Nujabes

Nujabes - Il kami del jazz-rap

In un Giappone dove l’hip-hop era principalmente una moda, jazz e world music si unirono efficacemente al beatmaking che Nujabes era in grado di realizzare con un semplice mixer. Più che una carriera, una storia ascetica di abbattimento di barriere culturali, purtroppo senza lieto fine

di Gabriele Senatore

Doveva apparire come la Detroit degli anni 80, quel piccolo distretto di Minato-ku (municipalità di Tokyo) che trent’anni fa era in pieno sviluppo industriale. La capitale nipponica era ormai satura di edifici e i colossi dell’industria (sia tecnologica che culturale) necessitavano di nuovi spazi per le loro torri di ghiaccio: Honda, Mitsubishi, TV Tokyo, ma anche Pokémon Company, Yahoo! Japan, Apple, in meno di una decade eressero i loro templi su di un quartiere un tempo periferico e lontano dal caos metropolitano. Proprio nel quartiere Nishi-Azabu, tra un tempio buddhista, svariate palazzine di uffici e uno stormo di night-club noti per esibizioni jazz di buon livello, crebbe un piccolo enfant prodige dell’hip-hop giapponese: Seba Jun; invertendo l’ordine delle lettere, Nujabes.

C'era una volta un negozio di dischi...

Prima ancora che la nostalgia fosse una strategia di mercato, per Seba il sentimento di amore per il passato era la tonalità emotiva che dirigeva la sua vita. Lui non era un teppistello con tuta acetata e motoretta animato dalla passione per le liceali in gonnella; piuttosto, ad oggi lo si definirebbe un nerd, un geek: un teenager che, in piena esplosione della edulcorata cultura glam nipponica, preferiva rinchiudersi in casa con i vecchi vinili di Pharoah Sanders, Miles Davis e John Coltrane. Uno stuolo di ascolti jazz, world e soul accendevano l’amore di questo ventenne paffutello dagli occhi affilati. “I started making tracks because I wanted to hear music that sampled the old soul and jazz I liked”, ammetterà in un’intervista, svelando che il beatmaking venne dopo, l’hip-hop fu una conseguenza, una piccola scoperta di un giovane Nujabes che smanettava con mixer e vinili, proprio come un Afrika Bambaataa del 1980. La primissima attività di Seba ancora ventunenne fu il negozio Guinness Records, una rivendita di dischi di sua proprietà: un’angusta grotta urbana convertita a galleria delle rarità raccolte fin a quel momento (ad oggi visibile solo in qualche vecchia testimonianza video). La sua attività commerciale si rivelò presto un successo. Il luogo divenne il punto di ritrovo per appassionati di musica di ogni specie, benché la maggior parte degli avventori cercasse un solo genere di cui tutti parlavano nel Giappone della seconda metà degli anni Novanta: l’hip-hop. I prezzi competitivi del corner shop e la sempre più acclamata abilità di Nujabes nel realizzare mixtape lo resero ben presto un personaggio di culto dell’underground edochiano.

Tuttavia, a monte di un’analisi più specifica della carriera di Nujabes, occorre precisare che l’hip-hop in Giappone giunse innanzitutto come trend estetico (come fu precedentemente per il rock), diffondendosi nella seconda metà degli anni 80 grazie allo streetwear importato dal marchio di Hiroshi Fujiwara e al celebre docu-film “Wild Style”. La musica venne dopo, quasi a una decade di distanza da questa prima ondata modaiola. Il motivo appare abbastanza evidente: la lingua giapponese non era facilmente adoperabile nel flow. Per semplicità, a spuntarla fu il rap in lingua anglofona (ammettendo qualche bilinguismo); scelta che finì per importare nel neo-nato movimento marcate influenze dall’hip-hop late 80s dell’East Coast. Gli antesignani del genere nelle metropoli giapponesi furono inizialmente riproduzioni con lo stampino dei Public Enemy e Beastie Boys, seppur con qualche eccezione. Solo negli anni Duemila, un collettivo già celebre come i King Giddra cominciò ad attingere agli A Tribe Called Quest, assimilando nelle sonorità qualche influenza jazz-rap; discorso a parte riguarda le tematiche, che restarono per tutti gli anni Novanta inchiodate sull’edonismo della old school. L’antro di Nujabes, invece, si teneva lontano da questo ambiente di emuli; piuttosto che imitare, preferiva mescolare le influenze d’oltreoceano, sperimentare, dunque innovare.

Nel 1998 giunse il momento di svolta nella vita di Seba: fondò la Hyde Out Productions. L’idea era un classico: una piccola etichetta per promuovere amici, colleghi e talenti di strada dell’hip-hop, oltre che uno spazio di lavoro nel quale realizzare mix a tempo pieno. Il risultato, invece, non fu prevedibile. L’occhio attento del producer giunse fino agli States, dove scoprì e distribuì il debutto di Substantial “To This Union A Sun Was Born” e strinse una duratura collaborazione con Jon Marshall, alias Fat Jon. Nujabes, non solo non era più un illustre sconosciuto oltreoceano, ma a renderlo celebre erano anche i brani da lui stesso realizzati in collaborazioni con i suoi artisti. I primi successi conosciuti (entro una nicchia ancora ristretta) furono “Ain’t No Mystery” con L Universe e “People Don’t Stray” con Funky DL; entrambi pezzi hip-hop dal suono un po’ datato per il 1999, ma accompagnati da un beat già caratteristico del producer, con tanto di loop di piano, sax e fruscio di fondo da vinile conditi da abbondanti scratch.

Benedicendo il jazz

Tra produzioni, distribuzioni e collaborazioni, il 2003 fu l’anno di Metaphorical Music, il primo disco in studio firmato Nujabes dall’inizio alla fine. Il sound di Q-Tip e colleghi (quello di “The Low End Theory” su tutto) era stato totalmente assorbito dal dj nipponico, il lato rap del disco viene portato avanti con vigore dagli amici storici di Seba, mentre il beatmaking è un charleston sulla labile linea di confine tra jazz e hip-hop strumentale. Apre il disco “Blessing It”: un virtuosistico accavallarsi di sample, tra cui due estratti della “Save Our Children” di Pharoah Sanders, su cui i flow di Substantial e Pase Rock si scambiano rapide battute sul rap come fosse un credo religioso. Spezza l’iniziale atmosfera gospel, il contrabbasso di “Horn In The Middle”, che trasforma la “Joshua” di Miles Davis in una falcata techno à-la Propellerheads. Con “Lady Brown” e “Highs 2 Lows” lo spirito di Nujabes vola in sfere celesti più world, campionando Luiz Bonfà con il rapping di Cise Starr (altro outsider dell’hip-hop canonico che vanta anche una collaborazione con Four Tet). “Kumomi” è un minuto ritratto strumentale che unisce suoni jazzy a un piano dall’accento orientale: sembra una scena de “La Banda di Asakusa” di Kawabata, la percezione che potrebbe aver avuto un giapponese della musica nera negli anni 30.
“Beats Laments The World” è con tutta probabilità il capolavoro di Nujabes; una piccola Gioconda strumentale dipinta con sample di Kip Hanrahan, emblema dello stile ambientale di beatmaking del produttore di Tokyo. Segue, sullo stesso livello, il dramma tutto orientale di “Letter From Yokosuka”: una rappresentazione kabuki recitata da fiati e piano. E nel frattempo che Substantial e Shing02 fanno acrobazie in versi per seguire gli assurdi cambi di ritmo di “Think Different” e “F.I.L.O.” (quest’ultima costruita su di un giro di chitarra acustica di Toquinho, alternato a incursioni schizofreniche di scratch), “Next View” sfiora lo sperimentalismo con un trip-hop (sulla falsa riga del primo DJ Shadow) dai toni noir. Chiude una tripletta micidiale per qualsiasi stress. “Summer Gypsy”, “The Final View” e “Peaceland” disegnano le bianche spiagge di Okinawa con lunghe e distese note di sax su ritmi chill.

C’erano volte in cui parlavamo per ore di una canzone su cui lavorare prima di registrarla effettivamente
("Substantial")

Un dj al tempo dei samurai

In meno di un anno, l’esordio da solista del producer nipponico giunse all’orecchio di un’anima affine: Shinichiro Watanabe, regista e produttore di anime (prodotti d’animazione giapponesi) acclamato dalla critica per la sua capacità di realizzare storie a cavallo tra immaginario occidentale e orientale. La prima opera celebre di Watanabe è nota come “Cowboy Bepop”: una serie dagli elementi western e noir sostenuta da una colonna sonora jazz e blues, sorprendentemente ambientata in un futuro sci-fi tra astronavi, razze aliene e pistole laser. Il miscuglio si rivelò vincente e ben orchestrato dal regista, anch’egli in preda al sentimento nostalgico per l’America in scala di grigi del post-New Deal; la colonna sonora fusion della compositrice Yoko Anno fu un successo.
L’operazione andava replicata, ma stavolta Watanabe scelse Nujabes. Nel 2004 il regista si presentò con un nuovo anime autoconclusivo realizzato con uno stile estremamente raffinato: “Samurai Champloo”. La trama, semplice e transculturale, ruotava attorno a due spadaccini dal passato turbolento che accompagnano una giovane donna attraverso il Giappone dell’epoca Edo in cerca di un misterioso “Samurai che odora di girasoli” (un ironico paradosso dal momento che il fiore è tipicamente occidentale). La Terra del Sol Levante di “Samurai Champloo” è tuttavia una libera interpretazione storica, capace di unire personaggi e storie reali del periodo Edo, quali Miyamoto Musashi o la rivolta di Shimabara, a svariate revisioni stilistiche ammiccanti alla cultura hip-hop, come artisti di ukiyo-e che fanno graffiti e perdigiorno che si dilettano con il beatboxing. L’universo immaginario ideato da Watanabe divenne il terreno adatto alla fioritura dell’hip-hop strumentale di Seba e di altri suoi colleghi. La colonna sonora alla serie fu distribuita in quattro dischi: “Masta” e “Playlist” firmati da Dj Tsutchie, con connotazione spiccatamente rap; “Departure” e “Impression” realizzati da Nujabes e Fat Jon, dal tono ambientale e chill.

Departure è certamente un gradino sopra gli altri dischi della soundtrack. La sola traccia di apertura, corrispondente all’opening theme dell’anime, evidenzia un’ulteriore crescita dello stile di Nujabes: “Battlecry” è una piccola sinfonia postmoderna, in cui un flow quasi parlato di Shing02 racconta in gergo contemporaneo l’etica samurai su divagazioni free jazz remixate. Il resto dell’album è composto da brevi composizioni strumentali (quasi sempre sotto i quattro minuti), le quali non fanno altro che sguinzagliare la creatività di Seba, non più incatenato al rapper di turno. Le calde note della chitarra di Laurindo Almeida costruiscono l’ossatura di “Aruarian Dance”; il pianoforte di Ahmad Jamal viene velocizzato su ritmi da saloon in “Kajaku”; “1st Samurai” è un jazz dal sound subacqueo e ovattato. La parte conclusiva del disco rappresenta un Nujabes ormai fuori dai binari dell’hip-hop, che corre su generi di elettronica più ambientali. Ne sono un esempio il trip hop bristoliano di “624 part.1 & 2” e “Chambers”, che accoglie persino echi distorti dai primi Autechre.

Some days, some nights
Some live, some die
In the way of the samurai"
("Battlecry")

Il seguito di “Departure” vede una presenza più eterogenea. Impression si compone sostanzialmente di tre sezioni: la prima parte ad opera del duo Force Of Nature, a metà tra rap old school e passaggi techno-dance, la seconda parte firmata Nujabes, atta ad espandere le atmosfere del precedente album, la terza parte di Fat Jon propendente verso territori più techno-ambient.
Malgrado emerga una lieve incoerenza tra i toni dei tre artisti, è evidente lo sforzo nel volersi adattare l'un l'altro, ed è così che nascono le cavalcate di percussioni e contrabbasso di “Nightshift” e “The Million Way Of Drum” dei Force Of Nature (in linea con gli strumenti campionati solitamente da Nujabes), la mini-suite fusion “World Without Words”, con largo uso di tastiere, e l’hip-hop strumentale con accompagnamenti di flauto che Fat Jon mette su con “Right Out”. Chiude l’r&b di Minmi (nota voce femminile nipponica), sempre accompagnata dal nostro Seba, a siglare un disco dal sapore antico ma dal ritmo moderno.

Uno spirito leggero come una piuma

L’esperienza eclettica permessa dalla colonna sonora di “Samurai Champloo” costituì per Nujabes il laboratorio dove sperimentare gli ingredienti per il suo nuovo lavoro in studio: Modal Soul. Alla base del titolo un gioco di parole con il concetto di musica modale, che finisce per porre l’anima come centro tonale delle mille variazioni del sentire umano, attraverso cui Seba si fa Caronte per poco più di un’ora di album. Stavolta, il dj parte da una maggiore convinzione nei propri intenti rispetto a “Metaphorical Music”; adesso è consapevole di poter gestire un impianto sonoro di campionamenti esclusivamente jazz e soul, eliminando ogni fronzolo, dove il rapping è accuratamente selezionato e il verso non è mai casuale.
La spiritualità insita nella poetica sonora di Nujabes sposa le rime degli Mc coinvolti nel progetto (ben sei a questo giro). “Feather”, ovvero l’ingresso di “Modal Soul”, è pavimentato dal piano a coda di Yusef Lateef, il cui sample accoglie il flow di Cise Starr (di nuovo al fianco di Seba). Il verso è profondo e finisce per somigliare a un flusso di haiku quando il refrain incede: “Drifting away like a feather in air/ Letting my words take me away from the hurt and despair”; mentre in una sola strofa Starr riesce persino a giocare con Steinbeck e Keyes: “The rules of paradise are never nice/ The best laid plans of Mice and Men are never right/ I'm just a Vagabond with Flowers for Algernon”.
Al pari di “Feather”, “Luv(sic) Part 3” compone un soffice affresco anacronistico, dove una scratchata Nana Caymmi introduce il rap riflessivo di Shing02. L’Mc si dimostra all’altezza del suo producer strutturando il testo in una stanza di specchi, dove la seconda strofa è il riflesso della prima e la terza una distorsione delle precedenti. Restano, invece, leggermente sottotono il rap/gospel con Pase Rock di “The Sign” e l’hip-hop canonico di “Eclipse” (dai testi comunque sopra le righe). I punti di forza di Nujabes rimangono le ibridazioni di downtempo e jazz: “Ordinary Joe” coinvolge Terry Callier in persona (nei suoi toni più soul); “Reflection Eternal” trasforma un passaggio della compositrice Noriko Kose in un jazz al chiaro di luna; “World’s End Rhapsody” attinge anche al funk 70's.
I sample della seconda metà del disco rivelano un Nujabes a proprio agio con l’intero cosmo della musica nera, che non si limita più ai classici del jazz, bensì è intenzionato a creare il proprio cool jazz mixando gli elementi alla base di soul, r&b ed etno senza remore alcuna. Il risultato è la firma in calce al disco: “Horizon”, suite strumentale di piano, beat, synth e fiati.

Nonostante il successo in patria e fuori, Nujabes continuava a trattare la propria musica originale come un hobby. Si considerava un producer a tutto tondo e il suo interesse primario restava la Hyde Out Productions. Difatti, gli anni successivi a “Modal Soul” furono orientati ai talenti di casa: il debutto di Emancipator, il primo album da solista del compositore Uyama Hiroto, oltre che diverse compilation in collaborazione con gli artisti dell’etichetta. Lo spirito schivo e intimista di Seba lo spinse a una vita quasi ascetica, che trascorreva principalmente tra la sua dimora costiera nel villaggio di Kamakura (cittadina a quasi cento chilometri dalla capitale) e gli studi di registrazione.
Una notte, però, la metropoli da cui fuggiva ogni giorno lo prese per sempre. Nel 2010, in una tarda sera di febbraio, Nujabes perse la vita in un incidente stradale lungo la Shuto Expressway (la rete autostradale che collega l’areale di Tokyo); aveva da poco compiuto 36 anni. Lo sgomento fu forte e gli innumerevoli amici e colleghi sparsi per il globo fecero il possibile per rendergli omaggio.

Un testamento illegittimo

Al di là delle due raccolte di tributi che a distanza di un anno dalla scomparsa furono pubblicate, la vera conclusione del lavoro di Nujabes è considerata Spiritual State, terzo disco in studio composto da tutto il materiale inedito che il producer aveva lasciato incompiuto o in stand-by. L’album postumo uscito nel 2011 è purtroppo solo un’ombra di ciò che furono i suoi predecessori discografici, forse per mancanza del taglio critico del suo autore originale oppure per l’impeto dell’etichetta di creare un finale a una storia finita troppo presto. Le collaborazioni inedite con l’amico Uyama Hiroto svettano per l'accuratezza jazzistica che solo due esperti potrebbero infondere: “Spiritual State”, “Gone Are The Days” e “Island” – pur rappresentando dei paesaggi tra breakbeat e chillout – posseggono una vena malinconica profonda come i drammi dei biwa hōshi (cantori con liuto della tradizione nipponica). Gli sporadici momenti rap si mantengono in sordina, eccezion fatta per il suono apocalittico di “Sky Tumbling” con Cise Starr, in cui scariche di pianoforte e sax si alternano al flow intermittente del rapper americano, con tanto di coda trip-hop.
Tra i brani del solo Nujabes, invece, “Far Fowls” sembra una graditissima outsider: uno spartito su cui, al beatmaking e a un sample di chitarra acustica, si aggiungono gradualmente archi e flauto, portando alla luce quel tocco di orientalismo che Seba ha sempre evitato di sottolineare nelle sue produzioni.

One day, Nujabes emailed me about wanting to collaborate for a 12" single. I had no idea who he was or where he came from, I was actually surprised to find out that he was a Japanese guy named Jun Seba, diminutive and shy. When we met up in Tokyo, we listen to beats in his minivan. I was impressed by his simple yet soulful layering of samples and chopped drums".
(Shing02)

A un quinquennio dal tragico incidente, Shing02 proporrà Luv(sic) Hexalogy, raccolta ipotetica delle sei parti del progetto Luv(sic) che Seba e il rapper stavano portando avanti prima del 2010. Altre mani sono state costrette a manipolare le linee strumentali tracciate da Nujabes per completare l’opera; eppure, passando in rapida rassegna la suite jazz-rap, salta all’orecchio un viaggio sonoro sostenuto dai versi di Shing02, che accompagna l’ascoltatore dallo sfondo lo-fi di jazz campionato in “Part 1” fino alla distesa ambient e sintetica di “Grand Finale”.
Delle mille parole spendibili per chiudere questa monografia che purtroppo non proseguirà mai, si potrebbe parlare dell’influenza di Nujabes sull’elettronica contemporanea, sull’hip-hop, sul downtempo e sul trip-hop, ma l’immagine più rispettosa è fornita da un ossimoro visivo: Nujabes sempre immortalato chino sulla console con lo sguardo rivolto ai piatti e la frase con cui Shing02 commentò la sua scomparsa “Nujabes has touched so many people around the world”.
A volte non serve nemmeno alzare gli occhi per farsi sentire.

Through his soulful music, Nujabes has touched so many people around the world, even beyond his dreams.
(Shing02)

Nujabes

Discografia

NUJABES

Metaphorical Music (Hyde Out, 2003)

8

Departure (O.S.T., Victor, 2004)

7,5

Impression (O.S.T., Victor, 2004)

6,5

Modal Soul (Hyde Out, 2005)

7

Spritual State (Hyde Out, 2011)

6,5

NUJABES E SHING02
Luv(sic) Hexalogy (Hyde Out, 2015)
Pietra miliare
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