Psychedelic pop, per gradire.
Il ritorno degli High Llamas non dice niente di nuovo, se non che la band di Sean O' Hagan è ancora capace di vergare canzoni che, in un modo o nell'altro, fanno del pop una questione di raffinatezza e deliziosa gioia di vivere. C'è il solito Brian Wilson, ci sono le melodie zuccherine, i coretti femminili che aprono un ulteriore varco verso una solarità carezzevole e graziosa, gli arrangiamenti calibrati, mai sopra le righe. I fans lo ameranno, tutti gli altri pure, ma con la dovuta moderazione, il sacrosanto distacco.
Ad ogni modo, cosa innegabile è che "Can Cladders" è uno di quei dischi che in un giorno di primavera fa la sua dannata figura ("The Old Spring Town"), con quel suo intimismo indolente ("Winter's Day"), ora cameristico ("Sailing Bells"), ora a mo' di bozzetto ("Boing Backwards"); con quella sua dolcissima voglia di libertà, un po' Kinks ("Honeytrap"), un po' Stereolab ("Bacaroo"), un po' Bacharach, come nel caso della title track, stantuffo placido e bonaccione. Tutte costruzioni fragilissime, piccole meraviglie fatte con l'apparenza del poco ma, sotto, sotto, figlie di un artigianato ormai consolidatissimo, ultra-classico.
Un disco che non chiede poi molto, solo un po' di attenzione, magari anche distratta. Ne uscirete ringiovaniti, ridestati a nuova vita, forse anche meno incavolati col mondo (anzi, quasi sicuramente). Dopotutto, quando hai a che fare con gli accenni doo-wop di "Clarion Union Hall", le bricioline "pet sounds" di "Cove Cutter (Hills And Friends)", le delizie Ayers-iane di "Dorothy Ashby" o, ancora, la lounge-music tascabile di "Rollin'", tutto il resto assume per un breve lasso di tempo le sembianze di un tranquillo angolo di paradiso.
07/04/2007