Quello che incanta è la magistrale capacità di Björk di caricare ogni suo lavoro di risvolti onirici. Ogni opera di Björk è una rappresentazione interiore e visionaria, quasi una soluzione fantastica alla quotidianità grigia e robotica. Ma anche una soluzione volta al futuro. Quasi fosse una sacerdotessa che, all'interno di un Tempio allietato da sound elettronici, interrogandosi sulla sorte del mondo, dà risposte sotto forma di metafore e versi da interpretare. Perché Björk è anche enigmatica autrice. La sfinge d'Islanda, verrebbe da dire, essendo arrivata da un'isola in cui Natura e Magia hanno sempre vissuto a stretto contatto.
Ascoltando questi quindici brani, si comprende come l'avanguardia di Björk stia nell'aver attraversato in dieci anni il mondo dance elettronico differenziandosi da tutti i suoi colleghi. Niente techno o drum 'n' bass a creare l'effetto giungla come molti insistono a fare, ma un groove in cui la tradizione musicale - con ampio uso anche di maestose orchestre sinfoniche come in "Isobel" e "Bachelorette" - convive su un supporto high-tech, con esiti drammatici, ma profetici e regali allo stesso tempo. Stando volutamente lontano da risultati tipo "bolgia sonora", Björk è riuscita ad esaltare i singoli suoni. A metà tra la dance e il trip-hop. Ma è riuscita anche a caricarli di nuovi significati. Björk ama la Natura e i suoi suoni. Così ha sempre cercato di "naturalizzarli". Come in "Hidden Place", in cui si immagina dentro un iceberg e pian piano sente ciò che proviene dal di fuori prima attutito poi più definito. O nell'inno alla Natura di "Hyperballad". L'effetto è catastrofico in "Possibly Maybe" o da "truppa all'assalto" in "Army Of Me". Addirittura metafisico in "All Is Ful Of Love" o "Pagan Poetry". In altri invece, soprattutto nelle incisioni del primo album, ci si accorge che Björk preferiva giocare come un artista dadaista. "Venus As A Boy", "Big Time Sensuality", "Human Behaviour" sono esempi di creatività allo stato puro. In più, l'inedita "It's In Our Hands": il suo nuovo sogno.
Oltre ai semplici arrangiamenti, Björk colpisce nel segno per una tecnica vocale difficile da definire. Gelida ma piena di energia. Che si scontra volutamente anche col tessuto sonoro sottostante. Che gioca con onomatopee. Che urla e che canta sottovoce. Una voce unica e inconfondibile.
(25/10/2006)