Con un tocco che collega il jazz alla psichedelia, innervando di una sottile e mai calligrafica classicità la penna dell'autrice, “Carvings” è album dei contatti e dei ricordi, dei lutti e dei desideri, elaborati senza alcuna concessione al gotico, con la chiarezza e il rigore di chi sa perfettamente come declinare ogni accento emotivo, ogni singolo frammento di memoria. Da sola, sdoppiata (con un modo di armonizzare che a tratti ricorda le dolci vertigini di Linda Perhacs) o accompagnata dalla voce del marito, Habel si muove tra brio e indolenza, ricama melodie attraverso cui elaborare le proprie perdite, immersa in un ambiente rurale che funge da simbolo e cornice allo stesso tempo. Ricorre spesso la figura della sorella, morta adolescente in un incidente stradale: in “Valiant” l'evocazione gioca col silenzio, corde grevi, meditabonde a sottolineare una presenza che non è mai svanita del tutto, capace di farsi bacio, carezza. La memoria si fa altare, culla per il pensiero: in “I Carry You, My Love” il tocco di chitarra non potrebbe essere più spartano, a esaltare tutta la forza del canto, in “Chicory” invece opera di contrasto, una giocosità addirittura pop a sprigionare tutta la bellezza di un infanzia persa per sempre.
Non tutto chiaramente invita ad abbandonarsi al ricordo, e la fascinosa ambience, tutta vento e foglie di “Rhythm Of The Tides” interviene sin dall'inizio a rammentarlo. Oltre alla pensosità e al cordoglio Habel sa farsi lieve, agile come nel rapido arpeggiare di “Little Twirl”, ma anche vivere nel calore del risveglio, essere cosciente della propria dimensione (“When We Awake” e il suo espansivo arrangiamento da camera). In questo spostarsi tra l'ora e l'altrove, tra la storia e il suo futuro, Juni Habel conferma la sua levatura di autrice attenta e coraggiosa, intercettando nuovamente scaglie di autentica magia. C'è grande meraviglia, anche nei momenti più bui.
(03/02/2023)