Nel libretto apribile a poster di "The Runners Four" trovano spazio trentasei figure, nove delle quali campeggiano in copertina. Si tratta di immagini ritagliate, isolate dal contesto originario e quindi riunite simmetricamente. Tra queste - per esempio - ritroviamo una nuvola, un ananas, un cappello, una palla di neve e una tazza. Scelta grafica quanto mai appropriata, essendo la giustapposizione di elementi diversi una delle caratteristiche principali di questo disco.
L'ingrediente più saporito, quello che cattura dal primo ascolto, è la tipica voce sognante di Satomi Matsuzaki, frontwoman e bassista giapponese del quartetto californiano. Ascoltatela procedere eterea in canzoni come "Running Thoughts" o "Vivid Cheek Love Song", seguitela nei delicati recitati e nei crescendo di "Wrong Time Capsule", la ritroverete subito dopo a livellare le asperità sintetiche di "Spirit Ditties of No Tone", pezzo magnifico dall'incedere intrigante alla Snakefinger.
L'altro polo principale di attrazione è la batteria di Greg Saunier, spesso protagonista - quando Satomi glielo permette - con il proprio drumming deciso, essenziale, continuamente impegnato in fermate, ripartenze e cambi di ritmo. E' lui a staccare e contribuire, con mirati e trascinanti siparietti, in ognuna delle venti tracce e ad assaltarci in "Scream Team" o in "Twin Killers", travolgente e obliqua filastrocca che Greg inietta di energia. Completano il quadretto delle allegre diversità di casa Deerhoof bassi e chitarre tirate a lucido e synth beffardi.
L'epica "Siriustar" è forse la perfetta sintesi delle diverse peculiarità esposte sinora: riff feroce della chitarra di Dieterich, in uno dei rari momenti di visibilità, voce onirica della Matsuzaki, sfuriate elettriche e batteria scatenata a chiudere il cerchio. Pur con tali premesse, in un disco fondamentalmente pop - almeno nei risultati - come questo, non sorprende trovarsi tra le mani una delicata e introspettiva canzone d'amore, "Odyssey", compatta e limpida oltre ogni aspettativa, la meditativa e dolce "Lemon And Little Lemon" (dove ci si convince definitivamente che Satomi e Laetitia Sadier abbiano lo stesso patrimonio genetico) e la soffusa finto-bucolica "Bone-Dry". Non mancano jingle (su tutti, la già citata "Twin Killers" e "Spy On You") né inni (la scatenata "O'Malley, Former Underdog").
"The Runners Four" è in sostanza un compendio di filastrocche sognanti e motivetti pop continuamente interrotti e deviati da una irrefrenabile batteria. I Deerhoof suonano in questo disco come degli Stereolab mutanti nei quali impeto ritmico e carica melodica vengano scissi e alternati, amplificando ora caricaturalmente il primo e deviando poi verso la nenia weird la seconda. E' infine un album insolitamente lungo per lo standard dei Deerhoof: anche se i cinquantasei minuti di "The Runners Four" non rappresentano certamente una durata eccessiva, tutti i loro lavori precedenti si fermavano, al massimo, poco oltre la metà.
Apprezzamento particolare per la produzione chiara e ben aderente allo spirito del disco, che enfatizza i diversi aspetti dell'album esaltandone di volta in volta dettagli significativi, negoziando così tra le anime del gruppo nel tentativo, probabilmente riuscito, di ottenere un risultato finale maggiore della somma della parti che lo compongono.
30/08/2020