Goumar Almoctar, in arte Bombino, è il musicista tuareg più celebrato al mondo. Dopo il successo internazionale raggiunto nel 2013 con il meraviglioso “Nomad”, Almoctar ha suonato praticamente ovunque, diffondendo quel miracoloso equilibrio tra musica tradizionale del Niger, blues, psichedelia, folk e fingerpicking. Una migrazione artistica conclusasi con il ritorno tra le braccia di Mamma Africa, suggellato nel nuovo disco, “Deran”, mediante la scelta di adottare integralmente la lingua madre, il Tamasheq, e di registrare tutto nello studio del re marocchino Mohammed VI, a Casablanca. Un lavoro ricco di riferimenti personali e rimandi ai costumi tradizionali tuareg. Ma soprattutto un’opera in cui è la malinconia a fungere da collante tra un ricordo e l’altro, e sentiti incroci del destino. Lo abbiamo raggiunto durante il suo ultimo tour, per farci raccontare le innumerevoli esperienze vissute da “musicista nomade” in giro per il globo. E anche per conoscere meglio la sua opinione su quello che sta accadendo oggi alla sua gente, e alla sua amata terra.
Hai registrato "Deran" nello studio del re marocchino Mohammed VI, a Casablanca. Come ti sei trovato? E perché proprio lì?
Durante le registrazioni di “Azel” negli Stati Uniti volevo tornare indietro, così ho deciso di registrare “Deran” integralmente in Africa. Dopo aver esaminato diversi paesi, abbiamo scoperto che il Marocco era un buon punto di incontro per tutti noi. Così, abbiamo chiesto dei consigli a un amico che vive e lavora lì, come promotore e produttore di concerti, e ha suggerito lo Studio HIBA. Siamo molto grati per questa raccomandazione in quanto lo studio è davvero di classe mondiale, fantastico in ogni modo.
“Tehigren” significa “alberi” e il passaggio “Non dimenticare gli alberi verdi/ Nelle nostre valli del Sahara/ All'ombra dei quali riposano le ragazze belle, radiose e adorabili” è un chiaro riferimento alla tua vita, visto che sei nato proprio sotto un albero di acacia a circa ottanta chilometri a nord-ovest dell'antica città di Agadez. Spesso hai dichiarato di aver sentito il bisogno di riavvicinarti all’Africa, alla tua terra. C’è stato un tuo allontanamento negli ultimi anni, o è soltanto un’innata malinconia?
Ogni anno che trascorro per lo più al di fuori del Niger, al di fuori dell'Africa, sento un po' di distacco a cui voglio resistere. Voglio sempre fare il giro del mondo e suonare tanti concerti in quante più città possibili, ma allo stesso tempo non voglio perdere la connessione con la mia casa. Penso che sia la lotta di tutti i musicisti, ma soprattutto dei tuareg, che sono profondamente legati al deserto e a determinati stili di vita.
Nella tua formazione odierna, ci sono Illias Mohammed alla chitarra e alla voce, l'americano Corey Wilhelm alla batteria e alle percussioni e il mauritano (che vive in Belgio) Youba Dia al basso. La tua cerchia è stata inoltre ampliata dal percussionista marocchino Hassan Krifa, e dai tuoi cugini Anana ag Haroun e Toulou Kiki. E come tu stesso scrivi, negli ultimi mesi avete dormito, mangiato e fatto musica in beato isolamento. In che modo scegli i componenti della tua band? Quali sono gli elementi che più ti affascinano in un musicista e che ti portano a selezionarlo?
I diversi ragazzi della band entrarono nel gruppo in modi molto diversi tra loro. Illias è come un fratello o un cugino, lo conosco da una vita, e anche i suoi fratelli. Corey è stato introdotto nella band da uno dei nostri primi tour manager che ci ha consigliato di provarlo. Sin dall'inizio, il rapporto tra Corey e me, musicalmente parlando, ma anche personalmente, è stato molto forte e positivo. Dia è entrato nella band perché avevamo bisogno di un vero bassista professionista che comprendesse anche la musica dei tuareg. Stava suonando con mio cugino Anana a Bruxelles nel gruppo Kel Assouf. Lo abbiamo conosciuto lì e poi ha iniziato a suonare con noi. Ora noi quattro siamo come una famiglia, anche se quando non siamo in tour viviamo in tre diversi continenti.
Il popolo tuareg è in continua lotta ed è stato tristemente abbandonato dal mondo occidentale, sempre più globalizzato e spietato. Il Niger è una terra ricchissima di materie prime (oro, petrolio, uranio etc.) e ultimamente ci sono stati anche dei nuovi addestramenti militari da parte della coalizione occidentale, ufficialmente atti a reprimere una guerra infinita. Come ti poni davanti a tutta questa violenza, e a questo continuo immischiarsi da parte delle nazioni più ricche in faccende straniere? Secondo te, questa “solidarietà” nasconde qualcosa?
Non penso sia giusto dire che i tuareg sono stati abbandonati dal mondo occidentale. Tanto per cominciare non siamo mai stati abbracciati dal mondo occidentale. Ovviamente, l'Occidente è interessato alle risorse del Niger. Non credo che qualcuno possa dire il contrario. Non vediamo nessuno che rivendichi la "solidarietà" con i Tuareg o anche con il Niger, ma solo persone interessate a far avanzare i loro interessi. Questa è solo politica.
Riunire le persone sembra essere uno dei tuoi doni naturali. In Europa, Nord America, Giappone, Cina, Australia, anche di recente, Argentina e Cile, la tua musica ha raccolto culture diverse, affascinate dal tuo meraviglioso sound e dal tuo messaggio di pace e armonia universale. Qual è stata l’esperienza che ti ha più segnato, suonando in giro per il mondo?
Ho avuto dozzine, forse centinaia di esperienze davvero notevoli e indimenticabili. Ho suonato in tutto il mondo. Amo suonare in Algeria, in Marocco, ma anche in Italia e Portogallo, negli Stati Uniti e in Australia, Giappone e Corea. Mi sono esibito anche in Siberia. E’ stato il viaggio più lungo, per certi versi mi è parso ancora più lungo di quello per raggiungere Australia. I siberiani hanno apprezzato molto il fatto di essere arrivati così lontano per suonare soltanto per loro. E’ stato un momento molto speciale per me. Pensa: un africano tuareg che ha suonato fino in Siberia. Incredibile.
Nonostante sia stato costretto a lasciare la tua casa in esilio più volte, a causa di ribellioni nella tua regione natale, è nato lentamente lo status di leggenda tra i Tuareg, che ti vedono come uno dei musicisti più ricercati e abili della zona. Che significato ha la musica per i tuareg, per la tua gente? Qual è il messaggio a voi più caro ma che gli altri popoli ancora non hanno compreso?
La musica è una parte molto importante dell'essere tuareg, dell'identità tuareg. Ascoltare la musica tradizionale dei tuareg e imparare le canzoni per noi è come andare a scuola. La nostra storia e la nostra cultura sono preservate attraverso la nostra musica. È anche il modo in cui ci divertiamo ai matrimoni e alle cerimonie per i bambini, e in tutti gli eventi formali. Se il popolo dei tuareg fosse solo un corpo, la musica sarebbe il sangue che fluisce attraverso di esso e gli dà movimento e vita.
Anche in questo disco il blues del Delta si fonde magicamente con i ritmi viscerali della tua terra. Il cosiddetto tuareg blues ormai spopola anche qui da noi. Band come Tamikrest e Tinariwen sono ormai molto famose. Quali sono i musicisti ancora sconosciuti che ti senti di segnalarci?
Un musicista del Niger che amo e che non ottiene abbastanza riconoscimento al di fuori del Sahel è Abdallah Oumbadougou. Suono molte delle sue canzoni nel mio repertorio. È un grande maestro della musica tuareg, ma sfortunatamente non è mai diventato famoso in Occidente.
Com’è nata “Midiwan (My Friends)” e qual è il suo messaggio?
"Midiwan" è una canzone dedicata ai miei amici a casa, significa semplicemente "la mia gente" o "i miei amici". È solo una canzone per dire che mi mancano, che faccio affidamento su di loro, che anche se sono molto lontano per la maggior parte del tempo, sto anche pensando a loro.
Nel disco avverto una profonda venerazione per la terra, per le tradizioni popolari che vanno scomparendo, colpite al cuore da una globalizzazione intollerante e letale. Alcuni intellettuali e filosofi contemporanei affermano che “il futuro è in realtà dietro di noi”, e che quindi bisogna guardare indietro e non più avanti come stiamo ormai facendo da decenni. Come ti approcci alla tecnologia, e al consumismo in generale?
Adoro la tecnologia, come del resto tutti in Occidente. Ho il mio telefono dove controllo Facebook e utilizzo Whatsapp e così via. È diventato una parte importante della mia vita mentre sono in movimento. Quando sono a casa, non uso quasi mai la tecnologia in questo modo. Lo stile di vita è diverso lì, e sto cercando di passare più tempo che posso con mia moglie, le mie figlie, la mia famiglia e gli amici. Penso che tutto ciò che consumiamo con la tecnologia sia allo stesso tempo buono e cattivo. Se usato troppo, è cattivo, se usato con moderazione, può essere molto buono. È un modo meraviglioso per fare nuove amicizie, parlare con i miei fan e incontrarne nuovi. Quindi, non credo che la tecnologia sia "cattiva", anche se spesso non porta a buone cose.
Sei stato tante volte in Italia. Ti piace il nostro paese? Cosa preferisci degli italiani e cosa invece non adori?
Sì, negli ultimi cinque anni sono stato molte volte in Italia. È diventato uno dei miei posti preferiti dove andare. Amo le persone che vengono ai concerti, sono sempre pieni di amore ed energia. Amo anche il cibo, certo, ma le persone sono ciò che mi fa realmente sorridere e stare bene quando penso all'Italia.
Come hai preparato il tuo prossimo live, cosa dobbiamo aspettarci?
Aspettatevi una grande festa.
Agadez (Cumbancha, 2011) | ||
Nomad(Nonesuch, 2013) | 8 | |
Azel (Partisan, 2016) | 7,5 | |
Deran (Partisan, 2018) | 7,5 | |
Sahel(Partisan, 2023) | 7 |
Deran Deran | |
Azamane Tiliade |
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