Jim Moray è un cantautore inglese venuto alla ribalta tre anni orsono grazie al suo disco d'esordio, "Sweet England", navigando sull'onda lunga del cantautorato "moderno", mescolando l'elemento passato (il folk, i suoi brani di partenza sono veri e propri traditional) a quello presente (l'elettronica, con basi e scorie, e gli arrangiamenti che cambiano davvero volto ai pezzi, ammordernati anche melodicamente).
Il disco ha ricevuto buone recensioni ma Moray non è diventato un fenomeno come qualche altro. Ciò non ha fatto demordere il ragazzo (poco più che ventenne), anzi forse è stata la spinta a ripresentarsi, oggi, con un disco omonimo ed un formato diverso e più vicino alla sua indole (e alla sua voce, lirica, pulita e assai modulata). In "Jim Moray" dunque l'elettronica passa a puro orpello e il grosso viene lasciato all'orchestra, come si può ben vedere nel preludio e attacco del primo vero brano, "Lord Willoughby". I pezzi restano modellati su traditional (tranne un paio), e come al solito emerge molto la mano di Moray, soltanto stavolta in chiave più smaccatamente pop, dando vita ad un vero e proprio folk-pop orchestrale.
Veniamo dunque alle canzoni. Dicevo di "Lord Willoughby", il biglietto da visita del nuovo corso. Melodia di piano veloce con la voce a giocarci su e gli archi a tendere la corsa, fiati e campanelli a cesellare l'evoluzione e finale in crescendo. Il brano è ad emotività alta e aperta, e gli elementi sono perfettamente bilanciati: Moray conferma subito talento e perizia. "Dog+Gun", aperto invece da un fendente luccicante di chitarra psych, è un folk dilatato in cui prevale la componente rock su quella orchestrale, un brano introverso e di qualità.
"Barbara Allen" smorza le tensioni in pop melodico dal grande appeal commerciale (nonchè adolescenziale), guizzi elettronici ad ammodernare il chitarrismo folk, voce femminile a contorno, risultato piacevole. "Fair+Tender Lovers" si limita a seguire la stessa via, anche se in modo meno sputtanato, mentre "Nightvisiting", messa là in mezzo, completa il tuffo nello zucchero, con il pianismo ficcante ad evitare l'effetto eccesso. A tratti il lirismo ricorda Bellamy e i suoi Muse, nella versione ingenua del primo disco.
La qualità è calata e l'atmosfera si è fatta più lieve. A tornare a fare sul serio ci pensa l'epopea di "My Sweet Rose" con i suoi giri di violini classici, i lampi elettronici e il canto alterato. Probabilmente il miglior brano della raccolta. Un'altra vetta è toccata dalla romantica "Gilderoy" con motivetto di piano e tenere sottolineature di flauto, mentre "Flow My Tears", jazzata e dilatata, e "Who's the Fool?", pestata e accelerata, sono variazioni a tema.
Il disco si chiude sulla confessione aperta e "natalizia" di "Magic When You're Near". Il bis di Jim Moray si allontana decisamente dal pubblico rock e si avvicina ai fan di Costello e Bacharach, con la sua pompa e il suo romanticismo. Vien fuori un disco gradevole, consigliato soprattutto ad adolescenti, per passare un po' di tempo a sognare ad occhi chiusi.
13/06/2006