Hanno Leichtmann, David Moss e Hannes Strobl varano il progetto Denseland nel 2008, sintetizzando le loro rispettive esperienze in ambito di free-improvisation, vocalismo creativo ed elettronica radicale. “Chunk” è, così, un disco deviato e deviante, un’orgia dislessica di schizzi musicali, poltiglie post-punk, funk obliquo, carcasse free form e ritmiche ora pulsanti, ora disarticolate. A rendere il tutto ancora più sinistro, la voce di Moss, sempre in bilico tra recitato insidioso e sgusciante ironia.
È un mosaico fuori controllo, alieno e alienante quello che si materializza fin dalle prime battute di “Monk” (calata dentro cupi fondali radianti) e prosegue attraverso gli spigoli pseudo-funk e le destrutturazioni cubiste che cercano la strada della redenzione di “Frozen Chunk”. Dispersa la voce in un malefico corto-circuito onirico, “Low Velocity Zone” saltella robo-schizoide, un po’ come “Obsidian”, nella quale sembra di assistere al rimpallare continuo di un videogame dentro una stanza di specchi in cui un folle si è smarrito da tempo.
Spesso e volentieri, la musica finisce per assomigliare al risuonare anarchico di sassolini dentro un sacco, per cui l’ascolto in cuffia è quasi obbligatorio se si vogliono gustare un po’ tutte le minuscole sfumature dell’opera. Il beat acquatico e in odor di dub di “Rev Elation”, le lugubri - a tratti spaurite - perlustrazioni dell’inconscio di “Cumulus Crowds” e quelle di “Chant Bleu” (con crescendo thrilling e melmoso) segnano i momenti più sinistri e metafisici del disco: qui Moss assomiglia, se possibile, ancora di più a un crooner sfatto, tossico o morente, mentre l’elettronica pencola come un’aurora diabolica e l’elemento percussivo si smaglia in tonfi secchi e scheletrici. Nel funk digitale e appiccicoso di “Scrape It (UP)”, invece, finanche la tosse diventa parte integrante del flusso di coscienza onomatopeico di Moss.
Rituali occulti disossati, funk sbrindellati e ricomposti svogliatamente, paranoie e angosce trasfigurate in radi cumuli elettroacustici: tutto questo e molto altro è "Chunk", disco fatto di macerie sonore la cui visione panoramica ridona il senso di un disordine implacabile (esemplare, in tal senso, “Cyclone’s Center”) ma attraversato da enigmatici palpiti poetici.
27/09/2010