I concerti gratuiti, si sa, sono sempre un rischio. Se il “nessuno regala nulla” può essere una convinzione da ricondurre a quell'eccessiva malizia dalla quale in pochi riescono a districarsi del tutto, in ambito artistico il discorso ha invece più di un fondamento concreto: quale locale pagherebbe fior fior di quattrini una band il più delle volte emergente senza pretendere di ricavare qualcosa dalla sua performance? Domanda a cui non serve nemmeno rispondere e giustificazione prima delle perplessità che eventi di questo genere finiscono giocoforza per generare, anche quando il gruppo coinvolto è di quelli in ascesa, che avrebbero tutti gli interessi del mondo nello sfruttare occasioni in grado di procurare pure una platea spesso anche troppo vasta.
Per i Samaris, una delle rivelazioni più interessanti dell'anno, l'occasione è arrivata al Circolo Magnolia di Milano, un luogo che da tempo rappresenta, assieme al LoFi e al Bloom di Mezzago, uno dei centri più attivi nell'organizzazione di concerti di qualità a prezzi a dir poco accessibili. E già la location, specie per chi conosce i ragazzi che vi lavorano alacremente – non dimentichiamo che si tratta di fatto di un Circolo Arci guadagnatosi con le sue sole forze la posizione che ricopre oggi – sarebbe bastata a fugare gran parte dei dubbi di cui sopra. A completare l'impresa è la performance cristallina dei tre affiatatissimi islandesi, brevissima (poco più di 45 minuti) quanto intensa e coinvolgente. Per la sfortuna del terzetto, il 5 settembre è una data particolarmente piena a Milano: in concomitanza alla loro esibizione sono programmante quella dei Baustelle al Carroponte e quella dei Chrome Cranks al già citato LoFi, con il risultato che neppure l'ingresso libero riesca ad attirare al Magnolia un pubblico superiore alla cinquantina di persone.
Nella speranza invano di un'affluenza in crescendo, lo show inizia con ben quaranta minuti di ritardo rispetto alla tabella di marcia. I tre si presentano così sul palco alle 22.40, da soli, senza collaboratori o assistenti: Þórður dietro alla postazione elettronica di tastiere, controller e laptop, con al suo fianco il clarinetto di Áslaug e, più decentrata, una Jófríður a cui un curioso vestito bianco dona in tutto e per tutto la parvenza di una fata. Quella risicata parte del pubblico presente che aveva conosciuto la miscela dream-electro proposta dal trio nell'omonima raccolta di debutto europeo resta a dir poco sbalordita dall'attacco di “Nótt”, un'autentica mitragliatrice techno sulle cui arrembanti pulsioni poco o nulla possono le lunghe e dissipate note del clarinetto.
Sette minuti al fulmicotone per un inedito con cui la band apre da almeno un anno tutte le sue performance ma non destinato a comparire sull'album di inediti in uscita a inizio 2014, a differenza del successivo e altrettanto fervente tappeto elastico di “Vildi Feginn”.
L'ambiente si fa più familiare nel mantra trip-hop di “Sólhvörf II”, uno degli episodi più uptempo del repertorio edito degli islandesi e ulteriormente caricato dai trattamenti elettronici di Þórður, qui autentico regista dell'impalcatura sonora montata e modellata a suon di riverberi e sample. Il lato plumbeo e noir del Samaris sound viene rispolverato in una “Vöggudub” decisamente più fagocitata e straziante dell'originale, con i lunghi crescendo del clarinetto ad assumere una forma torrenziale, tanto da scavalcare spesso la voce: si tratta di una delle vette espressive della breve serata, dove risulta percepibile in toto l'abilità e la coesione di tre anime pur molto diverse fra loro. La doppietta successiva torna a fornire anticipazioni sul nuovo album che la band sarebbe in procinto di concludere: “Þótt Hann Rigni” è un serpentone sbiadito e plumbeo, un deciso cambio di ambientazione sonora rispetto alle trame cristalline fin ora espresse, mentre “Máninn” torna a premere sull'acceleratore, a conferma dell'ipotesi di un probabile sviluppo del lato ritmico su quello atmosferico.
In chiusura di scaletta il trio infila invece i due brani più noti, quelli scelti per la promozione dell'omonimo disco rispettivamente in Europa e nella natia Islanda: il notturno lunare di “Góða Tungl” acquisisce carica emotiva e verve perdendo un po' del velo gelido della versione in studio e la somiglianza con Björk, mentre “Stofnar Falla” risuona nella sua pece nera fra una moltitudine di echi e un ritmo marziale. Niente bis e la serata si conclude così con quel tocco epidermico che, a ragion veduta, il trio ha deciso di sacrificare, in favore di uno sviluppo dinamico che si preannuncia pure come la chiave di volta per il futuro prossimo. Un futuro sul quale, date le premesse, i Samaris hanno tutte le carte in regola per poter imprimere il proprio marchio in maniera indelebile. Per il momento, sia dal vivo che in studio, toccherà loro “accontentarsi” del titolo di band rivelazione del 2013.