Earth

Hex, Or Printing In The Infernal Method

2005 (Southern Lord)
psichedelia

Dimenticate il drone eterno e la pesantezza emozionale di un disco come "Earth 2", pioniere nel 1993 di quello che poi sarebbe stato chiamato drone-rock. "Hex, Or Printing In The Infernal Method", quinto album ufficiale della creatura di Dylan Carlson, scompone la fissità estenuante di quel sound pionieristico in nove pannelli di psichedelia dilatata che muta costantemente in un vero e proprio caleidoscopio di southern-gothic, cesellato con riverberi, tremoli e qualche sprazzo di furia heavy.

Accompagnato da Adrienne Davies (batteria) - cui si aggiungono altri comprimari divisi tra basso (John Schuller), lap e pedal steel guitar (Dan Tyack), trombone e campane tubolari (Steve Moore) - Carlson trova nuova linfa per il suo elogio incondizionato della lentezza, muovendosi con ispirazione calcolata dentro prospettive illimitate e scegliendo di parlare il linguaggio di quella che è a tutti gli effetti la parte oscura del deserto. Desert-music, in effetti, potrebbe essere una descrizione adeguata, ma di certo non coglie pienamente tutte le sfumature di un modo di intendere il rock che ha ormai tutti i crismi della "classicità". "Hex" è come un miraggio cristallino dopo le tempeste infernali dei primi assalti sonori. Magari, ripensare alle atmosfere più rilassate e ipnotiche di "Pentastar: In The Style Of Demons" (1996) aiuterà a dirigere meglio lo sguardo dentro il "metodo infernale" di Carlson. Metodo ancora enigmatico, come la stessa "Mirage" sembra confermare dai recessi di una fragilità misteriosa, ma consegnata alle più diverse ramificazioni liriche e, inoltre, assalita da un'inquietudine profonda.

Da questa prospettiva, la slow-motion cinematografica di "Land of Some Other Order" aspira a essere riconosciuta come una vera e propria marcia funebre per tutte le presenze, visibili e invisibili, che abitano i confini del deserto. Lì dove, insomma, i simboli di un passato sepolto si manifestano al passo delle stagioni. Peregrinazioni di carovane senza meta, verso la quiete interiore ("The Dire and Ever Circling Wolves") che, a tratti, ("Left In The Desert") quel vento che fissa le stelle in un cerchio di gelido splendore evoca con tratti indistinti ("Left In The Desert"). E, in questo spazio-tempo fremente di vita e di morte, anche la speranza sa essere ambiguamente insopportabile.

Nel silenzio asfissiante, gli accordi spaziali rimarcano, ferocemente, un senso di religiosità cosmica, l'ardore rivitalizzante eppure insostenibile di un abbraccio eterno ("Lens Of Unrectified Night"). Fluorescenti lame di roots-rock che girano in un cerchio di fuoco e che dipingono l'epopea della frontiera ora con accenti morriconiani ("An Inquest Concerning Teeth"), ora con magniloquenti mulinelli di heavy-psichedelia ("Raiford (The Felon Wind)". E' la stessa frontiera che si scorge dietro l'insondabile afflato "nero" di "The Dry Lake", a metà tra world-music e ambient-isolazionista. Puri e indifesi, restano, allora, i rimasugli di un post-country ("Tethered To The Polestar") che sceglie di contemplare con distaccata meraviglia una terra selvaggia ma pacificata.

Tracklist

  1. Mirage
  2. Land of Some Other Order
  3. The Dire and Ever Circling Wolves
  4. Left in the Desert
  5. Lens of Unrectified Night
  6. An Inquest Concerning Teeth
  7. Raiford (The Felon Wind)
  8. The Dry Lake
  9. Tethered to the Polestar

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