Ricettacolo di ricordi, di un quadro familiare che si riflette nei paesaggi dell'Andalusia stessa, la breve opera prima dell'autrice è un'immersione nella memoria, l'opportunità di distillarne i frammenti più intensi attraverso un gioco di suono e voce, che nel flamenco trova una sponda espressiva più che congeniale. Alle scansioni classiche dello stile Llergo contrappone una produzione sospesa, dalle volubili qualità ambient, in cui la chitarra, i radi contributi di percussioni, le appassionate linee canore fluttuano tra lo stupore e la minaccia, conferendo ai brani un'ambivalenza mai realmente risolta.
Se è vero che molti vedranno nell'operazione un passo non molto discosto dall'esempio di Rosalía (d'altronde la stessa autrice ha studiato con José Miguel “Chiqui” Vizcaya, mentore della superstar catalana), tuttavia qui il tono non cede mai a tentazioni urban, non stravolge il canone melodico di base, piuttosto lo esalta, lo complimenta, donandogli nuove possibilità comunicative.
Nei sette brani, ciascuno atto a simbolizzare uno dei chakra, Llergo intesse la sua storia personale e la intreccia con le sue aspirazioni, le sue speranze, le paure di una vita intera, in un'evoluzione narrativa che dal tono più tradizionale dei primi episodi imbraccia una strada man mano più virtuosa e sperimentale, che fa ampio uso del comparto elettronico modulando le progressioni e il carico emotivo. L'incontro con l'amato nonno, sull'attacco dell'introduttiva “¿De qué me sirve llorar?” assume quasi proporzioni cinematiche, la terra scavata con costante pazienza si tramuta in cristallo liquido, l'alveo adatto per elevare il trasporto della voce e i fraseggi di chitarra verso altri territori. È un andamento che, con opportune diversificazioni, ricopre tutta la prima metà dell'opera, grazie a cui i contributi produttivi rimangono un passo indietro, supportano il sofisticato minimalismo esecutivo con rispetto, ma al contempo senza alcuna arrendevolezza, donando nuovo dinamismo a tracciati più ancestrali (gli splendidi slanci di “Soy como el oro”) oppure amplificando le direttrici moresche, in un dialogo che attraversa i secoli e le estetiche e si risolve in un fertile abbraccio elettronico (“El hombre de las mil lunas”).
È col trittico finale che il discorso però prende realmente quota e certifica le potenzialità dell'arte di Llergo, donandole effettivo slancio contemporaneo. Dai droni profondissimi di “Nana Del Mediterráneo”, che si innestano nel tracciato melodico col fare di una minaccia mai realmente sopita (come i tanti morti che nel Mediterraneo hanno perso la vita per davvero), al misticismo per synth e violino di “El péndulo”, in cui le scelte compositive quasi lambiscono un contesto electro-r&b, finendo sui toni declamatori di “Me miras pero no me ves” (che unisce il lamento del popolo gitano alla condizione femminile dello stesso), sorretti da pattern in fascia Uk-bass/post-club, il flamenco dell'autrice trova una dimensione che sa essere attuale e allo stesso tempo astrarsi da contingenze troppo stringenti, provando la forza icastica di una cultura plurisecolare. Un nuovo grande talento si è affacciato all'orizzonte.
(24/03/2020)