Julianna Barwick

Will

2016 (Dead Oceans)
modern creative, minimalism

Julianna Barwick, una delle chanteuse più aperte degli ultimi anni, ormai maestra del canto diffratto che non eccede mai in spavalderia e anzi si mantiene in un contesto delicatamente celestiale, prosegue il discorso con il terzo “Will”. L’affare è ancora più personale che in passato, a cominciare dai pochi ospiti presenti (solo il cellista Maarten Vos e l’elettronico canadese Thomas “Mas Ysa” Arsenault).

Diversi brani suonano però come provini lasciati in balia del loro status per ragioni non meglio precisate, come il tentato remix chillout di un’aria d’opera di “St. Apolonia”, i riverberi vocali di “Wist”, l’elegia pianistica di “Beached”.
L’elettronica, forse la prima vera eresia della sua carriera, non s’impone come una novità o una svolta, quanto piuttosto come impalcatura di fortuna per sorreggere geometrie senza fisionomia in “Nebula” (solo un misero loop), “See, Know” (l’opposto: un vagito techno invadente) e “Same” (tastiere pseudo-sinfoniche).

Semmai, Barwick convince quando torna all’ovile del suo stile conosciuto (ovviamente non è certo un atto di coraggio): la nuvola di canti di monache, in “Big Hollow”, sospinta dal contrappunto del pianoforte, è senz’altro il brano-baricentro. Soprattutto, “Someway” è una delle sue migliori sonate minimaliste per palpiti di cori e intonazioni salmodiche Lisa Gerrard-iane.

A tre anni dall’eccellente “Nepenthe” (2013), un disco di idee tirate via, scartate dai predecessori e agghindate alla carlona, più difforme catalogo di rarità - registrato tra una tournée e l’altra - che opera compiuta. La grammatica della Barwick è un esilissimo vaso di porcellana: rigido e sbrilluccicante. Una volta scosso, si sfascia. Preceduto da un Ep improvvisato alla Dogfish Head di Milton, "Rosabi" (2014).

12/05/2016

Tracklist

  1. St. Apolonia
  2. Nebula
  3. Beached
  4. Same
  5. Wist
  6. Big Hollow
  7. Heading Home
  8. Someway
  9. See, Know

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