A quattro anni dal suo ultimo disco, quel “Nukkuu” che è molto probabilmente la sua cosa migliore, la dolce Lau Nau torna a declinare un verbo fatto di fragili melodie, vocalizzi evanescenti e diamantine filigrane di sogno, un verbo intervallato, qua e là, da esperimenti, invero non sempre coerenti con il disegno complessivo dell’opera, in cui il ritmo pulsante sembrerebbe voler trasfigurare le sue visioni mistiche in oblique fascinazioni disco (“Kuoleman tappajan kuolema”) o in ipnotici rituali di ghiaccio (“Valloittajan Laulu”).
Con i tocchi misteriosi e, al contempo, magici di jouhikko (una sorta di lira ad arco), contrabbasso, clarinetto, chitarra, piano (quest’ultimo, assoluto protagonista nella breve sonata di “Mirjam”) e celesta, Laura Naukkarinen continua, dunque, a manifestare un’intatta gentilezza espressiva, soprattutto quando l’accompagnamento si riduce all’essenziale (si ascoltino “Ystavani Nosferatu”, “Paper Thin”, l’interrogativa tenebrosità di “Silmät” e la bellissima ninna-nanna di “Hämärän hevoset”) e, se le dinamiche lasciano affiorare qualche spigolo, spingendo verso soluzioni più agili e disinvolte (la danza dai sapori balcanici di “Juokse Sin Humma”), quel senso di abbandono che nutre da sempre la sua ispirazione persiste come un ricordo indelebile.
10/12/2012