E, dunque, innanzitutto chitarra, basso e batteria, per raccontarlo questo suo mondo, dedicando il primo verso al padre (“Tutte le volte che vedo mio padre/ esco di casa con la voglia di ammazzare”, recita nei primi secondi dell’iniziale “Pater”) e una valanga di odio per tutti. Anche per Dio.
“Stavolta come mi ammazzerai?” è un disco solido, una prova di maturità, probabilmente la chiusura di un cerchio che il compasso della sua anima ha iniziato a tracciare tanti anni fa. Ma è anche un lavoro infinitamente meno avventuroso dei suoi predecessori, un disco insomma in cui si riesce a camminare con più facilità, laddove il tagliente e disturbante “Odio i vivi”, che a tutt’oggi resta un oggetto misterioso, spesso e volentieri ci costringeva a inciampare, a sbattere la testa contro questo o quel verso, contro questo o quel suono. In ogni caso, pur lavorando con materiale più asciutto, evitando quindi di accentuare gli spigoli, Edda suona ancora "vero" e palpitante.
Ecco, dunque, che ruvide dissertazioni rock come “Coniglio rosa” e “Stellina” (“Tu sei solo pelle e fica/ anoressica/ ti prego mangia su di me/ mangia me”), il funk geometrico di “Bellissima”, le scansioni metalliche di “Piccole isole”, l’ironia cinica e rabbiosa di “Mademoiselle” e il punk “saturo” di “Ragazza meridionale” convivono con fumosi ibridi tra blues e jazz che mescolano lascivia e bisogno d’affetto (“Mela”), assurdismo in forma di ballata (“Yamamay”, “Ragazza porno”, “Peppa Pig”, quest’ultima con un arrangiamento di fiati che fa pensare ai These New Puritans di “Field Of Reeds"), e una “Saibene” che, tra pianoforte, chitarra e voce, suggerisce che la vita, in fin dei conti, altro non è che tutta una messinscena (“Chi dice la verità non può chiamarsi Rampoldi”).
(02/12/2014)