Shivaree

Shivaree

Sotto la luna con Ambrosia

Intervista e profilo della band americana che ha spopolato con "Goodnight Moon", grazie all'interpretazione raffinata e sensuale di Ambrosia Parsley da San Fernando Valley

di Claudio Fabretti

Shivaree (dal francese charivari, una serenata per sposi novelli, usata spesso lungo le coste del fiume Mississippi) è la sigla dietro la quale si cela Ambrosia Parsley, ventinovenne californiana il cui nome evoca il nettare degli Dei e la cui voce sensuale sussurra canzoni delicate e ironiche.

L’album d’esordio della band, I Oughtta Give You A Shot In The Head For Making Me Live In This Dump ha conquistato le classifiche di mezzo mondo, sull’onda dello struggente singolo “Goodnight moon”. Una splendida melodia triste e a più colori, cantata da Parsley in un registro pop rauco stile Stevie Nicks e che la Breil ha voluto come colonna sonora del suo ultimo spot. "Non ho mai visto lo spot - racconta Ambrosia - è arrivata una telefonata e poco dopo quel brano era dappertutto. Del resto, nella mia vita, le cose sono sempre accadute un po' per caso e un po' per magia. Come nei film". Nata in California a San Fernando Valley, Parsley è cresciuta in una famiglia numerosa e eccentrica, dove ha appreso subito il gusto per la musica. "Mio padre e i miei due fratelli suonavano sempre musica country, la mia nonna materna il piano e lo ukulele. Mia madre si limitava a sognare e a non voler mai fare da mangiare. Per questo andavamo spesso in pizzeria e lì, per caso, ho cominciato a cantare sui tavoli del locale insieme a dei suonatori di banjo. Avevo sette anni".

Proprio le nonne sono due figure fondamentali nella vita di Ambrosia. Quella materna, romantica, le ha insegnato a suonare, l’altra, a capire le passioni. "Mi raccontava sempre di quando, anni prima, era andata a riprendersi mio nonno, un rubacuori che l’aveva abbandonata per un’altra donna. Lei ha preso i figli e dalla West Virgina si è trasferita in California, dove lui era andato a vivere. Poi, una mattina, ha suonato alla porta di casa sua e l’ha pugnalato alla spalla. In modo leggero, ma tanto per lanciare un messaggio. Naturalmente la storia ha avuto un lieto fine e il nonno è tornato da lei". L’incontro con i due session-men degli Shivaree, il chitarrista DukeMcVinne e il tastierista Danny McGough, avviene anch’esso per fatalità. "Dopo le prime esperienze da bambina non pensavo che sarei diventata una cantante. Ho fatto un sacco di lavori, cameriera, commessa in un negozio di libri, rappresentante di cosmetici…però scrivevo molto. Mi piaceva trovare storie che mi dessero emozioni forti, lasciarle decantare dentro di me e poi rivestirle di suoni e di parole. Duke l’ho conosciuto a un party e lui si è intrufolato nella mia vita subito, arrangiando una mia canzone". Da lì, la nascita di un trio affiatato che per il nome Shivaree si è ispirato alle "drunken serenade" (grida in stile country per l’addio al celibato). L’interminabile titolo del disco (“Dovrei spararti un colpo in testa per lo schifo in cui mi fai vivere”) ha un impatto comico immediato: "L'ho scelto perché mi piaceva e non per la sua lunghezza. Le parole hanno a che fare con una sit-com americana degli anni ‘60: una mucca ha ingoiato una radiolina, e quelle parole sono la strofa di una canzone che la radio sta trasmettendo quando il veterinario riesce ad estrarre l'apparecchio dallo stomaco dell'animale".

Le dodici tracce dell’album propongono una vivace commistione di ballata folk e slanci pop. Un’alchimia di suoni, emozioni e rumori di fondo tenebrosi, bizzarri e fascinosi, che la voce morbida da femme fatale di Ambrosia riesce a esaltare. Si passa così dal trip-hop di “Bossa Nova” allo spiritual di “Arlington Girl”, dalla tenera ballata per piano e chitarra di “Idiot waltz” al blues alticcio alla Tom Waits di “Lunch”, dalla danza febbrile di “Pimp” alla sonnolenta trance di “I don’t care”. E' un repertorio memore della lezione trip-hop di Bristol (Massive Attack, Portishead), ma anche del folk tradizionale americano. Tra le canzoni, anche una con un titolo italiano: “Arrivederci”, che prende spunto "da un malinconico addio in un aeroporto milanese cinque anni fa", come ha spiegato la cantante. "Facciamo solo canzoni ma ciascuna deve essere un piccolo, eccitante universo a sé. L’importante è che anche nei brani più drammatici (“Ash wednesday”, ad esempio, racconta l’attesa, dopo la sua cremazione, dei resti di Patricia, la sorella di Duck, morta di cancro) si mantenga pacatezza, distacco, e un lieve senso dell’humour. Per esorcizzare il dramma e vivere la vita più serenamente". Cresciuta tra gli hippie (“mio padre aveva i capelli lunghi e la barba incolta, mia madre era la tipica freak”), ascoltando Billie Holiday e Nina Simone, Ambrosia dice di essere sempre stata molto attratta dalla country-music, ma di ascoltare oggi soprattutto PJ Harvey, Bjork, Radiohead, Vic Chestnut, Sparklehorse e Rufus Wainwright. Linda Berry e Garcia Marquez sono le sue letture preferite, mentre al cinema non sopporta i film troppo violenti. A dispetto della sua aura sensuale, la cantante californiana è essenzialmente un’antidiva, che gioca con la sua popolarità con l’ironia di una consumata bluffatrice. Se il buon giorno si vede dal mattino, di Ambrosia Parsley, con o senza Shivaree, continueremo a sentire parlare.

Nel 2002, Rough Dreams, conferma infatti il talento della formazione statunitense, seppur offuscato, qua e là, da un pizzico di manierismo. Il titolo, questa volta sintetico, nasce da una canzone di Otis Redding: "Ci piaceva l'idea del sogno turbolento, della prospettiva onirica sconvolta. Brutto o bel sogno che sia", racconta Ambrosia. L'album è un'eclettica rassegna di pop, trip hop, techno rock e molto altro. Si passa dall'energia di "Thundercats" alla malinconia trasognata di ballate come "Stealing Home". Sempre maggiore l'influenza di Tom Waits (Stephen Hodges, il batterista, ha suonato per diversi anni con il cantautore di Pomona), ma l'impressione è che manchi un brano in grado di rinnovare le emozioni e il successo di "Goodnight Moon".

La voce di Ambrosia, comunque, continua a incantare anche su Who's Got Trouble? (2005), mescolando inflessioni sexy con un candore quasi infantile. L'upbeat di "It Got All Black" e "I Close My Eyes", i toni più dimessi della suadente "I Will Go Quietly" mantengono su livelli dignitosi uno standard che, ormai alla terza prova, mostra un po' la corda.

Ormai nella semi-clandestinità, la band californiana partorisce anche il quarto lavoro in studio, Tainted Love: Mating Calls & Fight Songs (2007), una raccolta di cover di love-song internazionali. Si alternano una versione quasi industrial di “I Wanna Be Your Driver” di Chuck Berry, una sensuale “Half On A Baby” di R.Kelly, la rilettura in chiave cinematica di “Would You Lay With Me (In A Field Of Stone)” di Tania Tucker, il jazz-pop di “My Heart Belongs To You” di Ike Turner, la riedizione di “Paradise” delle Ronettes e una stravagante trasformazione lounge di “Look That Kill” dei Motley Crue. Da menzionare anche la cover di “”Don’t Stop ‘Til You Get Enough” di Michael Jackson. Ma la sigla Shivaree è ormai praticamente un fantasma.

Shivaree

Discografia

I Oughtta Give You A Shot In The Head For Making Me Live In This Dump (Capitol, 2000)

7

Rough Dreams (Compact Disc, 2002)

5

Who's Got Trouble (Zoe, 2005)

5,5

Tainted Love: Mating Calls & Fight Songs (V2, 2007)

5,5

Pietra miliare
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Goodnight Moon (videoclip da I Oughtta Give You... , 2000)