Mothers

When You Walk A Long Distance You Are Tired

2016 (Wichita)
chamber-rock, slackerwriter, sadcore

Oggi molti potrebbero pensare che la figura della “cantautrice trasandata” - se così vogliamo tradurre, da veri sciovinisti, il termine “slackerwriter” – sia un personaggio sia scontato che fuori di moda ancora prima che la moda inizi, che sia troppo facile mettere la propria faccia slavata in copertina promettendo gli inevitabili tormenti interiori di una giovane donna appena uscita dall’adolescenza.
L’arte-verità delle proprie esperienze senza filtro (soprattutto quando queste si svolgono in confini angusti) si scopre presto solo illusione pedante, ma questo Kristine Leschper lo sa bene, o perlomeno abbastanza da presentare il suo esordio come Mothers “When You Walk A Long Distance You Are Tired” come prodotto di una band, e molto lontano dallo stereotipo della ragazza che vuole fare la cantautrice.

Nonostante la semplicità dell’iniziale “Too Small For Eyes”, si capisce subito che è il lavoro sugli arrangiamenti e sulla dinamica dei brani il vero baricentro del disco. Il brano ricorda il cinematismo emozionale dell’esordio di Night Beds, con archi e pianoforte che riverberano sull’embrionale motivo all’ukulele, dando come una sponda universale allo sfrucugliare interiore di Kristin, al cattivo rapporto col proprio corpo e con gli altri (“I want to apologize to everyone I meet”), e con l’amore.
Si crea così uno scenario narrativo, una galleria di immagini create dalla band che ricostruiscono con vigore e urgenza i sommovimenti viscerali della Lepscher: le lacrime diventano la pioggia sui finestrini di un treno in corsa in “Hold Your Own Hand”, la bile si fa colata d’asfalto nei Built To Spill di “Copper Mines”, per poi eruttare in un liberatorio “Nevermind!”, ripetuto nel finale. Lo “spargimento di sangue” di “Blood-letting” rallenta fino all’agonizzante “I am the only one”, ma esprimendo, con le sue liquide movenze in tre quarti, tutta la liberazione nascosta in questo abbandono – liberazione che ritorna poi nella bella cavalcata alt-rock di “It Hurts Until It Doesn’t”.

Insomma, “When You Walk A Long Distance You Are Tired” sa proiettare l’immagine di Kristin, trasfigurandola per l’ascoltatore in modo che si adatti, che partecipi alla creazione di qualcosa di nuovo, oppure permettendo di guardare a questa post-adolescente e ai suoi problemi di identità (“I don’t like myself when I’m awake”) come attraverso la lente del ricordo, mettendo in primo piano la potenza catartica della produzione artistica e musicale.
I problemi di Kristin Leschper sembrano, così, fusi nella miscela vinilica dell’esordio della sua band, e a noi rimane "solo" una cantautrice di cui si sentirà ancora parlare nei prossimi anni, “cantautrici trasandate” o meno.

18/02/2016

Tracklist

  1. Too Small For Eyes
  2. It Hurts Until It Doesn’t
  3. Copper Mines
  4. Nesting Behavior
  5. Lockjaw
  6. Blood-Letting
  7. Burden Of Proof
  8. Hold Your Own Hand

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