Per essere alla fine di un novembre tedesco, l'aria fredda invece di tagliare la faccia ci dà tregua, quasi ci accarezza. Siamo a Colonia, davanti alla Live Music Hall, un capannone rettangolare semplice, comodo e spazioso. Sembra la cosa più semplice del mondo, pensiamo, eppure di locali così in Italia ne contiamo sulle dita di una mano. Tra qualche ora ci si esibiranno i Deus, dimostrando di essere sul palco ancora una discreta macchina da guerra, nonostante l'aggressività e un certo spirito randagio siano andati persi sia sui solchi di "Vantage Point" che sul recentissimo "Keep You Close".
Entriamo dal retro, dribblando nerboruti tecnici di palco in pausa che ci lanciano sguardi perplessi. Quello è il loro regno, è evidente. E noi, ai loro occhi, solo intimoriti ospiti di passaggio che se ne andranno dopo un'ora. Nel frattempo avremo intervistato Tom Barman, cercando di "misurare la temperatura" al leader maximo di una band che tra vicende alterne e rischi di scioglimento frequenti ha attraversato da protagonista la scena alternative degli ultimi vent'anni. Ci interessa capire come mai, proprio ora che i dEUS sembravano destinati ad essere una "sua" emanazione con degni musicisti ad assecondarne le intuizioni, lui abbia invece fatto un passo indietro parlando di "Keep You Close" come del primo disco dei dEUS composto in maniera realmente collettiva.
Queste ed altre curiosità, però, rimarranno tali. Il tour manager infatti, con l'aria finto contrita ma professionale di chi questo genere di annunci l'ha fatto mille volte, ci dice che Tom proprio non può. Ieri è stata una dura giornata di trasferimento, e adesso sta dormendo. Abbiamo giusto il tempo di depennare metà delle domande dalla lista preparata con cura, quando nella stanzetta in cui ci hanno sistemati entra Stéphane Misseghers. Capello corto, occhiale da informatico, magrezza evidente, è agli antipodi rispetto all'archetipo del batterista rock. Ma appare sveglissimo e con le idee chiare sui "nuovi" dEUS.
Compattezza e intimità sembrano a posteriori le caratteristiche principali di "Keep You Close". È il risultato imprevisto di un lavoro iniziato navigando a vista, oppure è stato un obiettivo specifico che ha guidato le registrazioni?
Stéphane Misseghers: Quello che avevamo in mente era di cambiare l'ambiente, il mood delle canzoni. Perché tutti noi pensiamo che "Vantage Point" suonasse troppo freddo rispetto alle intenzioni. Nonostante qualche buona reazione, soprattutto dall'Italia, un po' dappertutto la reazione a come suonava l'album è stata: "Che cos'è questo?". Per noi era un disco molto scuro, e qui volevamo un suono più leggero, più dinamico e meno compresso. C'è voluto un sacco di tempo, quasi tre anni per scrivere e registrare. E poi altri due mesi per fare il master, perché non riuscivamo a trovare la soluzione giusta. Abbiamo fatto un tentativo con Bob Ludwig, che è un'autorità nel campo, ma benché gli sia piaciuto lo aveva trasformato nel disco di una college rock band americana. L'esatto opposto di quel suono più caldo cui stavamo mirando.
Solo nove tracce… e per certi versi sembra esserci un filo conduttore, quasi si trattasse di un concept.
Eravamo partiti dall'idea di un piccolo universo definito fatto di una dozzina di canzoni. Poi ce ne siamo ritrovate trentacinque! Abbiamo pensato a un doppio album, con la facciata più pop e quella più sperimentale, ma non c'era abbastanza tempo per lavorarci. A quel punto abbiamo registrato una ventina di pezzi, ma siamo scesi a nove perché volevamo un disco che esprimesse un mood ben preciso, piuttosto che una sequenza di canzoni. In questo senso credo che "Keep You Close" sia diverso da ogni altra fatica dei dEUS.
Tom ha detto che mai come ora si sente vicino all'immagine dei dEUS che aveva in mente da anni. Un attestato di umiltà, visto che "Keep You Close" è un disco concepito in maniera autenticamente collettiva e non c'è più solo lui dietro ogni singola idea. Cosa è cambiato?
Se hai a che fare con tre nuove musicisti, le abitudini inevitabilmente cambiano. Abbiamo introdotto un nuovo suo all'interno dell'universo dEUS. Io, per esempio, sono un batterista molto più ritmico del precedente. Il punto è che si è creata una sinergia che ha portato a un nuovo tipo di approccio. Prima Tom avrebbe iniziato una canzone torturando una chitarra, adesso non è più così. Siamo tutti molto creativi, ci piace suonare insieme e non si creano problemi e discussioni. Da quello che so in passato ce n'erano eccome.
Cosa stavate ascoltando ai tempi delle registrazioni?
Non molto. Proprio perché ai tempi di "Vantage Point" gli ascolti avevano finito per influenzare il lavoro, stavolta abbiamo deciso a tavolino di non fissarci con niente! Forse l'unica influenza conscia è stata Max Roach And His Orchestra, in alcuni passaggi di "Dark Sets In".
Due aggettivi per Greg Dulli, che canta in quella canzone.
Ah, Greg è una persona divertentissima, ed è una delle migliori voci rock del suo tempo. Siamo così contenti di averlo avuto nel disco, in una maniera del tutto imprevista tra l'altro. Stavamo per mixare "Dark Sets In" quando Tom si è reso conto di voler aggiungere una voce più aggressiva.
Avevamo da tempo l'idea di ospitare qualcuno nel disco, ma non avevamo trovato la persona giusta cui chiedere. Poi Tom s'imbatte in Greg in un bar di Antwerp, dopo un concerto dei Twilight Singers. Lo saluta e gli chiede: "Perché non passi in studio e ci canti qualcosa?". Lui risponde: "Certo!". Tutti noi pensavamo a uno scherzo, ma il giorno dopo è venuto davvero ed è stato grandioso.
Avete un'audience molto affezionata in Italia, dove venite a suonare spesso. Ricordi qualcosa in particolare?
L'Italia... è un posto bellissimo. Mi ricordo in particolare di una volta a Roma, suonammo in un parco enorme (Villa Ada, ndr), eravamo come circondati da una foresta. E poi vicino Bologna... Ferrara, si! Suonammo nella piazza con il castello, al tramonto, davanti a un sacco di gente. Uno dei posti più belli dell'universo per un concerto!
Parlando del live: quante canzoni preparate per un tour e con che criteri le selezionate, visto il repertorio ormai importante?
Beh, i dEUS sono al sesto disco e quando metti su un live devi stare attento ad accontentare tutti. Abbiamo un bacino di trentacinque, quaranta canzoni, da cui ne tiriamo fuori venti-ventitré. Cambiando se possibile ogni sera, perché non vogliamo diventare una di quelle band che fanno ogni volta lo stesso set. Diventerebbe inquietante, come in quel film... "Ricomincio da capo", in cui il protagonista rivive ogni giorno lo stesso giorno con piccoli particolari differenti. Ultimamente abbiamo qualche difficoltà a mescolare le cose più vecchie con le nuove, perché specialmente i pezzi di "Worst Case Scenario" hanno un mood totalmente diverso da quello che facciamo ora.
I nuovi pezzi sono più scuri ed emozionali, e Tom è andato talmente a fondo a livello personale nei testi che fa quasi fatica a cantare i nuovi pezzi uno dietro l'altro. È quasi come confessarsi ogni sera davanti a duemila persone. Beh, peggio per lui, avrebbe dovuto immaginarlo...
Il tempo di salutare, scattare qualche foto e parlare un po' d'Italia anche con il bassista Alan Gevaert, ed è ora di andare via. I nerboruti tecnici di palco stavolta li vediamo al lavoro. E da una porta spunta anche un ancora assonnato Tom Barman.
Ciao Tom. Piacere lo stesso.