Che questi siano anni zeppi di hype, colmi fino all'orlo di sottogeneri e next big thing, è cosa tristemente risaputa. Basti solo pensare che per riuscire a etichettare l'ultima pseudo-scena musicale si è dovuti ricorrere al dizionario neurologico. E così, l'illusione ipnagogica, abbandonate le librerie mediche, è piombata di scatto nell'immaginario medio del nerd odierno, generando chilometrici dibattiti sulla necessità del ripescaggio stilistico, fino a occupare una quantità indefinita di pagine sulle varie riviste alternative/intellettualoidi d'oltreoceano. Allo stesso tempo va anche sottolineato che sono in molti a nutrire perplessità circa la longevità e l'effettiva consistenza del fenomeno. Al punto che non è affatto uno scandalo se qualcuno avesse già deciso di abbandonare l'ondata hypna, accomodandosi sul bagnasciuga.
In tutto questo marasma di considerazioni a dir poco avvilenti, giochini di parole e allucinazioni mattutine, Chaz Bundick ha deciso di giocare i suoi assi, undici per l'esattezza, con la sicurezza del compositore tutto casa e synth. Il suo disco d'esordio, "Causers Of This", è hypnagogic pop, glo-fi, chillwave, nostalgia canaglia e chi ne ha più ne metta. È un castello di gommalacca con i piani collegati tra loro da scale pop-troniche, consolidati (si fa per dire) da un groove morbido e fluttuante. Un juke box moderno, dominato da partiture elettroniche trasognate e fluorescenza ritmica al Valium ("Blessa"), nel quale è la rarefazione sintetica a farla da padrona ("Minors").
Discretamente curato, capace di proiettare con attitudine odierna la memoria sonora verso tutto ciò che abbondava nei meravigliosi Ottanta, privilegiando l'aspetto per certi versi più allucinato e adolescenziale ("Thanks Vision"), "Causers Of This" è un esordio che merita rispetto e una considerevole attenzione. Bundick ha saputo fondere ritmo, bassa fedeltà, ricerca retrò ed evasione ipnagogica.
Un'esperienza armoniosa, da condividere senza indugi.
04/05/2010