Paolo Tofani Krsna Prema

Area di sperimentazione

intervista di Claudio Milano

Introduco l’intervista dicendo che parlerò con te solo rivolgendomi a Paolo Tofani Krsna Prema oggi. Credo che ognuno sia oggi anche per il percorso che ha fatto, ma che è nel presente che va considerato se ne si ha davvero rispetto, non mi interessa dunque sapere alcunché delle tue attività con band dei 60 e 70, poi tu sei liberissimo di parlarne ovviamente, se lo ritieni opportuno.

 

Chi non sa leggere il presente non può avvicinare il futuro, né tantomeno darne una chiave di lettura. È il destino che ha riguardato i più grandi profeti della contemporaneità, siano stati essi filosofi e penso a Nietzsche, a Derrida, a Emil Cioran, ad Adorno, musicisti, creativi o a prescindere coloro che hanno aperto strade a chi sarebbe arrivato dopo loro. Qual è la visione del presente di Paolo Tofani e quale la possibile evoluzione di un futuro in musica?
Il presente io lo vedo come una bolla trasparente che ci trasporta in superficie di un mare causale irrequieto e violento. Gli attacchi dell’ ignoranza sono costanti, la pressione della passione, talvolta raggiunge livelli insopportabili ma la bolla ci protegge grazie alla sua struttura caritatevole impregnata di virtù. Con questo arrangiamento supremo, possiamo attraversare le regioni esterne e quelle molto delicate situate all’interno di noi stessi.
Il viaggio è complesso è le opportunità di discordie mentali sono costanti, ma la bolla è magica, impregnata da i 3 materiali essenziali Sat/Cit/Ananda (Conoscenza, Eternità e Felicità). L’ascolto e l’abbandono generano la propulsione che è il movimento, quindi, con il tempo, gli esperti viaggiatori, maturando alti livelli di coscienza, possono superare le barriere della mediocrità e mantenere la rotta verso l’amore supremo. Questa è la mia visione del presente, il futuro dipenderà dalle scelte ispirate dalla mia intelligenza e dalla mia rinuncia. Il profetismo religioso è il cancro mortale della nostra esistenza.

 

Io ho la percezione che l’uomo oggi pretenda catastrofi. È come se, ossessionato dalle brutture, le cercasse con morbosità invece di mirare alla costruzione di valore. Cosa può generare la spiritualità in musica oggi?
La paura e il desiderio sono la sorgente del costante conflitto interiore, la perdita della consapevolezza in relazione alla nostra natura crea effetti devastanti come follia e estrema violenza. Gli artisti, a tutti i livelli, sono missionari della ragione, sono parte della dolcezza e dell’immenso amore dell’assoluto, al di là di questo esiste soltanto egoismo e ipocrisia.

 

A cosa porterà questo Caos secondo te? Sarà un esito apollineo o dionisiaco? Porterà bellezza formale, creatività ad emergere da un magma o solo distruzione?
Questa è l’era di Kaly che trasuda di ipocrisia e discordia, un’era complessa e difficile per l’umanità, il futuro non sarà profumato di serenità.

Paolo TofaniLa maggioranza dei culti mondiali vede nell’atonalità o nella semplice dissonanza “il male”, la rappresentazione di un artificio sgradevole. Alcuni credo (il Buddismo Mahayana, ad esempio) vedono persino nell’accordo minore e nella tonalità estranea al maggiore una sorta di pericolo per l’integrità spirituale. Tu che hai concepito dischi seminali quali “Dangerous Classica”, che si abbeverano alla fonte del suono considerando questo come un flusso necessario al pari di ogni emozione, anche quella apparentemente più tossica al fine di fare evolvere l’individuo e la sua coscienza, come ti esprimeresti in materia? Lo chiedo a te perché la tua musica è principalmente microtonale (complimenti in materia per la bellezza del brano “Random”, un gioiello al pari di “Unbalance”).
L’utilizzo di intervalli musicali con valori e estensioni diverse rappresenta il tentativo di superare l’egemonia delle strutture arcaiche e obsolete del sistema modale in uso, lo scopo, raggiungere la totale libertà espressiva senza violenza. L’integrità spirituale si manifesta soltanto nella perfetta applicazione della conoscenza alla tua vita reale, sei e vivi quello di cui parli. Non è semplice ma è necessario per essere onesti e credibili. Io sono soltanto un servitore e ciò che manifesto musicalmente rappresenta il desiderio di servire il futuro di tanti giovani artisti dando segnali di direzioni diverse che sono ovviamente anche collegate alle mie emozioni di uomo.

A tale proposito come ti inserisci nel dialogo tra musicisti contemporanei (siano essi classici, jazz o “di confine”) rispetto al dialogo su tonale, atonale, alea, non alea? Non credi che - sulla via di genii contemporanei come Fausto Romitelli, la lezione di Sciarrino e la meraviglia del Piano Concerto di Simon Steen-Andersen - non sia arrivato il momento di aprirsi al suono di ogni latitudine ed epoca e farlo proprio? Una sorta di sistema “globale”, ancor più che “misto”?
Il suono è all’origine della creazione, quindi, considerando le infinite differenze presenti in natura, esplorarlo sembra essere decisamente di buon senso. Il mio incontro con Sciarrino non è stato convincente, lui non sembrava concepire l’improvvisazione ma con forza difendeva la progettualità e la necessità della scrittura musicale, nonostante il mio rispetto per il suo lavoro, il mio viaggio è fortunatamente molto diverso.

Quant’è vero che “gusto e soggettività vs. sostanza” è l’arcano più grande in musica oggi soprattutto a cospetto di critici che s’inventano la “poetica” di un musicista “a pelle”? Per quale motivo per essere geometri, ingegneri, matematici è richiesta una conoscenza e per parlare e fare di musica non più?
Queste argomentazioni non mi appassionano molto, il pensiero è scivoloso e il terreno pieno di speculazioni filosofiche.

Quanto credi il karma possa influenzare il destino di un individuo? Può esistere un destino, una sorta di disegno per ognuno, tenendo conto della quantità inenarrabile di vite che abbiamo attraversato a ridurre la nostra attuale a un puntino, davanti a una concezione di infinito che solo le menti vicine all’assidua meditazione possono percepire?
Il karma è decisamente il fattore primario delle nostre vittorie e sconfitte.
Gli umani sono gli unici esseri viventi con capacità di scelta, quindi noi siamo il risultato delle scelte passate e in grado scegliere il nostro futuro.

Tempo fa mi dicesti di persona che il tuo più grande desiderio era quello di regalare a ogni bambino del mondo un iPad per avvicinarsi alla musica. Hai ancora qualche legame con la musica acustica o elettrica oggi? Mi sembra di aver ascoltato in più punti del tuo “Indicazioni Vol 2” il suono della tua Trikanta Veena evoluta (su “Rasa”, “Unbalance”, “Nice Journey” e “Random” ad esempio). In quanto ad elettronica, conosci Tim Hecker e le sue evoluzioni elettroniche pari a spettrogrammi di sirene a esasperare Xenaxis in “Konoyo”?
La tecnologia decisamente ha sviluppato strumenti utili ed estremamente potenti per modificare e quindi creare nuove dimensioni sonore. La sintesi è molto avanzata e considerando l’estrema portabilità dello strumento, l’iPad è uno stimolante compagno di viaggio. L’aspetto acustico è ormai svelato nelle sue molteplici forme ed esplorazioni quindi, il grande rispetto delle tradizioni acustiche utilizzate, per esempio, nella grande orchestra sinfonica, rimane l’utilizzo che prediligo.

Su “From Asia”, brano di apertura della tua ultima pubblicazione, compare anche una batteria campionata a fornire un ritmo da dance club. Conosci Arca e le sue destrutturazioni linguistiche applicate alla musica da dancefloor?
La percussione è un mondo molto affascinante, l’utilizzo di campioni etnici e non mi regala pulsazioni di grande stimolo soprattutto in funzione di poliritmia.

Pubblicherò presto alcuni nostri dialoghi in suono tra il 2011 e oggi. Canti ancora?
Spero possano essere utili come riferimento per le nuove generazioni.

Segui ancora i percorsi di Katya Sanna?
Grande rispetto, ma no.

Ti va di spendere due parole su Alvin Curran e poi su Claudio Scozzafava di Aventino Music?
Alvin è un riferimento importante dato il fatto che è vivo. Un gioiello luminoso pieno di emozioni del passato, un riferimento inestimabile, grande artista e ottimo uomo. Claudio Scozzafava percorre strade da me già vissute, ma necessarie per ristabilire un principio fondamentale nella difficile trama della ricerca. Ha bisogno di tempo e assistenza soprattutto dai superstiti di un mondo duro ma fondamentale e sono sicuro che ci sarà continuità a beneficio degli artisti ricercatori del futuro.

Cosa mi racconti della tua esperienza con l’etichetta Dark Companion?
L’altruismo è raro ma anche le sue ombre sono utili perché l’utilità è lo stimolo della mia esistenza.

Quando abbiamo iniziato a lavorare assieme al progetto Strepitz, interpretavi spesso dei tuoi poemetti o ero io a farlo in tuo luogo (la cosa si ripeté nel 2018 col tributo a Claudio Rocchi). Credi di pubblicarli in futuro in formato cartaceo? Sarebbe un delitto non farlo a mio avviso.
Già fatto e Giovanni Floreani lo ristamperà molto presto (Note di Viaggio I).

Paolo Tofani - Claudio Milano a BelgradoOra che non ci vediamo da qualche tempo ti faccio una domanda… puoi dirmi cosa pensasti quando, saliti a bordo di un aereo diretto in Serbia, mi vedesti in preda a un attacco di panico e una signorina di Alitalia sorridente arrivò con un siringone da farmi sul braccio? Io ricordo solo che mi girai perplesso verso di te e tu dicesti “Hare Krsna”… poi crollai e mi risvegliai a Belgrado.
Caro Claudio, il caso esiste soltanto nelle menti degli ignoranti con bassa coscienza. È mediocre conoscenza. In realtà anche se viviamo con il pensiero di essere liberi siamo soltanto pupazzi sciocchi e molto vulnerabili ma, per fortuna, il Burattinaio Supremo ci regala la sua protezione carica di inconcepibile amore puro.

Nel suo “Musicofilia”, Oliver Sacks dice: “Mentre ascoltano la musica, alcune persone – un numero sorprendentemente alto – vedono colori o provano varie sensazioni gustative, olfattive o tattili. Tale sinestesia, d’altra parte, può essere considerata non tanto un sintomo, quanto un dono”. Tutto questo in un’indagine tra l’evenienza neurologica per cui un musicista finisce per porre meno alla “normale associazione fra intellettuale ed emozionale” e valuta la cosa tanto in maniera positiva che negativa. Tenendo conto di quanto concepito da Skrjabin e da tutte le avanguardie contemporanee affini all’idea di “musica sinestetica”, credi ci possa essere dono più bello del percepire la musica quale flusso che tutto direziona?
La nostra missione è quella di stimolare la consapevolezza della nostra vera natura e identità originale. Chi trova la verità, manifesterà gioia infinitamente più alta dei comuni effetti epidermici che tu descrivi, perché, nonostante la nostra temporanea presenza in questa dimensione grossolana, la sorgente distribuisce nettare che trascende la materia.

Ti eri proposto di pubblicare 100 album solisti prima di lasciare il corpo. Oggi che sei arrivato all’incirca a 110, qual è il tuo obiettivo in musica oggi? Quale quello di Paolo Tofani uomo?
Credo che continuerò fino a quando Krsna vorrà ma fare musica non è più primario per me, sono molto attratto dal vestirla con immagini contando su di una tecnologia molto stimolante e sempre disponibile.

Vuoi lasciare una considerazione a una webzine come OndaRock che permette quotidianamente di avere accesso a cultura senza necessariamente acquistare del cartaceo?
Non ho conoscenza di questo, da molto tempo, ammetto di vivere come un Avaduta (Senza interessi esterni), il mondo dei nomi non è più molto attraente per me ma semplicemente, utilizzo quello che mi serve per continuare a crescere come uomo, artista e anima spirituale eterna. Hare Krsna.

(03 luglio 2022)

***

Tra misticismo e musica

di Michele Bordi

Paolo Tofani ci risponde al telefono dalla sua abitazione nella campagna piacentina. Un personaggio fuori dall’ordinario, immerso nella sua musica, tra costruzioni di chitarre avveniristiche come la Trikanta Veena, sperimentazioni d’avanguardia, la sua esperienza da devoto di Krishna e ovviamente gli Area.
In vista dell’evento “Dream in a Landscape”, a Pesaro, nel quale insieme al compositore Paolo Tarsi coglie l’occasione di omaggiare John Cage e Marcel Duchamp, ne approfittiamo per fargli alcune domande, alle quali replica con generosa disponibilità.

Inizierei a parlare subito di “Dream In A Landscape”, progetto che lei presenterà insieme a Paolo Tarsi a Pesaro. Mi sembra che già nel titolo sia esplicito un riferimento a John Cage.
Sì, certo, anche perché sia per me che come credo per Paolo Tarsi è un pilastro, un momento storico. Io ho avuto anche il privilegio di conoscerlo e farci delle cose insieme, mi ha sicuramente aiutato a capire come muovermi nell’ambiente della musica contemporanea. Quindi, il mio atteggiamento nei suoi confronti è senza dubbio molto interessato e reverenziale. E’ un maestro.

Com’è nata questa collaborazione con Tarsi e l’idea di questo progetto?
Con Paolo ci siamo conosciuti, abbiamo capito di avere delle cose in comune. Lui aveva opportunità di organizzare questo evento a Pesaro, come già accaduto in passato tra l’altro, e visti i nostri comuni riferimenti verso Cage, uniti alla voglia di proporre anche cose del nostro repertorio personale, è stato facile incontrarsi. Tra l’altro io apprezzo lavorare con giovani musicisti e condividere le esperienze.

Cosa possiamo aspettarci da questo spettacolo? Delle vostre rielaborazioni personali dei temi di Cage e Duchamp, un certo lavoro di sperimentazione…
Certo. Sai, Cage e Duchamp erano due persone che hanno lavorato in modi diversi però in comune avevano il fatto della libertà totale che lasciavano al compositore o all’esecutore del futuro di interpretare le loro composizioni. Ci sono degli scritti, ma lasciano sempre traccia delle melodie in maniera molto blanda, in modo da poter permettere di lavorarci sopra e imprimerci la propria personalità, il modo di vivere la propria esperienza dell’autore.
Ciò che ci aspettiamo quindi è una presentazione di questi temi essenziali che lasceranno lo spazio, sia a me che a Paolo, di intervenire con suoni e modalità diverse. Sarà un esperimento interessante perché è la continuazione di una mentalità che dal 1950, quando Cage decise di prendere la strada della ricerca, i suoi figli musicali hanno continuato a portare avanti. Io credo sia giusto anche per noi - anche se io sono un po’ verso il viale del tramonto, se non altro anagraficamente - continuare verso quella dimensione di totale libertà dove il musicista può esprimersi senza essere costretto a seguire delle regole che talvolta lo imprigionano e gli impediscono di esprimere se stesso.
Se dovessimo fare un’altra serata il giorno dopo, verrebbe fuori qualcosa di completamente diverso.

Immagino che il fascino stia tutto nelle infinite vie di fuga che questo approccio offre, con gli stimoli che esse comportano, dando libero sfogo a quello che per voi è un tassello fondamentale: l’improvvisazione.
Assolutamente. L’improvvisazione a me interessa in modo particolare, sono ormai anni che lavoro in questo modo, ho a che fare con l’abbandono totale della dimensione armonica e quindi lavorare soprattuto sul suono, a prescindere dalle note che sfuggono dagli standard quali scale o altro. Ma lo studio del suono per me è stato importante sin dai tempi degli anni 70, con gli Area.

A proposito degli Area. Mi viene in mente una vecchia intervista che lessi tempo fa. Si parlava di come negli Area c’erano queste lunghe discussioni sul significato intellettuale di ogni pezzo, sulle sue connessioni con la realtà di quel tempo e si iniziava a comporre musica solo una volta sicuri di ciò che si voleva esprimere. Questo farebbe apparentemente pensare a un approccio molto razionale, misurato, che in un certo senso si scontra con la ricerca di libertà assoluta che persegue oggi.
E’ vero, in quel periodo c’era un compito, una missione: far parte del movimento giovanile per aiutare e aiutarci a cercare di trovare il modo di creare un luogo, o dimensione sociale, che poteva dar più spinta o spazio ai giovani che - come d’altronde oggi - purtroppo erano relegati da una parte della realtà. Quindi c’era bisogno di fare degli interventi mirati e Gianni Sassi era uno di quelli che ci dava lo spunto. Ma, attenzione, parliamo appunto di uno spunto: lo spartito, in ultima analisi, non era scritto - anche se alcune cose le abbiamo scritte perché le frasi da dire in alcuni punti erano davvero complicate - ma soprattutto c’era molta libertà. Ognuno di noi provava a interpretare quelle esperienze nel suo modo, in accordo alla sua sensibilità.
Anche io ora, a 70 anni, agisco nello stesso modo. Dopo la mia esperienza trentennale da monaco ho individuato che ci sono delle cose interessanti da condividere con gli altri. Invece di Sassi, ora il mio spartito è interno e racconto delle cose che hanno a che fare con dei riferimenti che vengono dalla realtà di quello che ho studiato, ma che si incastrano perfettamente con la necessità che ha oggi l’uomo di capire certe cose per uscire da questa trappola in cui si trova.
Quindi, concludendo, una dicotomia tra le due epoche in un certo senso c’è, ma la finalità in fondo resta sempre la stessa.

Lei ha notato negli artisti degli ultimi anni dei punti in comune con questo approccio. Qualcuno l’ha colpita in particolare?
Sai, la musica contemporanea non è un ambiente popolare perché è difficile, gli ambienti e i mezzi sono ristretti e quindi quello che oggi va alla grande sono le grandi manifestazioni sonore in cui ci sono i grandi artisti che fanno accorrere centinaia di migliaia di persone, però questo è un aspetto che c’è sempre stato e sempre sarà così. Però questo è un ambito della musica che non esplora nuove dimensioni, mentre gli artisti che invece soffrono, creano delle diversità ci sono ma stanno nell’ombra e cercano di vivere la musica con tutte le sue problematiche senza compromessi.
Oggi ci sono delle persone interessanti. Conosco Claudio Milano, personaggio che usa la voce in un modo particolare, e soprattutto uno dei pochi che non imita Demetrio (ride, ndr). Personaggi oggi ce ne sono, però bisogna trovarli, cercando molto.

Oggi magari è ancor più difficile, vista la sovraesposizione che la società digitale ci ha portato, in una sorta di bulimia musicale.
Già, ma il fatto è che quando uno trova finalmente se stesso e il bisogno di comunicare qualcosa con la musica, deve essere pronto a vivere quest’esperienza. A volte viverla non è facile, soprattutto in un contesto difficile come quello di oggi in cui tutto viene usato e gettato e quindi il musicista d’avanguardia, come sempre, viene isolato e ha pochi supporti.
I pochi però che mantengono questa fiducia - un po’ come una fede, che alla fine trasforma il modo in cui vivi - alla fine sono quelli che aprono degli orizzonti all’interno dei quali poi molti altri, dediti a musica più commerciale, si tuffano utilizzando le loro scoperte. Questi sperimentatori sono per me essenziali per far sì che la musica e la ricerca del suono vadano avanti.

E come riconoscere questo percorso interiore, questa strada da perseguire fedelmente?
Io quando ho lasciato gli Area ho capito che quell’avventura, ovvero trovare delle soluzioni alle problematiche sociali, era un po’ irraggiungibile. Era un’utopia perché mancavano delle consapevolezze all’interno di noi e anche in quelli che avrebbero dovuto prendere in mano il movimento e dargli degli input di riferimento. Capii quindi che in quel momento la cosa migliore da fare era cercare di capire chi sono e trovare in me le tendenze che sono funzionali alla mia personalità, e quindi questa ricerca interiore mi ha dato la possibilità di comprendere meglio come fare a modificare l’atteggiamento comunicativo con la musica.
E’ un lavoro che va di pari passo credo tra la ricerca personale, che ovviamente sfocia in un discorso di spirito ed esistenzialismo, e una volta che hai chiarito o compreso meglio questo tipo di assunzione nella realtà tu puoi davvero iniziare a ottimizzarti al meglio. E’ come quando compri un nuovo marchingegno, puoi iniziare a usarlo però la cosa migliore è leggerne il manuale per sfruttarlo al 100%. Vedi, fino a quel punto io come altri andavo avanti d’istinto e i risultati erano quelli che erano, ora va meglio perché credo di aver capito chi sono.
Quindi, lo sviluppo della coscienza è la base necessaria per rendere meglio in quello che fai; qualunque cosa tu fai.

Un po’ a conferma di quanto dicono molti: non è il mezzo che è decisivo, ma la mano di chi lo utilizza. Al di là del progresso tecnologico o culturale.
La tecnologia c’è e l’importante è usarla e non farsi usare. Se tu sai quello che vuoi la usi, la cerchi, vai a trovare le cose che ti interessano. Ad esempio, al momento sto utilizzando molto il mio iPad, un oggetto solitamente pensato per giocare e invece ho trovato che ci sono delle storie che possono facilitare il livello di controllo e quindi anche realizzare dei pacchetti sonori con dei colori che sono molto interessanti. Quindi meglio che ci siano invece che no, ma non devi mai dimenticarti chi sei, per non finire intrappolato in questo fascino della tecnologia. Sennò finisce che è lei a fare la musica e tu solo un burattino al suo servizio.

Avverte quindi una sorta di rischio di cadere negli eventuali schemi mentali o procedimenti che la tecnologia implicitamente impone, almeno se non si hanno le idee chiare.
Esattamente. Vedi, molti ragazzi giovani comprano un pc, ci buttano dentro qualche suono e si sentono Stockhausen, non so se mi spiego. E invece c’è tutta una dimensione da esplorare prima di arrivare a un certo punto, poi dopo finalmente riesci a capire cosa fai e perché fai quello che fai.

Tofani, con l’occasione ho prevedibilmente ripreso in mano il vostro storico “Arbeit Macth Frei”. Mi rendo conto, pur non avendo io vissuto quegli anni, che sono passati quarant’anni ma il testo di “Luglio, Agosto, Settembre nero” è ancora tragicamente attuale.
Eh, purtroppo sì. Questa è la cruda realtà. Avevamo individuato delle problematiche che invece di essere state risolte sono state accentuate dalla realtà di oggi. In tutta sincerità ti dico che all’epoca eravamo attenti a quello che succedeva e forse avevamo delle intuizioni su quel che sarebbe accaduto in futuro, per questo ci siamo spinti da una parte che alla fine ci ha segato le gambe. Tutti quelli che in quel periodo si occupavano di produzione musicale non erano esattamente dalla parte dei palestinesi e quindi quando abbiamo presentato anche quel tipo di lavoro già con il titolo incutevamo un certo timore. Questo ci precluse in qualche modo l’ingresso a un livello commerciale che forse ci avrebbe resi più presenti nella realtà del momento.
Purtroppo come vedi l’intuizione era giusta e il problema ora è ancor più acuto, e sarà sempre così. Ci sarà sempre l’uomo fragile: quello che vuole tutto, quello che non vuole rinunciare a niente e quello che deve subire le conseguenze degli altri.

Curiosa coincidenza, un’altra band subì le conseguenze di un titolo o una copertina provocatoria, proprio nello stesso anno: mi riferisco ai Museo Rosenbach con il loro “Zarathustra”.
Sì, come ti dicevo, soprattutto in quel periodo - come del resto tutt’oggi - era difficile fare cose diverse dalla corrente. Qualcuno è sopravvissuto, qualcuno no. Anche noi in effetti a un certo punto abbiamo dovuto mollare, o almeno io perché avevo capito che prima di rientrare per dire qualcosa che potesse avere un peso sulla realtà del sociale avrei dovuto prima esplorare me stesso. Ma c’erano tanti gruppi in quel periodo che ci avevano provato, ma vennero catapultati fuori dal giro.

Tra l’altro anche loro, come voi, si sono riuniti di recente dopo decenni di inattività. Pur con le notevoli differenze che ci sono tra le due formazioni, sia voi che loro avete provato a guardare avanti piuttosto che giocare con l’effetto nostalgia: un nuovo disco per loro, dei concerti per voi che ben poco cercano ruffiani autoreferenzialismi. Sembra ci sia ancora molta voglia di ascoltare un certo genere musicale, mai veramente abbandonato.
Hai ragione e la cosa stupefacente è che alla fine di ogni concerto troviamo sempre dei ragazzi, dei musicisti molto giovani che vengono e chiedono, fanno domande e hanno voglia di capire come iniziare un percorso di rottura. Questa è una cosa fantastica, non ci sono solo i rincoglioniti sentimentali che ti dicono “ti vidi quella volta live, trent’anni fa…” ma anche quindicenni e sedicenni alle prime armi. Loro sono il futuro e a me riempie di piacere e soddisfazione aiutarli. Almeno in questo possiamo dire di aver fatto qualcosa di utile.

Ma lei quali differenze ha percepito tra la sua esperienza solista e la vita in una band come gli Area o nelle altre in cui ha militato, anche prima di loro.
Sai, è come quando si dice che ogni età ha il suo colore e il suo sapore. Fin dall’inizio ho sempre cercato di trovare gruppi che avevano degli stimoli e mi aiutavano ad andare in profondità. Certo, l’apice a livello musicale ovviamente è stato con gli Area. Prima avevo una carriera da solista, ero vicino al firmare un contratto con la Island, ma in verità ero un po’ stanco di suonare da solo. Di loro conoscevo solo Demetrio perché ci eravamo incontrati quando ero nei Califfi, ma avevo visto che c’erano delle persone interessanti in quel collettivo, quindi ho lasciato perdere l’idea del solista. Dopo, sai, il tempo passa e la forza del gruppo si comincia a esaurire e quindi ognuno di noi ha seguito la sua strada.
Ora sono molto contento che ci sia la possibilità di fare queste reunion, ma sono ancora più contento quando riesco a fare cose come questa che faremo con Paolo a Pesaro perché lì c’è l’essenza di quel che sono ora, invece di andare indietro e ripercorrere tematiche musicali che per me sono ormai abbastanza obsolete.

Immagino quindi che il futuro preveda comunque di mantenere le distanze con gli Area.
Penso di sì, poi il futuro è tutto da costruire ma penso che per me, così come penso per gli altri, l’importante sia ora continuare a esplorare; così come intendo fare fino alla fine della mia esistenza perché mi piace muovermi in territori diversi.
Poi è bello collaborare con altri musicisti, che siano di grande qualità o meno. Anche chi ha meno qualità è importante, perché spesso ha molto entusiasmo, contagioso per questi vecchietti come me che ormai hanno l’energia che hanno (ride, Ndr).

Per concludere, si sente di lasciarci un pensiero, un ricordo di Demetrio Stratos?
Demetrio era una persona eccezionale. Io sento molto la sua mancanza perché sono convinto che se lui fosse ancora con noi - ricordo che quando uscii dagli Area lui rimase piuttosto neutrale e continuammo a lavorare insieme - avremmo continuato a fare molte cose. Ci saremmo divertiti molto, anche nel fare cose sperimentali.
Era una persona unica che purtroppo è mancata, però ognuno di noi ha dei debiti da pagare e quando arrivano i debitori bisogna saldare. Nella filosofia che seguo è scritto che debiti e malattie bisogna pagarli il prima possibile; si vede che lui aveva un debito grosso, sarà per la prossima esistenza.

(18/09/2014)

Discografia

AREA
Arbeit Macht Frei (Cramps, 1973)
Caution Radiation Area (Cramps, 1974)
Crac! (Cramps, 1975)
Are(A)zione (live, Cramps, 1975)
Maledetti (Maudits) (Cramps, 1976)
Anto/Logicamente (raccolta, Cramps, 1977)
I CALIFFI
Così ti amo (Ri-fi, 1969)
ELECTRIC FRANKENSTEIN
Electric Frankenstein (What me worry?) (Cramps, 1975)
PAOLO TOFANI
What Me Worry? (come "Electric Frankenstein") (1975)
Indicazioni (1977)
Un gusto superiore (con Claudio Rocchi) (Iskcon, 1980)
Un altro universo (1983)
Invocation (autoproduzione, 2005)
Beyond Darkness (autoproduzione, 2005)
Reflections (autoproduzione, 2005)
Memories (autoproduzione, 2005)
Into Reality (autoproduzione, 2005)
Liquid Gold (autoproduzione, 2005)
Gentle Waves (autoproduzione, 2005)
Future Ragas (autoproduzione, 2005)
Mayapur Meditation 1 (2005)
Mayapur Meditation 2 (2005)
Essence (autoproduzione, 2005)
Fresh Start (autoproduzione, 2005)
Deep Lover (2005)
Higher Dimentions (2005)
Pure Magic (autoproduzione, 2007)
Real Essence (2015)
A Mid Autumn Night's Dream (con Keith e Julie Tippett e Lino Capra Vaccina) (2017)
Indicazioni vol. 2 con il nuovo strumento Shyama Trikanta (2021)
Pietra miliare
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