastasse più a contenere l’emozione della gente. La folla raggruppata lungo il percorso straripò allora come un fiume che in preda alla nostalgia dimentica se stesso, pur di tornare al mare.
Come una piena che tutto travolge e trascina con sé, milioni d’individui rovesciarono le transenne, presero il feretro dalle spalle dei suoi portatori ufficiali passandoselo a turno da una mano all’altra. Per tre ore il corteo lungo circa dieci chilometri, ormai incontrollabile, attraversò la città. La bara, rivestita con un tessuto di seta increspata color crema e verde chiaro, era come un agnello disteso su un brulichio nero d’insetti urlanti, impazziti, dolenti. Ognuno piangeva la voce che gli aveva accarezzato il cuore, tutti volevano toccare quel velo verde che li separava da lei, la donna che con il suo canto donava l’ebbrezza. Era morta la madre di tutte le estasi, una piccola contadina nata in un villaggio del delta del Nilo agli inizi del secolo.
II
Nel canto di tradizione orale tipico di tutte le culture che vivono sulle coste del Mediterraneo, nelle sue strutture, un aspetto ricorrente è dato da una ricca componente ornamentale che funziona anche da indicatore stilistico: la poesia cantata (qasida), la cantillazione del Corano (taiwid), il mawwad egiziano. L’uso musicale egiziano segue la linea monodica e modale della musica araba, prevedendo una grande varietà d’emissioni di timbri e voci, in cui l’improvvisazione gioca un ruolo fondamentale.
Nei brani che costituivano il repertorio di Umm Kulthum, generalmente la melodia non durava che venti minuti ma lei, a differenza degli altri, aveva la capacità di sviluppare ogni frase modificandola: allora la canzone poteva durare un’ora.
La lingua araba è ricca di sottointesi, un solo vocabolo può avere dieci significati e a ciascun’inflessione corrisponde un ethos particolare: ogni volta che lei ripeteva una parola, ne rivelava un senso differente. Una sera, durante un concerto in Marocco, Umm fece quarantasette variazioni sullo stesso tema: nel modo Bayyāti, o senza un sospiro come nel modo Higāz. Aveva sessantaquattro anni.
Alla qualità e alla bellezza del suo canto, Umm univa una tecnica magistrale del “ghina”, cioè voce impostata, sonora, melodiosa, piacevole, dizione impeccabile; e una capacità d’improvvisazione senza limiti. Quando Umm Kulthum si lasciava vincere dall’estasi, i musicisti chiamavano questo stato “saltana”. La sua arte la faceva accedere allora a una sorta di trance: lei s’inebriava letteralmente di musica e la “saltana” eccitava la sua immaginazione creatrice. Era il "tarab", l’estasi, la bellezza che scatena eccitazione ed energia, empatia con l’altro; e unione. Una trance immobile, la musica sposava il respiro della poesia incantando l’ascoltatore, fino alla lucida ebbrezza che porta lontano da ogni terra ferma.
Questo rapimento gli arabi lo chiamano “tarab”. Si vive la melodia, si sogna con le parole, si amplificano i significati. Il verbo “tariba”, da cui deriva il termine “tarab”, significa “essere commosso da gioia o da dolore”, “provare emozioni di piacere o di tristezza”, “andare in estasi, essere incantato, turbato, agitato, scosso”.
Dal vivo i suoi spettatori entravano subito in sintonia con lei, con le sue modulazioni che dilatavano il senso dei versi che cantava. Gli applausi a scena aperta, le urla, la gente che si alzava in piedi alla fine d’ogni singola variazione; e lei che appena ha finito un’improvvisazione particolarmente bella e audace si ritira di un passo e abbassa gli occhi, sorridendo imbarazzata e fiera della propria ebbrezza. Impossibile resisterle: la sua gestualità ieratica era come se contenesse l’estasi che ne possedeva il corpo, trasformandolo in uno strumento di connessione emotiva formidabile.
Come i dervishi dell’Alto Egitto, quando la trance della dhike è sul punto di iniziare, l’estasi della “saltana” l’afferrava. Allora lei si lasciava andare al canto: un innamorato che si lancia nel vuoto.
III
Sembra quasi che Umm Kulthum, sin da bambina, fosse stata fedele solo alla sua Voce, così come si è devoti al cuore dell’Amato. “L’unica strada è un perpetuo stato d’ebbrezza” aveva scritto il poeta sufi Omar Khayyam otto secoli prima.
Umm inizia a esibirsi nei villaggi del Delta prima salmodiando il Corano, poi cantando canzoni a tema religioso durante le celebrazioni e le feste, in uno stile contadino che prevede solo l’accompagnamento a due voci: quelle del padre e del fratello. La sua giovane età, la potenza e la bellezza dell’incanto che riesce a creare - per prima su se stessa – la fanno subito diventare l’attrazione del piccolo coro. Ma per il Corano il canto è stato sempre un’attività sconveniente, soprattutto per le donne: la ragazza può diventare motivo di disonore per il padre, sceicco del villaggio natale (1).
Appena Umm raggiunge la pubertà, il capofamiglia le impone di travestirsi da ragazzo pur di continuare a cantare in pubblico, garantendo così quella fonte di reddito che veniva dagli incassi degli spettacoli. La sua voce, le sue qualità interpretative – l’estasi che la possedeva - travolgono chiunque la ascolti: musicisti cairoti venuti per sentirla la invitano a trasferirsi nella capitale. La città in quegli anni è il centro culturale, artistico di buona parte del mondo arabo.
Nel 1923, poco più che ventenne e dopo anni di lotte, Umm riesce finalmente a imporre alla sua famiglia il trasferimento al Cairo. Quando la cantante arriva in città, il suo repertorio consiste in larga parte di canzoni basate su un genere, allora considerato campagnolo e desueto, che non le permette di raggiungere subito il successo sperato: altre mode popolano la capitale in quegli anni. La ragazza capisce che per potersi affermare ha bisogno di un repertorio nuovo, di crearsi uno stile. In appena tre anni dal suo arrivo nella capitale la cantante è in grado di sostituire il padre e il fratello con professionisti, si circonda di compositori e poeti che scrivono per lei, è accolta nei salotti dei potenti, riesce a entrare a corte dei re Fuad e Farouk. La piccola contadina del Delta è diventata Umm Kulthum, la Diva.“La Voce del Cairo”, inaugurata nel 1934 dalla stessa cantante, è in quegli anni l’unica radio di lingua araba che si può ascoltare dal Golfo all’Oceano: grazie a questa caratteristica, diventa subito uno strumento per l’unificazione culturale del mondo arabo. Da allora e quasi ininterrottamente fino agli inizi degli anni Settanta, il concerto di Kulthum, trasmesso alla radio ogni primo giovedì del mese, sarà un evento sempre più imperdibile per milioni di persone. Quelle sere tutti si fermeranno ad ascoltarla: in quel momento lei, donna senza figli, sarà come la madre –Umm, in arabo- di ognuno.
Con Nasser, che dopo aver conquistato il potere nel 1952, la trasformerà in “Voce degli Arabi”, la radio e la voce della Kulthum diverranno importante mezzo di promozione del regime dei colonnelli. Centoventi milioni di persone attaccate alla radio, disposte a fermare ogni gesto quotidiano per godere dell’incanto della voce di Umm. E a seguire i discorsi del Colonnello.
La cantante girerà sei film tra gli anni Trenta e Quaranta, incidendo dischi sempre più venduti e tenendo concerti in tutti i paesi arabi. Userà i media in modo sempre consapevole, tenendoli lontano dalla propria vita privata. Le sue interviste, le stesse foto pubblicitarie, saranno tutte improntate a ricordare le proprie origini; lei sarà sempre attenta a presentarsi con la semplicità di chi sa da dove viene e con l’orgoglio di chi è diventato ciò che è, di là dal fango in cui si nasce.
Umm canterà l’indipendenza, inni patriottici e versi di poeti innamorati; salmodierà il Corano, si legherà alla famiglia reale ed esalterà la rivoluzione dei colonnelli; canterà la diga di Assuan, i fedayn e il canale di Suez. Promuovendo l’idea di panarabismo tanta diffusa nei sogni di quegli anni e diventando così la vera ambasciatrice di una nazione inesistente. Il suo canto funzionerà da legame emotivo tra il potere e il popolo, i milioni di contadini e poveri che la ameranno: la sua voce diventerà la Patria degli arabi. “Tawhid”: “Unire”, questa era stata l’ossessione di Nasser. Il canto di Umm l’aveva fatto come nessun altro. A chi la accuserà di essere diventata strumento di propaganda, lei ribatterà sostenendo sempre e comunque di essere rimasta fedele soltanto alla sua Voce.
Tuttora il disco più venduto da Casablanca a Baghdad, Inta Omri, è suo; tuttora alle dieci di sera di ogni primo giovedì del mese, la radio egiziana trasmette la sua musica; tuttora il suo canto risuona in uno spazio geografico che va dal Golfo all’Oceano. Tuttora il suo nome accende il cuore di chi la ascolta.
IV
Quando Umm Kulthum morì, fu come se fosse morta una Piramide: la quarta, quella che non esiste, la più importante.
Quel giorno di febbraio sul Cairo c’era come un cielo nero d’uccelli rapaci, solcato dalle sirene delle auto della polizia. Re, emiri, colonnelli, capi di governo arrivavano con le loro auto di rappresentanza; attorno a loro guardaspalle, militari, occhiali scuri che nascondevano sguardi di ghiaccio. Iniziava il rito delle strette di mano, degli abbracci, delle dichiarazioni di amicizia, della ponderata riflessione, delle coltellate dietro la schiena. E attorno tamburi funebri di bande militari e autoblindo del regime. Trasformandone i funerali in esequie di stato, il potere s’impossessava ancora una volta del corpo e della voce della Diva. Ma la fiumana umana che per tre ore strappò dai portatori ufficiali il corpo di Umm Kulthum fu come una piena che, rompendo ogni argine, tutto travolge e trascina con sé fino al delta e ai suoi villaggi di contadini; e dopo l’estasi del mare.
(1) Nella cultura islamica, un noto hadith, (detto del Profeta) spesso citato per screditare le cantanti, è sawt al mar'a 'awra “la voce della donna è una cosa vergognosa”. Rogo che fa il paio con mulier taceat in ecclesia "la donna taccia in chiesa" (San Paolo, I lettera ai Corinzi, 14, 34), cristiano hadith del persecutore di Tarso.
Canzoni in forma lunga (discografia selezionata) | |
Hayart Qalby(Sono Cairo, 1961) | |
Enta Omry(Sono Cairo, 1964) | |
Seret El Hob (Sono Cairo, 1964) | |
Amal Hayaty (Sono Cairo, 1965) | |
Ba'eed Anak (Sono Cairo, 1965) | |
El Atlal(Sono Cairo, 1966) | |
Fakarouny (Sono Cairo, 1966) | |
Fat El Ma'ad (Sono Cairo, 1967) | |
Alf Leila We Leila (Sono Cairo, 1969) | |
Ya Msaharny (Sono Cairo, 1972) | |
Antologie (discografia selezionata) | |
Retrospective (Artists Arabes Associes) | |
Oum Kaltsoum (1930-1931) (Club du Disque Arabe, 1990) | |
Ana Fe Entezarak (Sidi, 1994) | |
La Diva (Emi Arabia, 1998) | |
La Diva II (Emi Arabia, 1998) | |
La Diva III (Emi Arabia, 1998) | |
La Diva IV (Emi Arabia, 1998) | |
La Diva V (Emi Arabia, 1998) | |
The Classics (Emi Arabia, 2001) |
Sito non ufficiale | |
VIDEO | |
Nazra (live, dal Dvd "Umm Kulthum: A Voice Like Egypt") | |
Inta Omri (live) | |
El Atlal 1 (live all'Olympia di Parigi, 1967) | |
El Atlal 2 (live all'Olympia di Parigi, 1967) | |
I funerali al Cairo 1 | |
I funerali al Cairo 2 |