Una cosa che mi ha sempre incuriosito di chi come voi fa musica e, contemporaneamente, la segue con occhio da critico e in maniera trasversale: come si "decide" il tipo di suono? Quanto di studiato e quanto di spontaneo c'è nel processo creativo?
V: Uhm, secondo me la domanda giusta è "quanto c'è di involontario e qual è la quantità di errori". Non siamo musicisti e penso che anche se volessimo stabilire a tavolino ingredienti e dosi, non saremmo tecnicamente in grado di tenere fede all'idea iniziale. In genere quello che chiami "processo creativo" si risolve nel nostro caso in tentativi estenuanti che falliscono miseramente, ma che per qualche motivo ci piacciono. Più o meno.
F: In grossa misura è così, parti da un'idea nebulosa, da una rappresentazione immaginaria vaga e spesso retorica, e poi arrivi a qualcosa che inevitabilmente si allontana dall'idea iniziale. Le intenzioni fanno i conti con i limiti e le capacità personali, il vissuto quotidiano e gli effettivi mezzi che si hanno a disposizione. E' un processo inevitabile che afferma una sorta di impronta stilistica. Bisogna anche dire che la questione del "tipo di suono" ha molto a che fare con valutazioni di natura estetica, culturale. Avere la possibilità e l'interesse di guardare con sguardo critico alla musica sicuramente ha il suo peso, non credo però dipenda dal tipo di professione che svolgi nella vita, ogni individuo sviluppa un personale sguardo critico nei confronti di quello che è di suo interesse.
Come e perché nascono gli Heroin in Tahiti?
V: Francesco voleva suonare i droni, io volevo suonare la roba twang, ci siamo incontrati a mezza strada e quello che ne è uscito l'abbiamo chiamato "Death Surf".
F: Stringato e chiaro, concordo.
Allora andiamo con la solita domanda antipatica: c'è qualche gruppo in particolare che vi ha ispirato?
V: Certo, i Wings.
F: Con presunzione, direi nessuno in particolare.
Come si coniuga l'immaginario da spiaggia radioattiva che riuscite a evocare con il vostro contesto di provenienza (Roma Est)?
V: Ma in realtà io non credo che nessuno dei due volesse evocare "spiagge radioattive" (che comunque da qui non sono lontane: basta prendere il Raccordo Anulare e farsi un giro a Focene e dintorni). C'è semmai un pezzo che abbiamo intitolato "Spaghetti Wasteland" e in quello
personalmente mi riconosco di più: al di là del fatto che viviamo in un quartiere molto legato a certo immaginario cinematografico italiano (il neorealismo, Pasolini ecc.), dovresti farti un giro sotto casa mia ad agosto, col sole a picco e la polvere che si alza dalle ex-baracche ristrutturate: sembra una scena di Sergio Leone, ti aspetti veramente di trovarti Lee Van Cleef dietro l'angolo.
F: Sì, diciamo che è un po' lo stesso legame che c'è tra lo spaghetti western e le lande abruzzesi.
A proposito di Spaghetti, mi pare emerga dal vostro approccio una certa passione per la library music italiana, genere-non-genere ultimamente ricoperto soprattutto in ambito underground. Qual è il vostro rapporto con quella propaggine dell’italian-sound?
V: Di ammirazione/invidia, direi.
F: Be' sicuramente abbiamo un grande interesse a riguardo, e non solamente per quello che può rientrare nell’etichetta “library music italiana”, ma per tutto ciò che di buono è stato prodotto in Italia in quel periodo. È come se crescendo sia maturata la necessità di una specie di riappropriazione identitaria...
C’è una linea rossa che parte da Morricone e Umiliani, passa chessò, per il Tony Esposito di “Rosso Napoletano” (il pezzo omonimo di quel disco mi pare molto in linea con le vostre cose), Lino Capra Vaccina e Sensations' Fix, per arrivare a cose tipo i My Cat Is An Alien e quindi a Heroin in Tahiti? Mediterraneo, soundtrack e psichedelia cosmica…
V: Mi fa piacere che tu colga delle assonanze con Tony Eposito, "Rosso Napoletano" è un gran disco. Venendo alla tua domanda: è un argomento complesso, personalmente ci sto lavorando per conto mio e sono arrivato alla conclusione che sì, esiste un filo rosso che lega le origini dello Spaghetti Sound alle esperienze “sperimentali-progressive” degli anni 70. Le sovrapposizioni sono tante e tali, ma provo a farti un esempio. Prendi la nascita della cosiddetta “improvvisazione libera” a Roma, attorno alla metà degli anni 60. C'è Franco Evangelisti che mette assieme il Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza (GINC) e chiama tra gli altri Ennio Morricone ed Egisto Macchi. Sul ruolo di Morricone nella definizione dello Spaghetti Sound, inutile dilungarsi. Macchi a sua volta sarà un grandissimo compositore di library music, forse il più grande assieme a Umiliani che però proveniva da un retroterra jazz. Tornando al GINC: un gruppo di americani espatriati a Roma – tra cui Alvin Curran – ne viene a conoscenza e forma a sua volta il collettivo Musica Elettronica Viva. Col tempo Curran mescola l'esperienza acquisita in campo “improvvisato” al suono minimalista americano, che proprio a Roma ebbe uno dei suoi epicentri in Europa grazie alla galleria L'Attico di Fabio Sargentini. Da qui il minimalismo si diffonde in Italia e comincia a penetrare i circuiti rock, specie quelli milanesi: Franco Battiato, Claudio Rocchi, insomma quel giro lì. Rocchi mi ha pure detto che vedere Alvin Curran dal vivo a Trastevere gli cambiò la vita, l'avevo intervistato pochi mesi prima che morisse... Comunque: contemporaneamente, visto che Evangelisti voleva “conquistare i giovani”, il GINC sforna una serie di lavori praticamente rock, per esempio The Feed-Back che è un disco straordinario ma che è anche molto vicino al tipico Spaghetti Sound del periodo “giallo”; altri liberi improvvisatori di stanza a Roma più legati al free jazz riscoprono le radici “etno-italiane” (non so, Mario Schiano, Marcello Melis...) praticamente in contemporanea col Napoli Power di Esposito & C., ma c'è anche Andrea Centazzo che dal free passa alla musica cosmica. E non abbiamo ancora parlato della commistione tra prog e colonne sonore, tra folk e musica improvvisata... Non abbiamo detto di Gaslini, degli Area, del giro Cramps... Insomma, come vedi era tutto legatissimo, a volte c'era proprio un travaso di nomi che da un'esperienza passavano all'altra. Poi questo travaso si è interrotto verso la fine degli anni 70, e quella “italianità” si è un po' stemperata col riflusso post-punk (anche se l'italodisco... ma non dilunghiamoci ulteriormente). Come potrai intuire è una tradizione a cui tengo molto, poi non so se gli Heroin In Tahiti possano esserne considerati “continuatori”, anzi direi che non arriverei a tanto. Appassionati sì, ma veniamo pure quarant'anni dopo...
F: Non credo ci sia molto da aggiungere...
Venendo alle vostre uscite, “Death Surf” ha ricevuto un’ottima accoglienza. Potendo tornare indietro, lo rifareste come l’avete fatto?
V: Sì.
F: Certo.
Ascoltandovi al Thalassa, ho avuto l’impressione di un suono molto più espanso e avvolgente che su disco. E’ una caratteristica, questa, del vostro live-sound o magari è un terreno che state esplorando anche in studio?
V: Se fossimo capaci di registrare decentemente, magari questo “suono avvolgente” verrebbe fuori. Purtroppo i mezzi sono quelli che sono.
F: Ormai è piuttosto chiaro a entrambi che la dimensione live e quella studio degli H.I.T. presuppongono un lavoro e un approccio completamente diverso. Fondamentalmente nei live cerchiamo di restituire ai pezzi una forma più libera ed estroversa.
La vostra ultima uscita è lo split con Ensemble Economique, a chi è venuta l’dea e come si è realizzata la cosa?
V: L'idea è venuta a Toni e Ricky, rispettivamente di No=Fi e Sound Of Cobra. Visto che non volevamo fare il solito split con pezzi recuperati da session scartate e cose del genere, sul nostro lato abbiamo fatto questa specie di suite sulla famiglia che va in vacanza e poi boh, succede qualcosa... Diciamo che va a finire male. A me il risultato piace molto, penso sia parecchio meglio di "Death Surf", ma sai com'è, non sta a me giudicare.
F: Abbiamo conosciuto Brian Pyle quando è venuto a suonare a Roma per la rassegna Rainforest, che curiamo io e Valerio, e che perlopiù si svolge al Dal Verme (il locale di Toni e soci). A Brian piaceva quello che facevamo e a noi quello che faceva lui. Quando ci hanno proposto di pubblicare uno split abbiamo sfruttato la possibilità di avere solamente un lato per provare a raccontare una breve storia, dall’inizio alla tragica fine.
Le vostre prossime mosse?
V: Un triplo album (per ora siamo a un album e mezzo) e poi tornare a suonare in giro.
F: Triplo? Facciamo doppio.
Death Surf(Boring Machines, 2011) | 7 | |
Heroin In Tahiti / Ensemble Economique -No Highway / Black Vacation Split Lp(No=fi Recordings, 2013) | 7,5 |
Sartana |