Inflessibile in tutta la sua fragile dolcezza, immutabile eppure in costante movimento, Ichiko Aoba, dall'alto di una carriera giunta già al suo quarto studio-album, è oramai meritatamente un'autentica stella della musica indipendente giapponese. Basterebbe soltanto il cambio di etichetta ai fasti di una Speedstar Records a sancirlo, label che nel corso di due decenni ha lanciato talenti di peso nazionale quali Cocco, gli Orange Range, per finire ad uno dei nomi più importanti dell'avant-pop orientale, Kaori Shima in arte UA. Ma le soddisfazioni non si sono limitate ad un semplice (quanto dovuto) passaggio di consegne: a notarne il talento, a volerla al proprio fianco come collaboratrice, si sono scomodati calibri grossissimi quali Ryuichi Sakamoto (con lui pure nel disco assieme al patron di casa 12k Taylor Deupree) e Cornelius.
Un 2013 da ricordare quindi per la minuta cantautrice in tutti i sensi, come una svolta decisa impressa sul proprio tracciato, come l'accesso effettivo alla Premier League dei grandissimi dalla porta principale, quale da tempo le spettava di diritto. Poco male, perché per l'occasione, miss Aoba ha concepito il suo lavoro più ambizioso e complesso, e nel frattempo quello che, con un pizzico di fortuna, la farà davvero conoscere ad un pubblico più vasto. Vada come vada, è già un successo.
Otto i brani, sempre monocromatica la copertina, stavolta in un aggraziato rosa pallido: non si sfugge da certe regole, ma le si osserva scrupolosamente, semmai divertendosi a giocarvi sopra come un bambino alle prese con i suoi primi disegni. Su questa presa di posizione così ben definita, su un rigore che non si esita a definire tipicamente giapponese, la ventitreenne chitarrista ha saputo imbastire un immaginario di silente, pacifica potenza, gracile nelle strutture ma lontano dall'acquerellismo sfilacciato di tanti colleghi (checché ne pensino molti).
In “0”, il limitato (ma lo è poi per davvero?) registro espressivo della Aoba, teso ad un costante, per quanto appena percettibile, rimodellamento, giunge invece ad un traguardo realmente significativo, smisurato considerata la sua produzione passata. E sì, le lunghezze di molti brani sono un indizio: “Imperial Smoke Town” aveva lanciato il dado, a raccoglierlo ci ha pensato il disco successivo, puntuale nello sfruttare le enormi potenzialità offerte da durate espanse e approcci quasi prog alla materia. Per quanto ancora in “fase di studio”, il frutto di questo impegno ha ripagato più che degnamente.
Con un solo pezzo sotto i cinque minuti (il sapido interludio “Uta No Kehai), e addirittura due suite a superare abbondantemente gli undici, “0” è lavoro in cui l'onirismo spinto di “Utabiko” stempera in un cantautorato folk sì impressionista e fugace, ma più concreto, materico nella pasta sonora. Sparsi field-recording (prima concessione all'infuori della fida chitarra acustica), attacchi melodici più marcati, una fisionomia vocale “pimpante”, quasi un allaccio ai timidi esordi di “Kamisori otome”: Ichiko reinterpreta il suo passato alla luce del presente, di quella ragazza diventata grande, perfettamente cosciente delle proprie qualità, di avere ancora carburante sufficiente per sostenere il confronto col futuro.
Un futuro che, al solito, si materializzerà per scarti minimi, ma mai superflui: e chi lo dice che, di questi tempi l'altr'anno il suo picking non si smarchi ancora ulteriormente dall'ombra dei grandi maestri primitivisti, a seguire traiettorie tutte sue (“i am POD (0%)”)? Oppure, chi potrebbe dire che i gracili sostegni del suo fatato divagare non si lascino affascinare con un attacco decisivo da delicate carezze melodiche, apportando una consistenza quasi pop al proprio materiale (“Iki No Kori? Boku ra”)? Nell'attesa, ci lasciamo ancora cullare dall'incanto di Ichiko Aoba. Magari il sonno si spezzerà ogni tanto, ma è sempre un piacere abbandonarsi un'altra volta....
15/01/2014