Ho compreso pienamente l’enormità dei King Crimson e del loro ineguagliabile esordio quando ne ho accolto il passaggio più problematico e inspiegabile: le due sezioni, intitolate “The Dream” e “The Illusion”, che costituiscono parte integrante e maggioritaria della lunga divagazione di “Moonchild”; il tono soffuso e irreale – lunare per l’appunto – di quel momento “stranamente” musicale, ormai vicino al mezzo secolo d’età, sembra essere rimasto isolato, sospeso e cristallizzato per sempre in quella formidabile stagione, apparentemente senza lasciare nessun’altra traccia del suo passaggio. Ero ancora ben lungi dal fare la conoscenza di John Cage, degli AMM e delle avanguardie più esuberanti e oltranziste del secolo scorso, persino precedenti al “grido” dello schizoide postmoderno.
Anche adesso forse, a un livello inconscio, quando ascolto una sessione esente da regole e limiti di tempo rivivo il disorientamento di tanti anni fa nei confronti della jam più pacatamente allucinata di Robert Fripp e soci. Oggi tutto torna, e tutto ritorna nell’inesauribile e infaticabile ricerca di alcuni artisti (e con piena cognizione utilizzo il termine “artista” al posto di “musicista”) che creano significato senza pianificarlo o inseguirlo in alcun modo.
In un’industria che straborda di prodotti ma che tuttora attraversa una crisi di mercato e di valori estetici, etichette come Erstwhile, Sofa e Gravity Wave rimangono i fieri e disinteressati caposaldi dell’art for art’s sake, fissando quei momenti volatili in cui uno o più artisti decidono di agire, di tracciare l’inizio e la fine di un evento (più o meno musicale) che senza alcun dubbio non si ripeterà allo stesso modo.
Michael Pisaro fu allievo e ora è maestro di una scena tanto silenziosa quanto radicata. Teorico, compositore e performer illuminato, ha un approccio alla materia sonora sempre interrogativo, incentrato su un singolo elemento o una particolare istanza acustica che viene poi “svolto” in ogni sua sfaccettatura. Christian Wolff è stato (non solo per Pisaro) una stella polare della sperimentazione pianistica al pari di David Tudor, stretto collaboratore di Cage nello sviluppo della indeterminacy. Il decano e uno dei suoi eredi intellettuali si erano già incrociati con il collettivo Wandelweiser per l’esecuzione di “Stones”, e dopo quasi vent’anni si ritrovano in studio coi loro strumenti d’elezione: pianoforte preparato e chitarra elettrica.
In inglese si evidenzia da sé il discrimine tra la ricerca di qualcosa (looking for something) e il semplice guardarsi intorno (looking around) che titola questo incontro: acclarate le condizioni di partenza, Wolff e Pisaro inaugurano il loro confronto con rimbalzi di singole note, come una partita che dai primi scambi di circostanza passa man mano ad azioni più decise, fra tenui linee sostenute e fugaci sferzate. La chitarra dimostra il pieno controllo dei toni e dei volumi così come lo portò a compimento lo stesso Fripp nello scarto cruciale tra “Starless And Bible Black” e “Red”; da par suo, il pianoforte si aggira con le pause consapevoli e la serafica quiete che contraddistinguono le vecchie glorie – si prenda come nuovo riferimento assoluto il monolite di Rowe/Tilbury.
“Looking West” è sì un cambio di direzione ma in parte anche di intenti: muovendosi su coordinate più spigolose e astratte, il duo ricorre a suoni non ancora impiegati, come i battiti sul legno del grand piano e il ruvido stridìo delle corde percorse in verticale; attraverso la reiterazione indefessa degli stessi avvertiamo distintamente l’ergersi di un muro che annulla la precedente condizione di dialogo.
Dal settimo minuto in poi si avvia come un mulinare d’attività sonora sino ad allora trattenuto, scandito dallo slapping e dal grattare a pieno regime di Pisaro, mentre Wolff concatena sequenze di accordi e arpeggi di spessore e arcignità sempre maggiori.
Le due linee seguitano ad allontanarsi, sacrificano l’ultimo barlume di senso compiuto per offrire a se stesse e a chi ascolta il beneficio di una sorgente inedita di stimoli, che origina dall’annullamento dei fattori iniziali.
Il fine ultimo: riempire lo stesso spazio/tempo della prima metà, 28’10”, con l’esatta determinazione dello stesso mentore Cage (forse l’unica, nel suo caso). Un timido ritorno alla quiete iniziale, il ronzio statico di un silenzio “rubato” e custodito su nastro, stop.
25/03/2016