Con il nuovo album “Notturno” il collettivo milanese di sei membri Studio Murena si conferma progetto di grande impatto. Amedeo Nan (chitarra elettrica), Giovanni Ferrazzi (elettronica, sampler), Lorenzo Carminati (Mc), Marco Falcon (batteria), Matteo Castiglioni (tastiere e synth), Maurizio Gazzola (basso elettrico) sono dei musicisti consapevoli e determinati, che incrociano fra loro competenze eterogenee, all'insegna di sperimentazione e groove, con un occhio alla scena hip-hop internazionale, uno al rap italiano e un sopraggiunto interesse per i temi melodici. Anche italiani. Parlare con loro è una esperienza piacevole e arricchente. Ci hanno raccontato del loro rapporto con la musica accademica e non, con l'establishment, con la creatività, con la musica e i suoi contenuti, in un mondo che ci vuole sempre più anestetizzati e non pensanti. A sette anni dal primo album, hanno ormai una credibilità solida e una esperienza live considerevole, ma il divertimento, la voglia di sperimentare, l’amicizia e la curiosità intellettuale sono quelli di sempre. E vincono.
Corsi, percorsi e ricorsi
Ci siamo conosciuti quando era appena uscito il vostro primo album. Ora siamo al terzo, con in mezzo due cambi di etichetta e un ritorno al primo management. E si evidenzia un'evoluzione sia artistica, sia nel rapporto con pubblico e addetti ai lavori. In cosa vi sentite cambiati e cosa invece è maggiormente in continuità?
Sono passati sette anni. Studio Murena è cambiato tanto, ma certi punti fermi sono rimasti. Alcune figure come Tommaso Colliva, che ha prodotto gli ultimi due album, e Simone Castello, il nostro manager, sono state e sono tuttora fondamentali. E c'è solidità innanzitutto fra noi. Nello stesso tempo, però,abbiamo cercato nuovi approcci. Sentivamo la necessità di comunicare in modo più accessibile, più diretto. Le esperienze fatte in questi tre album ci hanno reso più sicuri, quindi più aperti al mondo esterno. Abbiamo cambiato le strutture dei brani per sperimentare e renderci più comprensibili, senza perdere la nostra essenza.
E le dinamiche all’interno del gruppo sono sempre le medesime? O conquistare il mondo è una faccenda logorante?
Siamo sempre noi sei, con la stessa saletta, la casa di Amedeo d’estate, i luoghi dove tutto nasce. Questo ci ha permesso di affrontare i cambiamenti esterni restando coesi. Ancora di più che in passato sentiamo di avere qualcosa da dire come musicisti. In fondo, siamo sei storie intrecciate in un solo progetto. Questo disco, per la prima volta, ha dato a ognuno di noi uno spazio ben definito. Prima c’erano equilibri da trovare, adesso invece ogni voce ha avuto modo di emergere. È stato un punto d’arrivo importante. Quindi anche di nuove partenze.
All’inizio eravate molto spontanei, anarchici, il processo creativo era fatto di improvvisazioni. È ancora così?
L’improvvisazione è ancora alla base, ma con equilibri più chiari. Alcune dinamiche si ripetono, ma il cuore creativo è rimasto lo stesso. L’improvvisazione è centrale, innanzitutto perché la componente jazzistica è uno degli ingredienti fondamentali della nostra musica, e poi perché è l’unico modo per amalgamare tutti i nostri retroterra diversi. È l’improvvisazione che ci permette di creare in modo organico. Non siamo una band con un frontman: tutti componiamo. È difficile, ma bellissimo.
Milano, la notte, il mondo
L’equilibrio è evidente, ma il rap mi sembra emergere di più rispetto ai dischi precedenti. È stata una scelta?
Una scelta spontanea. Non era programmato, ma alcuni testi erano più personali e richiedevano maggiore spazio espressivo. Nello stesso tempo volevamo emergessero delle suggestioni che dessero risalto all’emozionalità dei testi e viceversa. Per questo abbiamo lasciato spazio a delle parti melodiche.
A fronte di questo, i testi sono diventati più crudi, più diretti, quasi di denuncia. È una mia impressione?
È assolutamente vero. I testi sono flussi di coscienza, molto personali. Nascono dal bisogno di esprimere vicende vissute in prima persona, la cui intensità necessitava di un linguaggio più secco, diretto. Sono scaturiti da cambiamenti radicali e da un processo di crescita che ha coinvolto ognuno di noi e anche noi come insieme. Per questo abbiamo chiamato "Notturno" il disco. La notte diventa è il momento in cui si riflette, si progetta, si fanno bilanci e si individuano nuove aspettative. I riferimenti sono reali, a volte parlano della periferia di Milano, dei suoi problemi e tensioni, che possono anche sfociare in drammi; altre volte i testi hanno come tema quello di una rivendicazione artistica, come nel caso di “Jazzhighlanders”, e via dicendo. La cosa che accomuna le diverse tracce è che comunque tutto parte dalla soggettività dell’esperienza reale.
C’è chi dice che chi fa musica non dovrebbe fare politica. Penso ai Kneecap, alle polemiche che li stanno travolgendo. Cosa ne pensate?
Cosa ci si aspetta da un artista? È giusto esprimersi, anche per chi non può farlo. Anzi, ci sarebbe bisogno di ancora più artisti che usino la musica per dire davvero qualcosa. È normale che qualcuno lo faccia. Bisognerebbe chiedersi se avere un'opinione significhi essere militanti. Se sì, allora lo siamo tutti. Se no, vuol dire che un artista può esprimersi e decidere lui stesso se o quando essere militante. I social hanno bisogno di polemiche e di un impatto superficiale. I Kneecap sono straordinari, sono tra i nostri ascolti preferiti. Ma la gente non ha recepito la sostanza profonda del loro pensiero, non può nemmeno essere infastidita dai loro testi che tra l'altro sono il più delle volte in gaelico. A volte c'è spazio solo per la superficie delle cose.
"Sample Minds"
Oltre all’aspetto testuale un altro elemento di novità che ho notato è l’uso più marcato dell’elettronica e dei sample. È stata una scelta voluta?
Sì. Il contrasto tra i due mondi, elettronico e acustico, è una delle nostre cifre. Campionare e rielaborare in modo creativo è centrale da sempre per noi. Nel tempo, però, abbiamo trovato un maggiore equilibrio tra strumenti e macchine. Suoni e campioni che non si sarebbero potuti riprodurre facilmente in modo organico intervengono nel tessuto complessivo e hanno adesso un loro spazio più definito. È stata una svolta per noi. L’elettronica ha ampliato le possibilità compositive. Ti dà una palette sonora infinita. Aggiunge complessità, ma anche grandi stimoli. E in questo disco abbiamo capito quanto può dare valore al nostro progetto.
Mi sembra che anche le parti strumentali siano in un certo senso più arrangiate, più prodotte, per amalgamarsi alle partiture elettroniche, e che i brani siano diventati più brevi: è una scelta?
Sì, volevamo ottimizzare il messaggio, sgrezzarlo. Ognuno dei nostri dischi ha risposto a una esigenza diversa, propria di una fase differente. Nel primo c’era l’influenza dell’accademia, dei nostri studi come musicisti, nel secondo l’isolamento della pandemia aveva avuto un forte peso nel processo creativo. In questo terzo, invece, siamo tornati a lavorare insieme, con la voglia di comunicare subito le nostre idee.
Parliamo dei feat. sull’album. Intanto ci sono due crash culturali opposti. Milano vs. Roma con MezzoSangue e vs. understatement sabaudo con Willie Peyote. Come sono nate queste collaborazioni?
MezzoSangue è venuto a un nostro live, è una persona fantastica, assolutamente alla mano. All’inizio ovviamente senza passamontagna non l’avevamo riconosciuto. Ci conosciamo ormai da due anni, nel tempo ci siamo scambiati fasi di lavorazione dei rispettivi dischi, ci siamo confrontati, e da questa amicizia è nata l’idea di fare il feat. Ci è venuto a trovare nella nostra saletta a San Donato, infatti c’è la sua firma sul muro. Siamo molto orgogliosi di questa collaborazione, oltre che assolutamente soddisfatti. Con Willie l'incontro è stato al Primo Maggio di Taranto. Era una edizione infelice, perché pioveva e ci siamo dovuti spostare dal Lungomare allo Spazio Porto, che è un’altra struttura della città destinata alla musica dal vivo. Questo incidente ha fatto in modo che ci fosse più contatto tra i musicisti. Ci siamo incrociati per un pezzo dal vivo e da lì siamo poi arrivati alla collaborazione su disco. All'inizio doveva essere un altro brano. Dopo averlo ascoltato, Willie ha suggerito di provare a mettere su una cosa più consistente. Abbiamo apprezzato l'idea. Gli abbiamo fatto sentire un altro brano e riscritto il ritornello in funzione della sua partecipazione. Abbiamo lavorato con lui in studio da Tommaso Colliva ed è stato un bellissimo momento.
Le partecipazioni di Rodrigo D’Erasmo e Fabrizio Bosso sono ispiratissime. Nate da improvvisazioni?
No, i pezzi erano pronti. Nel caso di Fabrizio volevamo continuare la strada iniziata con Paolo Fresu sul disco precedente. Gli abbiamo mandato il brano e ci ha risposto subito con più take. Il difficile è stato dopo per noi sceglierne una, talmente erano tutte fantastiche. Rodrigo D'Erasmo aveva un reale interesse artistico a collaborare. Il suo intervento ha un sapore autentico, perché scaturisce da un coinvolgimento, non da strategia.
Dalle collaborazioni ai campionamenti: come avete pensato a Battiato e Vanoni?
L'idea su Ornella Vanoni è di Tommaso Colliva. Quella su Battiato è nata da un testo sull’universo. Ci teniamo a portare la nostra identità italiana anche in un genere ancora poco sviluppato qui. È un modo per dire: siamo italiani e portiamo la nostra storia.
In “Another Day with Another Sun” c'è una voce che sembra campionata. Chi è?
È una linea vocale originale scritta da Marco e cantata da Milena Paris. L'abbiamo trattata come un sample, ma è inedita. E’ nata da una improvvisazione su flauto.
Sei personaggi in cerca di mascotte
Parliamo del live: ogni pezzo sembra fatto per essere espanso. Che spettacolo avete preparato?
Anche nei live abbiamo sperimentato spazi in cui l’elettronica prende il centro, creando momenti di contrasto molto potenti con l’acustico. Abbiamo selezionato i brani con attenzione. Ogni concerto è un racconto. Già dall'intro si crea un'atmosfera, si entra nel racconto “Notturno”. Abbiamo lasciato spazio per l'improvvisazione e per ognuno di noi.
Nel tour precedente vi è accaduto di aprire per BADBADNOTGOOD e Battles. Che esperienza è stata?
Incredibile in entrambi i casi. Sono esperienze che ti cambiano. I BADBADNOTGOOD ce li siamo trovati a seguire il concerto dal backstage quando abbiamo suonato in apertura per loro. Alcuni di noi sono cresciuti ascoltando la loro musica e vederli presi bene ad ascoltarci è stato magico.
Ultima curiosità: ma chi è 24Kili, il rapper aggiunto?
Una maschera. Un personaggio. Un alter ego nato per rappare delle barre, che può fare da valvola di sfogo a ciascuno di noi, se vuoi anche a chiunque del pubblico. Una sorta di incrocio tra Joker e Pirandello.