"Think Pink III" prende il largo con i dolci arpeggi di chitarra e le voci celestiali di "Morning", prima di scomodare il synth di Ed Sykes per "Fountain", brano che ci incapsula in un viaggio nel tempo verso l'Inghilterra più lisergica. Due sono gli elementi che contrassegnano il disco: da un lato la voce, sempre molto suggestiva, di Twink, che ci guida come un caloroso padrone di casa lungo i meandri (rosa) del suo regno; dall'altro, la sua chitarra capace di duplicare universi e creare spazi incantevoli, come è il caso del dream-folk di "You Can't Fool An Angel", dove sono sufficienti due misere righe di testo per plasmare una composizione intrigante. Un espediente che Twink utilizza ancora una volta per "Firelight", dove la ripetitività è solo un mezzo utile per ipnotizzare l'ascoltatore e tenerlo incollato alla sedia.
Nel novero troviamo una serie di brani psych-folk nell'accezione purista del termine, dove l'intreccio continuo delle chitarre rivela texture inaspettate, a volte affabili ("I Miss You"), altre volte più minacciose ("The Shaitan") e bizzarre (la filastrocca ritmata di "Lydia Ladybird"). In "Planet 39" Twink si trasforma invece in un alieno venuto dallo spazio per approdare nel deserto, tra arabeschi e serpenti a sonagli, mentre la strumentale "Sundown" sigilla il disco tra sintetizzatori ed effetti del nastro, scrivendo - probabilmente - la parola fine a una spettacolare trilogia.
(29/11/2018)