I Black Lips appartengono a quella categoria di gruppi che potrebbero suonare di tutto, dalle chitarre tzigane ai mandolini portoghesi, dall'arpa laser alle campane tibetane, riuscendo a mantenere un'identità riconoscibile, un marchio di fabbrica grazie al quale saremmo in grado di smascherarli in ogni situazione, nonostante il più perfetto dei camuffamenti. Potrebbero allora, per assurdo, provare a cimentarsi in un disco di country-rock americano, chiamarlo "Sing In A World That's Falling Apart" e risultare credibili senza perdere un briciolo della propria identità.
Un'identità che si manifesta anzitutto in un modo balzano, spensierato, un tantino folle di vedere le cose. Per i Black Lips non esistono il bianco e il nero, i confini netti, le formule prestabilite. Tutto ciò che li circonda è passibile di manipolazione, e questo vale in primis per la musica, intesa come un punto di partenza e mai di ipotetico arrivo.
Eccoli allora prendere per le corna un genere che consideriamo cristallizzato - il country-rock, appunto - e rivoltarlo come un calzino, trasformandolo nel baccanale weird di "Rumbler" in cui ogni possibile cliché southern viene dissacrato e sputato fuori in una formula festosa e volutamente stonata.
Più ci si addentra e maggiore è la sensazione di essere stati invitati a una grande festa organizzata dai Black Lips, o meglio ancora a uno dei loro innumerevoli concerti che si trasformano in eventi fuori controllo, in cui tutto sembra poter succedere - provare per credere. Un party durante il quale si può passare in un baleno dai balli sfrenati di "Holding Me Holding You" alle riflessioni alcoliche e un tantino beffarde di "Gentleman", che di elevato sembra avere appena il titolo, ma certo non l'indole.
Quello che è certo è che da ogni singola nota trasuda un'America diversa ma vivida: una metropoli attraversata in un giorno di pioggia in "Get It On Time", i saloon evocati con "Angola Rodeo", le cavalcate in immense praterie che sembrano apparire tra i solchi di "Georgia", il rock'n'roll di "Dishonest Men" che richiama epoche lontane. Tante cartoline diverse ma simili che sanno di ritorno a casa, come del resto la scelta di registrare le dodici tracce di "Sing In A World That's Falling Apart" negli storici Valentine Recording Studios di Hollywood, là dove gli States sembrano ancora un luogo mitico, fuori dal tempo, così irreale e stereotipato da essere vero.
22/01/2020