07/03/2004

Oneida

Nouveau Casino, Parigi


In Francia gli Oneida sono degli illustri sconosciuti. Questo è ciò che si potrebbe dedurre dall’esiguità e dalla composizione del pubblico al loro primo concerto parigino di sempre. Il Nouveau Casino è una piccola sala, sebbene molto accogliente. Il tutto esaurito è ben lontano dal registrarsi, e un concerto a Parigi in cui i biglietti non finiscano in prevendita è una vera rarità. Si può essere ancor più meravigliati se si pensa che il prezzo del biglietto non arriva alle due cifre. Girando fra i larghi spazi che un’umanità non certo ammassata crea distribuendosi davanti al palco, si nota che una sorprendentemente larga fetta del pubblico è anglofona e che, oltre al sottoscritto, gli italiani presenti sono circa una decina (!).
In programma, ad introdurre il piatto principale, ci sono i Blutt, gruppo (di quarantenni) parigino che propone un rock di ispirazione newyorkese, fra Ramones e nuove tendenze, che lascia intravedere anche l’ascolto e l’influenza della new wave che probabilmente ha accompagnato le loro adolescenze. Divertenti e simpatici, un’esibizione tiratissima senza un momento per rifiatare: un buon antipasto.

Gli Oneida, che hanno seguito il concerto dei Blutt in mezzo al pubblico, si fanno attendere solo qualche minuto, il tempo di portare sul palco gli strumenti e delle ultime messe a punto.
Attaccano con un inedito, scritto pochi giorni prima di iniziare il tour, mi dirà in seguito Hanoi Jane, il chitarrista/bassista: è "Silver Apples", strumentale che nell’andamento ossessivo e nel titolo è un evidente omaggio alla mitica band omonima, concittadina e spiritualmente vicina. Le bordate a cui il trio ci ha abituato si ritrovano anche qui: Kid Millions (performance straordinaria la sua, ma per lui sembra che la straordinarietà sia routine: ci sta viziando) pesta sulla batteria con velocità e potenza inumane, mentre Hanoi Jane alla chitarra e Fat Bobby dietro a una vecchia tastiera provvedono a quel ruvido impasto sonoro che degli Oneida è il marchio di fabbrica. Ciò che sorprende, il vero valore aggiunto del brano, è una verdeggiante oasi psichedelica che, inaspettata, si schiude proprio nel bel mezzo di questo mantra senza voce.
Per la seconda canzone si torna su terreni conosciuti: presentata con un minimale "a song by Oneida, from Brooklyn, New York", ecco una lunghissima versione di "Each One Teach One", sempre efficace e affilata, purtroppo un po’ rovinata dalla cattiva regolazione del volume del microfono di Hanoi Jane, le cui espressioni di disappunto (eufemismo) sono eloquenti. Il problema viene risolto solo dopo l’esecuzione. Ancora la stessa introduzione, "a song by Oneida, from Brooklyn, New York", e parte, stavolta senza intoppo alcuno, "Double Lock Your Mind". Messi in condizione di esprimersi al meglio, subito gli Oneida raggiungono un’andatura a pieni giri.

L’incandescente finale meriterebbe tutt’altro pubblico che non i pochi e semi-immobili paganti della serata. Hanoi Jane, finora gran protagonista della serata, si lascia andare a un assolo che comincia con alcuni colpi dietro il manico della chitarra e finisce con lo strumento suonato con i denti e sopra la testa. Terminato il brano, gli scappa da ridere.
Non solo i ragazzi sono in palla, stasera, ma anche distesi come non li si immaginerebbe alla prima parigina. Fat Bobby parla un po’ del pezzo a seguire quando dal pubblico qualcuno domanda "Who wrote this song?". Si ride sopra e sotto il palco e, ancora una volta, il tastierista risponde: "This is a song by Oneida, from Brooklyn, New York". Questa frase diventa il tormentone della serata: non ci sarà una canzone introdotta diversamente! Si arriva dunque a "$50 Tea", prima selezione dall’ultima fatica "Secret Wars". Abbastanza fedele all’originale, come la seguente "Wild Horses", prima e sola pausa dopo tanti (e tali!) assalti alle nostre orecchie. Fat Freddy lascia per la prima volta dall’inizio la tastiera per una Les Paul. Non ci si illuda, però, che il risultato sia stato una ballata nel senso classico del termine. Se di ballata si può parlare, è nell’accezione "alla Oneida", come mi spiegherà in seguito il gentilissimo Hanoi Jane: sempre presenti gli effetti e le distorsioni a loro cari.

Arriva quindi il momento di "Fantastic Morgue", dallo split con i Liars. Più tardi ci sarà spazio pure per "Privilege", uno dei migliori momenti della serata, eseguita come penultimo brano. Segue il fulmine "Capt. Bo Dignifies the Allegations with a Response": il tempo di scandire il titolo per intero e la canzone è già finita, lasciando il sottile sentore della tempesta elettrica e il rumore del fiatone di Kid Millions. Gli inediti "Lavender" e "Men on the Scene" tengono alto il livello e fanno ben sperare per il futuro. "Caesar’s Column", uno dei brani più particolari di "Secret Wars", è qui più ordinario, ma non manca di trascinare il pubblico, finalmente più caldo.
La chiusura in bellezza spetta a un altro inedito, ed è una vera sorpresa. "Up with People" si snoda per circa un quarto d’ora su un inusitato (per gli Oneida) ritmo dance, chiara influenza dei gruppi newyorkesi dei quali si dichiarano amici. E’ un po’ tardi per farlo, ma il pubblico si scatena. Quando cala il silenzio siamo tutti sfiniti, non solo Kid Millions (in alcuni pezzi canta mentre macina colpi sulla batteria a ritmi vertiginosi: come fa?). Chi c’era può ritenersi fortunato, ed è bello vedere che gli Oneida lo sanno.

Impossibile, infine, chiudere questa recensione senza elogiare la disponibilità e la simpatia del gruppo dopo il concerto. Tutti e tre sono scesi fra la gente a chiacchierare e firmare autografi. Hanoi Jane si è impegnato anche a ottenere prezzi di favore sui loro cd per le persone che si fermavano a parlare con lui. Io stesso ho beneficiato del suo impegno, pagando 10 euro in totale "Each One Teach One" e "Secret Wars". Si poteva pure dare una pacca sulla spalla a Kid Millions e infradiciarsi la mano con il suo sudore: beh, ho detto "si poteva"…