Dischi come “Guerrilla” non sono la semplice manifestazione di un sound personale, di un approccio idiosincratico a un genere come il kuduro, portato alla ribalta dalla diaspora angolana in giro per il mondo. Dischi di questo tipo si spingono ben oltre la somma delle loro parti, rivelando la storia di un intero paese, e più in piccolo il percorso familiare che questa storia ha contributo in buona misura a plasmare.
Figlio di un generale appartenente all'UNITA, una delle due organizzazioni impegnate nella lunga e sanguinosissima guerra civile angolana (lo splendido documentario animato “Ancora un giorno” aiuta a costruirsi un'idea sul conflitto), Nazar Simões è artista per il quale la questione è alla base del suo percorso di vita, tale da far sì che la sua nascita avvenisse in Belgio, ben lontano dalla terra d'origine. Disceso in patria soltanto tempo dopo la conclusione delle ostilità, con il libro di memorie del padre a gettare abbondanti raggi di luce sulla vita sul fronte, Nazar ha intrapreso un percorso artistico destinato a ripristinare collegamenti dati per perduti e riallacciare il filo del discorso con un paese vissuto soltanto nella distanza. Resoconto diretto dei viaggi e delle esperienze dell'artista, il suo primo album è un vero e proprio squarcio di vita.
Evoluzione del sound già introdotto in “Enclave”, sempre tenuto a battesimo dalla Hyperdub, il nuovo progetto affila le lame di quel “rough-kuduro” che vedeva già l'artista confrontarsi con una versione più torbida e fosca dello stile reso popolare più di un decennio addietro (“Black Diamond” dei Buraka Som Sistema aiuterà a chiarire le idee). Oltre ad animare il pattern ritmico attraverso un sapiente gioco di scomparse e apparizioni, corroborate dall'accurato sound-design di contorno, Nazar sa come spingersi oltre la semplice espansione del proprio vocabolario e farlo aderire come un guanto al ricchissimo tessuto narrativo/concettuale, al punto che testo e contesto finiscono per annullare ogni reciproca differenza.
Non soltanto testimonianze di vecchi soldati impegnati in guerra (la ricerca di perdono che anima la confessione sull'aprirsi di “End Of Guerrilla”), non i ricordi familiari, ad affiorare con forza non appena si presenta l'occasione (l'insolita dolcezza infusa in “Mother”, che appiana la frenesia produttiva; il senso di minaccia associato alle manovre di guerra applicate dal padre che tappezzano tutta quanta “Diverted”). La stessa musica si fa battaglia, si fa racconto, gioca con i parametri di uno stile nato per ballare e lo trasforma in un moto di dolore e di inquietudine, pronto in un momento ad attaccare e quello successivo a battere la ritirata, se le condizioni non sono favorevoli.
In questa riproposizione di intenti, la posizione è per ovvie ragioni tutt'altro che unilaterale, preferisce piuttosto assumere uno sguardo più distaccato e assumere un'ottica mediana, mai comunque prona a trasmettere una versione ammorbidita, blandamente politicizzata. Spari ed elicotteri immergono nel pieno dell'azione, in una “Bunker” che diventa vero e proprio teatro sonoro, con tanto di voce narrante a trasmettere tutta l'incertezza, la totale mancanza di riferimenti della situazione, nel mentre che il beat avanza serrato, come l'incedere di una brigata assassina.
E così “Immortal”, malgrado il titolo, lascia dietro sé scenari di morte, di una desolazione che i vuoti della produzione esasperano a dismisura, prefigurando l'imminente ripresa degli scontri. Il tragico scenario immortalato da Nazar, che ancora presenta il conto in un paese segnato da profonde scissioni, scava in un passato di cui soltanto adesso si sta cominciando a valutare la reale entità, che unisce il proprio vissuto nel quadro di un collettivo tutt'altro che clemente. Duro? Sì, ma a suo modo Simões rende evidente quanto la sua sia una voce necessaria.
18/04/2020