Dimenticatevi immediatamente di fiabe gotiche, spettri vittoriani e case possedute: i fantasmi che aleggiano nelle canzoni di “Ghost Folk” presentano ben poche delle caratteristiche a loro solitamente associate, preferiscono assumere piuttosto una consistenza ben più materica, rendendo tangibile l'inespresso e l'inesplicabile che avvolgono il nostro quotidiano. In tale dimensione, sospesa tra il domestico e l'evocativo, l'arte di
Allysen Callery ha covato molti dei suoi migliori momenti, mai però ha raggiunto l'ampiezza di respiro e la potenza lirica di cui quest'ultimo progetto si fa tramite. Come se i distanti paesaggi del suo Rhode Island fossero l'estrinsecazione del raccolto processo creativo dell'autrice, la dozzina di brani qui raccolta ne abbraccia il mistero e lo rende manifesto, rivestendolo di un abito brumoso, sottilmente sinistro, di cui l'impianto essenziale della musica si serve quasi come uno strumento aggiuntivo. Forte di un'esperienza guadagnata nel tempo, la voce della musicista esibisce il suo profilo più suggestivo.
Storie di vecchie presenze che si materializzano sulla battigia (“Sea Change”), futuri appena sussurrati che irretiscono il presente (la splendida “Tarot Card”, gioiello della raccolta), tenute a battesimo nel pieno della natura (“Elemental Child”): le presenze descritte da Callery compongono un'antologia di incontri che alla morte contrappone il possibile, il fascino del non detto e dell'invisibile, a cui la memoria e l'immaginazione danno forma. Con un tono narrativo che a momenti richiama la purezza senza tempo di
Meg Baird, l'autrice concepisce la sua raccolta più solida ed emozionante, che il richiamo “concettuale” rafforza, tenendo uniti i vari brani come nelle perle di una collana. Il taglio atemporale delle storie gioca con le striature di un
picking sempre più sicuro e dinamico (l'ipnotico primitivismo dello strumentale “In Your Perfumed Chambers”), agilissimo nel travalicare questo o quel contesto e unire Appalachi e vecchia Albione sotto un unico profilo. Se poi subentra un filo di chitarra elettrica (il gentile droneggiare sotto a “I Can't See You” e “Tarot Card”), il tono diventa ancor più assorto, meditativo, spingendo un passo in avanti la descrizione dell'ineffabile.
Rompendo il silenzio con pochi, accorti, elementi, l'arte di Allysen Callery si proietta libera e decisa nel suo essere, tanto imponente nel suo profilo evocativo (la preghiera distorta “Our Lady Of The Highway”) quanto capace di prendere forza dal canone
drakeiano e tramutare la quiete in un grande punto di forza. Abbracciando senza esitazioni la sua natura più autentica, l'autrice americana registra il suo vertice assoluto, firmando un momento di spicco del folk 2020. I fantasmi sono più vivi che mai.
29/10/2020