Ma quello che ha fatto, che ha costruito il cantautore australiano in questo disco è qualcosa di ben più corporeo di quanto espresso nell'esperienza precedente degli Snowman, quello sì etereo - pur parlando, ancora, di un mondo rarefatto e deformato dalle proprie percezioni.
Nell'iniziale "Lunar Sea" le carte sono già in tavola: visioni cosmiche riverberano nell'interpretazione Sylvian-iana di Joe e negli accordi di chitarra, sui quali fioriscono florilegi d'archi, vere e proprie estroflessioni dell'Io, che lentamente s'inabissa nel "mare lunare", coi rumori del reale che si fanno più vicini, mentre McKee scompare - a voi le interpretazioni psicanalitiche.
Vertigini trascendenti che finiscono per contaminare anche l'oggetto del proprio amore, in una delle altre vette del disco, "Darling Hills", in un volteggio chitarristico tra stelle e pianeti; oppure in "Blue Valeria", ebbra, notturna e solitaria preghiera, tra Tim Buckley e Roy Harper.
Pochi sono i momenti di stanca del disco ("A Double Life"?): per il resto ci pensano la favola giapponese di "Flightless Bird" e la divagazione psych-pop di "An Open Mine".
Ma è l'ipnosi la tecnica fondamentale di "Burning Boy", il modo in cui il suono delle ossessioni di McKee - sia questo il rivoltarsi metallico della sua chitarra, o il coro inquietante e onnipresente d'archi, non si sa se voce della coscienza o del subconscio - si amplifica e si fa coincidente col proprio, in un terribile e bellissimo esperimento di dominazione, o di clonazione.
Svegliarsi o no, qui, è scelta consapevole e deliberata - o almeno così sembra, se non credete alla magia.
(06/06/2012)