La libertà che questa musica richiama è veramente abissale. "Freedom" è quasi un rituale religioso, in cui la trascendenza di un vuoto che ci accompagna perennemente si sporge da dietro il bagliore della voce che si perde tra i suoi echi e le sue sfumature armoniche. Il deserto solcato dal richiamo di un flauto lontano; scampanellii come sciami di insetti fannulloni e felici; una voce desolata e narcotizzata: "Purple Fantasy" è puro descrittivismo sonoro. Cerchi di fuoco come feste pagane accese da coralità primitiva ("Velada"); celebrazioni di un Dio irraggiungibile ("Karma") che sbadiglia sulla veranda di casa, pipa accesa e sguardo austero. La creazione di uno spazio in cui poter liberare significati nascosti e ormai sepolti.
L'ascesa di un desiderio di immortalità verso un cielo ammutolito ("Tyranny"). La preghiera tramutata in respiro ("Moonlight Sonata") e lasciata vacillare, tremante di paura e di terror panico. Diamantine corde e radiosa psichedelia vocale che dipanano gomitoli cosmici ("Neon Lights"). Quello di Fursaxa è un universalismo religioso che fonda la sua cifra sonora su di un vibrare arcaico e "nascosto".
Molti parleranno di free-folk, certo. Ma, invero, qui il folk è da intendersi come uno spazio libero in cui la musica si tramuta in omaggio sacrificale sotto forma di cerimoniale tragico e, al contempo, liberatorio, magico e salvifico ("Poppy Opera"). Cerimoniale che, un'umanità solennemente incolonnata lungo un deserto senza limiti, costantemente imbastisce e perpetua nei secoli ("Russian Snow Queen").
Se non riuscite a versare nemmeno una lacrima davanti alla struggente bellezza cristallina di "Pyracantha" (voce e chitarra galoppante), allora, per piacere, fate domanda alla Nasa e aspettate di essere spediti su Marte! Nel frattempo, noi altri potremo per l'ennesima volta annegare nel maelstrom angelico/infernale di "Una De Gato", ultimo avamposto di vibrazioni ipnotiche prima del silenzio.
(22/02/2010)