Dopo una frenetica attività di compositore per colonne sonore, l'ex Velvet Underground John Cale è tornato al rock con l'album "Hobosapiens" (anticipato dalla pubblicazione del discreto "5 Tracks EP" all'inizio della scorsa estate), il suo primo lavoro full length dai tempi di "Walking on locusts" (1996). Per capire appieno lo spirito che anima questo disco è utile soffermarsi sul significato del titolo: cos'è esattamente un "hobosapiens"? Come ci spiega lo stesso Cale: "Un hobo è un vagabondo, ma anche qualcuno che vive proiettato verso il futuro, verso i posti che sta per vedere. Anche a me interessano di più le cose che sto per fare di quelle che ho già fatto". E' forse questa, alla fine, la vera essenza dell'arte di Cale, del suo modo di concepirsi come musicista?
L'ultima fatica discografica dell'ex signor Velvet Underground potrebbe essere la risposta.
Oltre a essere l'ulteriore conferma di una precisa e coerente scelta artistica, "Hobosapiens" è anche un disco a tratti davvero ispirato, ricco di episodi che sanno in qualche modo sorprendere. La maggior parte delle canzoni sono nate in studio: "Ho creato prima i suoni e le parti ritmiche — continua Cale - e poi, una volta preparate queste cose, ho deciso che melodie inventare a seconda dell'argomento di cui volevo parlare". Questo approccio alla composizione non deve stupire: il Nostro ha confessato di provare ammirazione per le sonorità folk-elettroniche della Beta Band e per gruppi come Radiohead ed Elbow, e di essere stato ispirato dai loro metodi di composizione. Sotto questa "nuova" veste si possono benissimo riconoscere le caratteristiche della musica di Cale, la sua intelligenza, la sua ironia.
Si parte con il quasi hip-hop di "Zen", sorretto da un basso quasi atonale e discontinuo e attraversato da suoni campionati che vanno a costituire un tappeto armonico su cui si stende la melodia vocale; se non fosse per la ritmica, verrebbe subito alla mente "Music for a new society"… Già questa canzone potrebbe di per sé essere rappresentativa del nuovo corso musicale intrapreso dall'eccentrico artista gallese, ma nella seconda traccia Cale spiazza l'ascoltatore con un repentino cambio di umore: l'apparente solarità di "Reading my mind", canzoncina frivola imperniata su un basso saltellante e uno scherzoso commento di piano; il tutto fa da commento musicale a una bizzarra vicenda che vuole rievocare, grazie anche a recitati in italiano, certe atmosfere dei nostri film anni 50. Per le parti recitate Cale si è servito del contributo dell'attrice Alba Clemente e della collaborazione di camerieri italiani di un ristorante di New York (!). Il risultato è decisamente bizzarro, ma a suo modo umoristico.
La successiva "Things" ci mostra il lato più "pop" di Cale: è l'unica canzone del disco composta alla chitarra acustica e musicalmente rappresenta una forte virata verso sonorità decisamente easy listening. E' questo un lato onnipresente (e aggiungerei misconosciuto e spesso frainteso) della produzione musicale di Cale, sin dal suo lontano debutto nel 1970 "Vintage Violence": un pop melodico (che a volte scade nel melenso) condito da testi spesso fortemente ironici. Da notare che la canzone è presente anche in un'altra versione, "Things X", decisamente più acida e sperimentale. Proseguendo nell'ascolto, ci si imbatte in alcuni episodi molto interessanti, tra tutti l'ispirata "Look horizon", guidata dal suono della sua viola, sotto un tappeto sonoro tra jazz ed elettronica, le suggestive "Magritte", "Archimedes" e "Caravan" (onnipresenti nelle scalette dei recenti concerti), la simil-house scanzonata di "Bycicle" (che per certi versi potrebbe ricordare gli esperimenti del Bowie di "Black Tie White Noise"), il folk visionario e delirante di "Letter from abroad".
La conclusione è affidata a "Over her head", climax e capolavoro del disco, con la sua drammaticità scandita dal piano e dal tono solenne della voce salmodiante di Cale, il suo crescendo emotivo, fino alla sorprendente ed esplosiva conclusione noise chitarristica, che si spegne con lo stridere della sua leggendaria viola. Sicuramente la migliore composizione di Cale da molto tempo a questa parte.
"Hobosapiens" è, in definitiva, un lavoro affascinante: a ogni nuovo ascolto c'è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, ogni traccia sembra avere il suo segreto nascosto; soffre, come gran parte dei lavori dell'ex Velvet, di una certa pretenziosità che lo rende a tratti ostico. Non è mai stato facile, John Cale. Non ha mai cercato o incoraggiato il favore del pubblico, e il suo carattere schivo e la sua integrità artistica non lo hanno mai aiutato in tal senso. La sua musica non è immediata: mette alla prova l'ascoltatore, aspetta solo di essere scoperta. Anche in questo disco, Cale gioca, sperimenta, procede per tentativi come un mad scientist . Per chi ha la giusta predisposizione d'animo a seguire le peregrinazioni dell'hobo Cale, per chi ancora crede in un approccio vivo e stimolante alla musica, al di fuori delle mode e delle tendenze, per chi, insomma, ha amato e riconosciuto il suo contributo fondamentale sin dai Velvet Underground, "Hobosapiens" è un disco della cui esistenza è il caso di rallegrarsi.
26/10/2006
1 Zen
2 Reading My Mind
3 Things
4 Look Horizon
5 Magritte
6 Archinedes
7 Caravan
8 Bicycle
9 Twilight Zone
10 Letter From Abroad
11 Things X
12 Over Her Head