La loro impostazione è già chiara dal primo singolo, "Green grass of tunnel": suoni tenui e rilassati, ritmi insinuanti, voce infantile e sussurrata, il tutto disteso su un incantevole tappeto elettronico. Sulla stessa falsariga è anche la successiva "We have a map of the piano", impostata su un incisivo giro di basso e su una fantasiosa fuga pianistica. Ma le perle del disco sono altrove, nei momenti più sperimentali come le strumentali "Half noise" (8' di lenta e inesorabile caduta verso il silenzio), "I can't feel my hand anymore", chiusa da uno splendido arrangiamento di archi, e la title-track, che vira verso l'ambient.
A chiudere degnamente un album di rara forza evocativa e suggestiva, ecco la straordinaria "The land between solar systems", 11 minuti che riescono a trovare il punto d'incontro tra l'elettronica minimalista e la psichedelia più dilatata e sognante, con la voce che disegna panorami di sconfinata bellezza e malinconia. Un disco da cui bisogna farsi avvolgere, in cui bisogna perdersi totalmente per poterlo apprezzare in tutte le sue infinite sfumature.
(03/11/2006)