A due anni e mezzo dal meritato successo di “Mezzanotte” (la miglior sintesi di soul e rap italiano dai tempi dei Sottotono), Ghemon riprende in mano lo stesso discorso ibrido già affrontato nei due album precedenti, ma con un umore ora risollevato. Guarito da un periodo di severa depressione e con alle spalle un’onesta esperienza sanremese, il fu rapper di Avellino torna oggi con un disco solare che, fatta eccezione per la copertina ramazzottiana, lo vede attingere a piene mani dal suo retroterra hip-hop.
In “Scritto nelle stelle”, il Ghemon rapper batte forte, aggiunge parole in ogni spazio, non rinuncia mai alla rima, e il risultato finale pecca di vizio di forma. Non di contenuto, perché tra le pieghe dei suoi versi trasuda un’autostima rinvigorita, oltre a un’onestà nel raccontarsi che di sicuro favoriranno un legame empatico con chi, ogni giorno, combatte con gli stessi demoni che Gianluca Picariello si è trovato ad affrontare. Ma è la forma, il corpo di questi brani ad apparire fragile. Le emozioni navigano in un torrente di parole dove una si lega all’altra sulla base di assonanze, e troppo spesso faticano a emergere. Poche pause, pochi momenti di riflessione, poca aria per far respirare il significato delle liriche.
I tappeti strumentali, tra il suonato e l'elettronico, virano tutti su un funk-pop senza troppo nerbo, irrigidito nel suo scorrere senza peso, così che la formula dinamica e trascinante portata avanti con successo nei dischi precedenti stavolta venga meno. E le melodie, pure quelle, appaiono un po’ azzardate e meno ispirate che in passato, mettendo per la prima volta in sovrimpressione i limiti vocali del Ghemon cantante.
Il meglio viene fuori quando si decide di calcare la mano sul funky, e così “Io e te” e “Un vero miracolo” sfoderano finalmente una freschezza di ritmo e arrangiamento che convince, rompendo per un attimo il piatto ripetersi dei restanti brani.
Il Ghemon di “Scritto nelle stelle” si presenta con una versione adulta di quel crossover che negli ultimi anni ha preso piede in Italia grazie a volti come Coez, Carl Brave e Frah Quintale (ma anche l’ultimo Rkomi e, perché no, Ghali). Ma allo stesso modo di questi ultimi, zoppica nel trovare un compromesso tra urgenza espressiva e tiro pop che non scada nel banale, o più semplicemente nella mancanza di gusto. E se quanto scritto fino a qui può sembrare un parere puramente personale, lo è di meno l'impressione che questo lavoro resisterà con fatica alla prova del tempo. Un piacevole sottofondo, non altrettanto un fedele compagno di viaggio.
26/04/2020