Ogni brano è una preghiera, un ponte emotivo tra culture che non hanno più bisogno della logica world e new age per incontrarsi: il libanese Radwan Ghazi Moumneh, il produttore e musicista francese Jérémie Regnier e la regista cilena Malena Szlam Salazar, modulano nuove forme di ermetismo sonoro e visuale.
L’austero insieme di musica araba, di intuizioni raga alla Terry Riley ed electronic treatments non sfrutta ad ogni modo scappatoie intellettuali: Radwan proviene dalla cultura popolare, e le sue cassette autoprodotte sono l’unico background che espone prima di questo esordio più complesso.
Sono preghiere di quotidianità, canti d’amore di disperazione e di naturale banalità che la voce eleva ad arte, tra drone che reggono un impianto narrativo che le creazioni visive di Malena Szlam Salazar rendono ancor più laceranti e spirituali.
Le tensioni apocalittiche (che normalmente caratterizzano molte produzioni della Constellation) vivono in una forma inedita e culturalmente stimolante, l’omaggio al maestro di vita e cultura siriana Boutros Al-Bustani (il titolo dell’album ”Mo7it Al-Mo7it” è la traslitterazione del titolo inglese di una sua opera) e alla primavera araba del 2011 sono le linee culturali che svincolano il progetto da operazioni similari radicate nella cultura mediorientale.
Il carattere nomade di Moumneh (attualmente di stanza a Montréal) e la curiosità intellettuale dei protagonisti del progetto, imprimono velocità variabili alla musica di ”Mo7it Al-Mo7it”.
L’ascetismo doloroso di “Amanem”, la solennità del bouzok nelle abili mani di Radwan Ghazi Moumneh in “3andalib Al-Furat” e le suggestioni elettroniche di “Yudaghdegh Al-wala Ra3ey Al-ghanam” possiedono lo stesso corpo con anime differenti e con suoni che evocano un patrimonio culturale che non perde autenticità nella contaminazione.
Così l’intensa e coinvolgente “3anzah Jarbanah” si eleva su un magma di suoni antichi e moderni, con la voce che diventa un improbabile drone, per poi essere inzuppata in sfavillanti torture elettroniche che non sono figlie della contaminazione culturale occidentale.
La stessa fusione fredda culturale che si ripropone nella evocativa “Ko7l El-3ein, 3oumian El-3ein”, uno scontro-incontro etnico che si apre a una dolcezza nuova, identifica pertanto il progetto Jerusalem In My Heart come un'esperienza culturale più ampia e suggestiva della sua genesi terrena.
14/06/2013