Monolitica nel suo incedere funereo, solo di rado con gli occhi in cerca del sole, di cui comunque teme la luce accecante (“Did You Hit Me” e “Needles In My Heart” — quest’ultima arricchita dai fendenti elettrici di Christian Alati), “The Restless Fall” è un’opera estremamente intima, quasi indecifrabile in alcuni momenti, causa un lirismo ermetico. Una voce che dialoga con accordi lasciati andare alla deriva nel silenzio (“Troublelike”), un’alchimia misteriosa che induce a tacere, che ci costringe a sprofondare. Sai, però, che non sarà facile trovare il bandolo della matassa. S’addensano fantasmi, si fanno avanti i dubbi, l’assenza fa sentire il suo peso (“Seen My Child”).
Forse un po’ troppo uguale a se stessa, la musica. Sempre lì, nello stesso circolo vizioso, anche se è questo il rischio che si corre quando si mette mano al cuore. E, allora, le cose continuano, nonostante tutto, a rifrangersi nell’animo (“Down”): la musica come uno scheletro inerme. Ma la soluzione, ci viene suggerito, è proprio “nell’esistenza stessa della musica”, nel suo essere strumento di redenzione (“Oh, My Lips”; “My Fingertips”). E l’immagine più viva, è quella di un uomo seduto in un angolo semibuio, mani sulle ginocchia e sguardo fisso nel vuoto (“Raw Man”), mentre una chitarra solitaria rantola, bava alla bocca (“Though It’s Only Water”). Un nodo alla gola, più che un disco. Un lavoro sofferto e intenso, che merita più di un ascolto distratto.
(12/06/2006)