Dopo ventisei anni di incessante attività, fra performance con il famigerato gamelan, field recording provenienti da terre lontane e modulazioni sintetiche, sembra essere arrivato anche per Loren Nerell il momento di appendere le scarpe da esploratore al chiodo. Non si fraintenda, l'etnomusicologo americano non ha certo smesso di ricercare e sperimentare, ma “Slow Dream”, suo settimo parto complessivo, prende per la prima volta la forma di un album vero e proprio.
Non più campionamenti umani e ambience indonesiano: il disco – che segna anche l'approdo di Nerell presso la Projekt – inserisce questi elementi in un contesto per la prima volta prettamente musicale, tuffandosi così nella pura ambient music.
“L'ispirazione di questo disco la devo in gran parte a Steve Roach” (con cui pubblicò, ormai sei anni fa, lo splendido “Terraform”) - spiega Nerell - “è un album che nasce con la volontà di musicare alcune illusioni ipnagogiche, tema del quale discutevo spesso con lui”.
L'intento pare centrato alla perfezione nella mezz'ora sussurrata di “Mentation”: i riferimenti sono ai fasti più dronici del californiano e l'asettica rarefazione dei precedenti lavori è avvolta da un flusso sonoro gelido e disturbato, con un'inedita centralità della matrice elettronica. Ma questo è solo un lato di “Slow Dream”, che rivela una sfumatura diversa a ogni brano: la title track riprende i contatti con le profondità della tradizione orientale mediante sample e strumentazione acustica, lasciando da parte le escursioni nella Via Lattea; un misticismo oscuro e quasi industriale ricopre invece “A Sense Of Presence”, in cui appare per la prima volta il gamelan, reso però irriconoscibile dal frastornante fruscio del rumore bianco. La conclusiva “Persistence Of Dream Imagery” si rifà di nuovo a Roach - stavolta quello obliquo e ovattato di “Structures From Silence” - congedando dall'ascolto all'insegna di un vuoto caustico, di una quiete per assenza di elementi.
In “Slow Dream”, Loren Nerell abbandona il ruolo di archeologo alla ricerca di reperti sonori, trasmutandosi in antropologo intento ad analizzare nel suo studio quanto raccolto in ventisei anni di carriera sul campo. Questa nuova pelle permette alla sua musica di fuoriuscire finalmente dalle arcigne e spigolose fossilizzazioni in cui era rimasta avvolta per tanto tempo, nonché di esprimersi nella purezza della sua natura in un prodotto di caratura sopraffina, che raccoglie in maniera superba quanto seminato in quasi trent'anni di incessante ricerca.
17/09/2012