“To Carry the Seeds Of Death Within Me” apre, dunque, tra sirene-urla che inquinano lo sfondo, saturandolo con un mantra oppressivo imbastito dal basso e dalla batteria, un mantra che lentamente si sfilaccia, lasciando spazio a una voragine di dolore viscido che ribolle malefica e misteriosa come una nebulosa cosmica a zonzo tra gli asteroidi. I lenti kammerspiel horror-core di “Alone All The Way” e di “The Night Knows No Dawn” (il primo proteso verso la sublimazione di un ritualismo tribaloide, infilzato da schiamazzi stregoneschi, il secondo scosso dalle distorsioni telluriche del basso in un clima di tragedia imminente) appaiono, invece, come le cartoline più lampanti dell’avvenuta fusione tra le due anime.
Ma l’orrore diventa forse ancore più insidioso quando le macchine e i pulsanti di Krilic lo costringono a stemperarsi in un microcosmo di battiti magnetici, pulsazioni androidi e schianti digitali (“Hail to Thee, Everlasting Pain”) o, ancora, quando lo proiettano sulle pareti di un universo parallelo in cui lo sludge-doom è suonato da replicanti innamorati dei Nine Inch Nails e della techno (“Our Souls Were Clean”).
In coda, niente di meglio che “Darkness Surrounds Us”, che ascende da un vuoto enigmatico (solcato, tra le altre cose, da violini sbilenchi) verso una vigorosa apoteosi, sigillando quello che è, per il momento, il miglior lavoro dei The Body.
(22/12/2014)