Dopo l'esperienza di "Grain" (2002), il chitarrista inglese Keith Rowe - già membro dei leggendari Amm - e il percussionista tedesco Burkhard Beins tornano a collaborare per questo lavoro della serie ErstLive, numero di catalogo 001, mantenendo inalterate, e, se possibile, radicalizzandole, le loro intuizioni estetiche.
La performance si dipana da una elettro-modulazione oscura, da cui procede una nube fittissima di lamine chitarristiche e di frequenze radiofoniche. Rowe ci ha ormai abituato a quest'uso ossessivo della radio, vista come portatrice di un ben definito carattere mediatico all'interno della performance (in questo caso, numerosi sono gli inserti che hanno a che fare con la guerra in Iraq). La voce "altra" della radio aleggia insistente - come una sorta di "contrappunto", ama sostenere Rowe - sull'accumulo disorganico e torvo di rumori, glitch radioattivi, trapanature nevrotiche, liquami elettronici, etc.. L'atmosfera è gelidamente claustrofobica - autistica, direi - e scaturisce da una sintesi aleatoria di eventi sonori: fratture iconoclaste di industrial, decostruzioni al limite dell'irrazionalità più bieca, crepe atonali, armonie impossibili di rumori impossibili, sventrate e diluite con la chimica della follia.
Dentro un tunnel sempre più buio di suoni metallici e di radio-frequenze, la chitarra di Rowe inasprisce i giochi con icastiche implosioni (memori dei soliloqui del suo "A Dimension Of Perfectly Ordinary Reality"), mentre lo spazio si riempie della "Son Of A Preacher" di Dusty Springfield, riconoscibilissima e tremendamente "aliena", ma dal fortissimo impatto contemplativo. Si prosegue, poi, con i panorami percussivi deturpati di Beins e i grumi effervescenti di suono che, come da un fondale torbidissimo, risalgono in superficie, scontrandosi e dissolvendosi nelle solite, turbinose sventagliate di accordi d'acciaio.
E' una musica che attinge a piene mani dalla gloriosa stagione dell'improvvisata europea (Amm, Music Improvisation Company, Music Now Ensemble), nonché da una certa stagione "concreta" dell'avanguardia d'oltreoceano (penso soprattutto agli Mnemonists), ma sfregiandone oltremisura la già immane capacità "distruttiva". Alla fine, la sensazione è quella di una degradazione schizofrenica del suono, anche se estremamente "lirica" e attuale, per il modo in cui riesce a fare del momento improvvisativo una dichiarazione di libertà ideologica.
12/12/2006