Sono in quattro, due ragazzi e due sorelle gemelle; arrivano dall'Islanda, teatro di una delle scene musicali più interessanti e vitali degli ultimi anni. La loro musica è una particolarissima miscela di beat elettronici ispirati alla scuola berlinese, partiture strumentali che uniscono chitarre, basso, piano, tastiere "vintage", archi, fisarmonica e altro ancora, e melodie dolcissime e delicate come una ninnananna. Già il loro primo album, due anni fa, aveva creato un certo interesse, ma è con questa seconda prova che i Mùm si impongono decisamente come una delle più belle sorprese di questo inizio millennio.
La loro impostazione è già chiara dal primo singolo, "Green grass of tunnel": suoni tenui e rilassati, ritmi insinuanti, voce infantile e sussurrata, il tutto disteso su un incantevole tappeto elettronico. Sulla stessa falsariga è anche la successiva "We have a map of the piano", impostata su un incisivo giro di basso e su una fantasiosa fuga pianistica. Ma le perle del disco sono altrove, nei momenti più sperimentali come le strumentali "Half noise" (8' di lenta e inesorabile caduta verso il silenzio), "I can't feel my hand anymore", chiusa da uno splendido arrangiamento di archi, e la title-track, che vira verso l'ambient.
A chiudere degnamente un album di rara forza evocativa e suggestiva, ecco la straordinaria "The land between solar systems", 11 minuti che riescono a trovare il punto d'incontro tra l'elettronica minimalista e la psichedelia più dilatata e sognante, con la voce che disegna panorami di sconfinata bellezza e malinconia. Un disco da cui bisogna farsi avvolgere, in cui bisogna perdersi totalmente per poterlo apprezzare in tutte le sue infinite sfumature.
03/11/2006