I Valentina Dorme sono una delle realtà più belle della scena musicale italiana. Dopo quattro anni di silenzio, tornano con un nuovo bellissimo disco: “La Carne.”.
Abbiamo raggiunto Mario Pigozzo Favero, carismatico leader unico della formazione veneta, in un'assolata domenica pomeriggio perché ci raccontasse questo loro nuovo lavoro, cristallino e complesso allo stesso tempo.
Mario, un paio di settimane fa mi hai detto che ci si abitua alla mediocrità... Io spero non succeda mai! Davvero lo pensi?
Oddio no! Lo cantavo in “Una Colt”, un brano contenuto in “Capelli Rame”. Quando ho registrato quel brano era un periodo diverso della mia vita, un periodo in cui ero più rinunciatario. Adesso sono più determinato e penso ci si debba abituare non tanto alla mediocrità, ma alla bellezza.
Se tra “Capelli Rame” e “Il Coraggio dei Piuma” c'era una continuità melodica molto lineare, sia da un punto di vista strettamente musicale che da quello vocale, con “La Carne.” c'è sicuramente un'apertura maggiore, una crescita e una maturazione molto grandi.
Condivido questa tua considerazione. Forse c'è stato un piccolo salto anche tra “Capelli Rame” e “Il Coraggio dei Piuma”.
Con “Capelli Rame” (che forse continua a essere il disco più amato dal nostro pubblico) abbiamo dovuto fare delle cose semplici e crude per una questione di “impianto” e di produzione. “Il Coraggio dei Piuma” aveva una “rotondità” diversa.
C'è anche da dire che, se le formazioni che hanno suonato nei due dischi non sono mai la stessa, c'era una certa continuità perché in entrambi c'erano Paolo Carraro alla chitarra e Lucio Gazzola alla batteria. Quel tipo di andamento sincopato, meno “pop” rispetto a “La Carne.” era anche dovuto a quella formazione e al loro intervento che è stato fondamentale nella composizione e negli arrangiamenti.
“La Carne.” vede una formazione completamente diversa e quindi anche il processo compositivo è stato diverso. Forse le anime di chi suona con me ora sono un po' più pop, più rotonde, più disposte a lasciare lo spazio a melodie. Forse anch'io sono cambiato in questi anni e ho ascoltato una musica diversa: ho ascoltato molto De André e Cohen, mentre prima ascoltavo più Sonic Youth, Fugazi e gruppi hardcore. Le chitarre distorte e il singhiozzare dei ritornelli erano figli anche di quegli ascolti.
Hai anticipato la mia prossima domanda, ossia l'approccio più pop che ha “La Carne.”. Quindi è bastato ascoltare altro e cambiare collaboratori perché tu avessi un approccio diverso con la tua musica. O c'è bisogno anche di una determinata coscienza?
Forse sono meno serioso io. C'è una buona parte di me e della mia vita all'interno dei dischi dei Valentina Dorme e i flussi, i cambiamenti sono frutto della mia vita, dei miei periodi e dei miei umori. Non basta suonare con gente diversa per fare un disco diverso. Penso ci sia una linea riconoscibile all'interno dei nostri dischi, compreso “La Carne.”.
Non c'è nessun tipo di ragionamento intorno alla composizione. Da questo punto di vista siamo molto punk (sorride): non ci sono sovrastrutture forti nelle nostre canzoni, perlomeno nel processo compositivo. Penso che un buon ruolo, da un punto di vista pop che ha “La Carne.”, sia dato da Fabio De Min [dei Non Voglio Che Clara] che ha fatto degli arrangiamenti, delle orchestrazioni che ci hanno aiutato a rendere i brani meno indie. Questo non è un disco indie, è un disco che vuole andare primo in classifica (sorride): il nostro intento, più di altre volte, era quello di scrivere un disco di canzoni d'autore che fosse vendibile. Non c'è stato uno sforzo su questo, ci sono state delle collaborazioni. Mi riallaccio a quello che dicevi tu prima e che ho negato: l'esterno conta molto e Fabio ha dato un contributo molto forte ad almeno cinque o sei brani del disco. Le rotondità del disco sono date anche da questo.
Ottimo, quindi. “La Carne.” primo in classifica. Avete già scelto il singolo da piazzare a Radio Deejay, girato il relativo video con tanti fronzoli ed esplosioni e fissato al vostra apparizione a TRL?
No (ride). Non abbiamo mai avuto un ufficio che ci facesse da booking e un ufficio stampa. Sono tutte cose nuove che ora abbiamo, ma che non ci spingono a TRL: temo che la nostra musica resterà, come dicono alcuni, una musica di nicchia. Non siamo ancora come i Baustelle, un po' ci dispiace, ma un po' ne siamo orgogliosi. Non abbiamo nemmeno un nostro talento promozionale, siamo pigri, dovremmo avere ancora più persone che si occupino di noi per fare il botto quindi penso sia ancora una realtà molto lontana.
Torniamo a parlare del nuovo suono che ha “La Carne.”. Se nei dischi precedenti rimanevate fedeli a un suono asciutto con voce, chitarra, basso, batteria, ora abbiamo anche i synth, gli archi, i fiati, il pianoforte come parte integrante di un brano.
Uno dei piccoli cambiamenti che abbiamo fatto tempo addietro è stato l'esperimento di “Il Giorno n. 303” in “Il Coraggio dei Piuma”. In realtà abbiamo poco a che fare con l'elettronica.
La volontà è stata quella di arricchire i brani, arricchirli con un'impostazione classica. La nostra amicizia con Fabio che dura da tempo e l'amore che riserviamo per i Non Voglio Che Clara ci hanno aiutato a pensarci. Abbiamo dato un cd registrato malissimo a Fabio un paio di settimane prima dell'incisione del disco e lui ha arricchito i brani. Era una nostra volontà. Gli archi e i fiati sono sempre stati un nostro pallino, ma che non abbiamo mai affrontato per questioni di budget da una parte e questioni di pigrizia dall'altra. In questi anni abbiamo conosciute persone belle come Fabio e questo ha giocato nel nostro interesse.
Gli avete dato carta bianca quindi?
Sì, abbastanza. Ci siamo trovati un paio di volte io e lui, io con la chitarra e lui con il pianoforte e gli ho dato alcune indicazioni per quanto riguardava il clima e le atmosfere che volevamo ricreare. C'erano almeno due casi, “Un Nome di Fantasma” e “Giulia Bentley in Estate”, in cui già in sala prove ci rendevamo conto che i crescendo potevano avere un qualcosa di epico, di sinfonico che non riuscivamo a creare e che ancora adesso non riusciamo a creare quando suoniamo dal vivo.
Ho dato a Fabio delle indicazioni di massima, ma nulla a che vedere con la composizione, con un'imposizione di note piuttosto che di strumentazioni. Ci siamo fidati e c'è andata bene.
In studio Fabio è arrivato con violoncellista e violinista e là abbiamo passato la giornata. Ha fatto tutto lui: io ero lì che ascoltavo ed ero contento.
Per questo disco avete collaborato anche con un'altra persona che ultimamente va molto di moda: Giulio Ragno Favero che, diciamolo, non è tuo fratello.
Non è neppure mio cugino.
Mi ha stupita questa scelta: Giulio è abituato a suoni ben più violenti di quelli dei Valentina Dorme.
Alberto [Scapin, chitarrista dei VD] suonava in un gruppo, i My Popular Demand, che aveva già registrato un disco con Giulio e ne parlava bene, diceva che è una persona molto competente. Io ero dubbioso: conosco la musica di Giulio con Teatro degli Orrori e One Dimensional Man, gruppi che ho sempre amato molto, ma mi sembrava che quel suono fosse un po' estremo per i Valentina Dorme, che sono un gruppo più “soffice”. Allo stesso tempo l'idea mi stimolava.
Sono stato contento: è un tecnico molto bravo e dopo il primo giorno ci siamo trovati bene.
C'è stata una pre-produzione che non è stato un registrare il disco per poi ri-registrare il disco bene: c'è stata una chiacchierata con lui. Lui diceva che non faceva che cose che non gli piacevano e gli sono piaciute le nostre, anche se registrate malissimo con un microfono in mezzo alla sala prove. Si è anche affezionato al disco e ha suonato ovunque: ha fatto un po' di “casino” con le chitarre che noi non riuscivamo a fare, ha fatto gli arrangiamenti delle trombe, ha suonato le tastiere. Si è rivelato non tanto il guru del noise italiano, quanto un musicista e una persona con cui interagire con tranquillità.
Mi sembra che sia la prima volta che i Valentina Dorme si siano appoggiati tanto a una persona esterna e l'abbiamo “inglobata” come è successo con Giulio.
È successo con Max Trisotto che ha registrato “Il Coraggio dei Piuma” e che ancora ci segue dal vivo come fonico. In qualche caso è stato il quinto Valentina Dorme. Max è entrato nel nostro mood forse con una passione addirittura superiore a quella di Giulio. Siamo anche più vicini alle sue corde, ai suoi gusti musicali ed è una persona che ci ha aiutato a crescere.
Una cosa che ho notato nei testi è finalmente l'uso dei nomi. Dopo tanti “tu”, ora abbiamo Anna, Giulia, Eleonora e anche Valentina.
Sono pseudonimi. Il disco è popolato da nomi falsi (ride). Il disco è popolato di persone, soprattutto di una che ha avuto una certa importanza negli ultimi anni della mia vita. “La Carne.” è un disco molto più referenziale degli altri, ma Anna non è Anna e Valentina non è Valentina. Giulia è Giulia, ma il suo cognome è un altro.
In “Capelli Rame” c'erano Alice e Rebecca, ma erano personaggi che spiccavano decisamente meno rispetto a quelli presentati in “La Carne.”
Sì, è inutile negarlo: 9 brani su 11 di questo disco hanno una protagonista vera, che, oltre a essere la mia vita, è una persona in carne e ossa. I nomi rendono più referenziale la scrittura, le danno “carne”.
Dare ai tuoi personaggi un nome è stato catartico?
Probabile. Devo assolutamente raccontare quello che c'è o quello che c'è stato. È un approccio comune, poi c'è chi lo fa bene e chi lo fa male. La referenzialità (che brutta parola!) è essenziale per me: racconto le storie per allontanarle da me e per raccontarle a chi mi ascolta.
Catarsi... Non è che mi sia passata nel frattempo (sorride), ma è utile che io ripeta e mi ripeta le cose.
Robert Smith ha dichiarato all'epoca che scrive canzoni d'amore perché l'amore è un argomento facile.
Penso che alcune persone si trovino bene con un certo argomento e siamo in molti a trovarci bene con la questione amorosa. Molto spesso l'artista è una persona inaffidabile a livello relazionale e trova moltissime vicende da raccontare che sono generalmente finite, quindi piene di episodi su cui rifarsi (sorride).
Mi piacerebbe scrivere di episodi che non sono miei. Per ora mi è riuscito a tratti con “Olimpiadi Salesiane” che parla di pedofilia ecclesiastica. Potrebbe essere una delle sfide successive quella di raccontare la vita degli altri e non la mia.
Insieme a queste donne e alla tua rabbia, un'altra grande protagonista di “La Carne.” è Treviso.
Lì penso di non aver detto nulla di falso (sorride): le vie che nomino sono vere! Sono gli scenari che racconto. Non so perché, ma mi piace nominare i posti in cui vivo, passeggio. C'è stato un buon periodo della mia vita che adesso è passato in cui camminavo per Treviso fumando [Mario, vi assicuro, fuma tantissimo e so che dorme anche molto poco, ndr]. È stato un periodo molto lungo, è durato quasi un anno e il percorso che facevo era un percorso obbligato che ripercorreva e rievocava certi camminamenti che usavo fare non da solo.
E poi i nomi delle vie sono belli: “Via Santa Caterina già Poste Vecchie” è molto musicale. È stata anche una piccola sfida inserire in una canzone “Via Podgora”, che suona male, ma mi sembra che su “Benedetto Davvero” abbia un suo senso.
Hai chiesto a Massimiliano Parente di scrivere un'introduzione al disco.
È stata un'idea di Max [Massimiliano Bredariol, batterista dei VD, ndr] che sapeva del mio amore forte per Massimiliano Parente come scrittore, sono ossessionato dai suoi libri e dal suo stile, è una delle scoperte che ho fatto negli ultimi anni. Max me l'aveva buttata lì e gli ho risposto: “Ma è una persona che ha stroncato più di 400 libri!”. Il caso ha voluto che, dopo qualche tempo, ho letto sul suo Facebook: “Io non scrivo introduzioni. Neppure a pagamento.” e mi sono ricordato di quello che mi aveva detto Max. È stata una piccola sfida. Avevo una paura folle: avevo mandato una cosa mia, che ritengo preziosa, bella, a una persona rigorosa, cattivella, che poteva stroncarmi subito. Alla fine è andata bene.
In realtà, so che quando gli hai proposto di scrivere l'introduzione a “La Carne.”, lui ti ha risposto che l'avrebbe fatto solo se avessi duettato con Dolcenera. Devo essere sincera, per un attimo ho avuto il terrore che tu telefonassi a Dolcenera per proporle un duetto!
Massimiliano si era inventato questa storia d'amore assolutamente falsa e molto, molto divertente con Dolcenera durante il Festival di Sanremo, per il quale era l'inviato del quotidiano "Libero". In questa storia Massimiliano non si spiegava come Dolcenera potesse resistere alle sue attenzioni. In pratica aveva preso Dolcenera come esempio della pochezza della canzone italiana.
Con chi duetteresti (per compiacere esclusivamente te stesso, ovviamente) tra:
qualcuno di vivo?
...con qualcuno di vivo... con qualcuno di vivo... con i Virginiana Miller.
Qualcuno di morto?
Fabrizio De André (secchissimo, non ha nemmeno pensato). Poi muoio io però! (ride)
Un personaggio di fantasia?
Madame Medusa, la protagonista epistolare di “Contronatura” di Massimiliano Parente.
Un animale?
Mi piacciono i gatti. Se dovessi sceglierne uno in particolare, sceglierei sicuramente il gatto bigio.
Un oggetto?
Mi piacciono molto i soprammobili, anche se la polvere spesso li umilia. Mi piacciono i vasi. Ne ho comprato da poco uno a strisce orizzontali bianche e nere ed è piccolo e ciompo. Più che duettarci, lo metterei accanto quando scrivo le canzoni.
Questo disco presenta un doppio omaggio a Marco Ferreri: il titolo e un intero brano a lui dedicato.
Marco Ferreri, come Parente, è una passione forte. È forse il regista italiano che mi diverte di più, dove per “divertire” si intende che fa pensare, che indigna, fa sorridere, ti fa arrabbiare. È forse l'autore più completo che io conosca nel cinema italiano. “Dillinger è morto” è sempre stato una mia piccola ossessione.
“La Carne” non è un capolavoro, però mi piaceva l'idea della trasformazione in eucaristia della donna. Una venerazione assoluta che forse c'è anche nei miei dischi. Da una parte mi piaceva la fisicità (in “La Carne” Castellitto mangia la Dellera) e mi piaceva questa sua approssimazione: Ferreri era un regista approssimativo, non curava l'inquadratura in modo ossessivo, raccontava le cose “a scatti” e mi piace molto questo metodo.
Tuttavia il titolo del vostro disco è molto preciso: è “La Carne.”, con il punto alla fine. Perché il punto?
Mi piaceva esteticamente e poi è definitivo. Non mi piace l'idea di raccontare per metafore, anche se mi rendo conto, ricantando le mi canzoni, che anch'io le uso.
Questo c'è nel disco: la carne. Punto.
Quindi non era una paura di ricevere qualche pretesa da parte degli eredi di Ferreri e aggiungendo il punto pensavate per tutelarvi in qualche maniera.
In realtà ho pensato anche a questo. Secondo te, potrei rischiare?
A me piace pensare di no.
Qualcuno potrebbe dire che i Valentina Dorme, essendo un gruppetto abbastanza sconosciuto, vogliono affidarsi a un titolo famoso per avere più visibilità. Non mi sembra neppure il caso.
No, anche perché l'hai intitolato “La Carne.” e non “Dillinger È Morto”, non è un titolo troppo riconducibile.
Dai, speriamo bene, allora!
Un'altra cosa che mi ha colpito di questo disco, sono i due proiettili con il sangue in copertina. Nei due dischi precedenti c'era una donna.
Quando abbiamo dovuto scegliere la copertina, abbiamo subito detto tra noi: “No donne. Basta. Basta con questi gruppi indie che mettono le donne in copertina. Abbiamo già il nome di donna nel nome e nella nostra identità.” Ci siamo accorti che non avevamo assolutamente idee. Ci siamo affidati a più persone alle quali abbiamo chiesto di elaborare la copertina facendo ascoltare le nostre canzoni. Poi, vagando su Flickr, ho trovato questo Luca Rossato. Inizialmente mi ha colpito la fotografia dei girasoli che è nel retrocopertina e poi questa composizione che ha dedicato ai delitti italiani irrisolti. La fotografia originale prevede anche un righello accanto alle gocce di sangue e ai bossoli, la composizione completa era quella. Era una composizione che ci ha colpito favorevolmente. Ci piacevano i colori, la luce riflessa e le finestre che si specchiavano nelle gocce di sangue finto. Ci dava l'idea di una violenza buona e penso che “La Carne.” abbia qualcosa di questo, questa sorta di violenza, di vendetta, di omicidio.
Le vostre apparizioni dal vivo sono sempre state pochissime. Sarà così anche stavolta?
Abbiamo rispettato quello che ci eravamo promessi mesi fa, cioè di far uscire il disco entro giugno. Forse non è un periodo felice, molti ce l'hanno sconsigliato. In realtà, eravamo saturi di questo disco e finite le registrazioni, volevamo pubblicarlo. Così facendo ci siamo giocati l'estate. Mi auguro adesso che con Promorama [il loro nuovo booking] ci siano molte date da ottobre in poi.